“Tu mi fai girare come fossi una bambola”. Questa canzone immortale cantata dalla ragazza del Piper è molto calzante nel rappresentare il rapporto fra il Nord ed il Sud Italia nel secolo e mezzo di unità nazionale. In fondo a ben guardare il Sud atavicamente passivo ed indolente si è adeguato alle sollecitazioni culturali, politiche ed economiche del Nord. Sollecitazioni spesso molto poco convenienti ma coperte e lustrate dal bagliore dell’epica risorgimentale. E’ innegabile che l’Unità d’Italia è stata fortemente voluta e realizzata dal Nord. Le 5 giornate del 48 sono quelle di Milano. Sanmartino e Solferino, dove fu combattuta la più cruenta battaglia dell’800 dopo quella di Lipsia, non a caso si trovano in Lombardia. A noi (meridionali) invece l’unità d’Italia regalò la mortificazione di una Napoli, fino ad allora unica città europea e cosmopolita della penisola trasformata in gigantesca latrina. Vi era una fiorente economia agricola (parlo dell’area materano-pugliese) che trafficava i suoi prodotti con la Francia e l’Europa, poi completamente azzerata a causa delle guerre doganali ingaggiate dai Savoia. Così i Savoia ci inflissero una forma di stato centralista ed asfissiante di stampo napoleonico. Poi l’epopea risorgimentale ha nascosto le ragioni del brigantaggio sviluppatosi negli anni immediatamente post-unitari anche come reazione ai guasti provocati dall’unità d’Italia. E’ parte poi della retorica risorgimentale l’idea che i Savoia avessero ereditato un Sud borbonico più arretrato del Nord. Un solo dato: agli inizi del 900 il livello di vita della Calabria e dell’Emilia Romagna era esattamente lo stesso! Quindi gran parte del divario si è accumulato proprio durante la stagione unitaria. Ma il meglio ancora doveva venire. I meridionali per lo più contadini dalla miseria più nera dallo stato nazionale furono chiamati a combattere nelle trincee del Piave perché Trieste e Trento (stiamo parlando di pezzi della nazione al Nord) tornassero all’Italia. Gli imbecilli dicono che si fece l’Italia. La si sacrificarono “inutilmente” 700 mila vite umane delle quali + della metà erano poveri disperati del Sud.
Il fascismo riuscì a regalare al Sud almeno opere pubbliche e bonifiche. Nel dopoguerra furono fatte cose significative come la riforma agraria con le terre consegnate a chi le lavorava. La Cassa per il Mezzogiorno che cercò di importare in Italia un modello di sviluppo applicato con successo negli USA con la Tennessee Valley Authority. Ci fu il periodo degli economisti dello SVIMEZ come i Saraceno, i Sylos-Labini o lo stesso Mattei che disegnarono un processo di industrializzazione per il Sud guidato dalle partecipazioni statali che per un ventennio diede i suoi buoni frutti. Al Sud ben presto però, vuoi per la malavita organizzata, vuoi per il suo endemico malgoverno (i Meridionali vanno salvati prima di tutto da se stessi!!) la stagione dell’intervento straordinario si trasformò in permanente sostegno ai consumi; mentre gli investimenti ordinari andarono al Nord. Con una battuta il personaggio di Gassman nel film “Audace Colpo dei Soliti Ignoti” (stiamo parlando del 59) mostrava di conoscere la tacita regola della furba politica italiana: un pezzo di pane al Sud ed evasione fiscale a gogo al Nord.
Poi arrivò il boom economico. Si perse una grande occasione per unire l’Italia anche dal punto di vista economico. Creando le convenienze territoriali, fiscali e del costo del lavoro si sarebbero potuti estendere investimenti e sviluppo anche nel Sud. Invece quella cultura ipocrita falsamente egalitarista compromise la possibile propagazione dello sviluppo anche al Sud. Così milioni di braccianti abbandonarono affetti, terre e tradizioni, per andare a sostenere con le loro braccia il boom dell’industria del Nord. Al Nord caro Ricolfi e chi lo cita, non sono andati solo gli interessi ipertrofici di chi comprava pezzi di debito dello Stato come i BOT ma anche e soprattutto il flusso degli investimenti ordinari per il sostegno dell’industria, ad occhio, parecchie volte superiore alle briciole elargite al Sud. Si dimentica che si chiusero negli anni 70-80 “tre occhi” sull’evasione fiscale nel Nord-Est per non “disturbare” lo sviluppo economico che stava letteralmente esplodendo in quelle aree. Infine la chicca: il Leghismo Nordista. Dopo 130 anni questi signori scoprono che forse il tipo di stato che l’Italia si è data ai tempi dell’unità d’Italia non era quello giusto ma occorreva implementare un modello federale (si chiamerebbe così se Bossi & C. non si facessero ispirare a tratti dal “federalismo anni 90” Croato di Tudjman o quello Serbo di Milosevic). Bella scoperta! ma non vi sembra un po’ tardi dopo che ci avete ingessato con il vostro centralismo statalista alla francese ? Ora la soluzione di creare specularmente un partito del Sud significa ammettere che il nostro sottosviluppo non è questione nazionale ma territoriale. Significherebbe dare la stura stupidamente a contrapposizioni e rivendicazioni territoriali miopi ed egoistiche. Fa bene Napolitano a dire che l’arretratezza del Sud è questione nazionale e chi scrive sarebbe molto rassicurato se tutti i partiti nazionali mettessero al centro della loro agenda politica la ricerca di soluzioni. Pensate che un Italia con un Sud sviluppato come il Nord avrebbe un PIL molto vicino a quello tedesco! Già le soluzioni! Va bene il neo-interventismo statale propugnato da Rossi; va bene il fare leva sulla risorsa sociale come dice Viesti e Cassano; ma forse non basta. Occorre forse più semplicemente creare vantaggi e convenienze territoriali utili a calamitare investimenti non affidate alla discrezionalità della politica ma che esalti la sussidiarietà verticale così come si sta facendo in Irlanda e Spagna.
Francesco Vespe
1856: il Regno delle Due Sicilie è la terza potenza economica e industriale al mondo, dopo Inghilterra e Francia.
1861: Unità d’Italia, nasce la questione meridionale.
2009: la questione meridionale si aggrava sempre più.
2011: Napolitano in realtà non festeggia i 150 dell’Unità d’Italia, ma i 150 anni della questione meridionale.