“La tigre e il gabbiano” di Maria Di Tursi: suggestioni e spunti matematici di un libro sorprendentemente razionale nella recensione di Raffaele Marra.
Una delle prerogative più affascinanti dell’animo umano è la propensione a unire due tensioni apparentemente contrarie: quella centrifuga verso una straordinaria infinità di forme, colori, argomenti, suggestioni differenti tra loro e quella centripeta verso un principio razionale che a tale infinità tenta di dare senso e coerenza. La disciplina che meglio rappresenta questa duplicità di tensioni è probabilmente la matematica, e “La tigre e il gabbiano” (Il Convivio Editore, 2021) sembra fondare la propria essenza proprio
su una struttura di tipo matematico.
Il libro, infatti, al pari della matematica regala una vastissima quantità di spunti culturali che, a ben vedere, non riescono a sfuggire alla struttura logica che li governa; al contrario, essi sono posti in una sequenza che pare indiscutibile, funzionali alla narrazione e nell’insieme capaci di suggerire al tempo stesso le idee di razionalità e di infinito.
Razionalità e infinito, regola e incommensurabilità, logica e fantasia. Comunque lo si declini, il binomio è
irresistibile ed entusiasmante.
Ne La tigre e il gabbiano tutto sembra funzionare, nonostante la ricchezza di contenuti, spesso accennati, spezzo citati solo rapidamente, spesso rappresentati da flash luminosi che brillano per un istante e poi cedono prontamente il passo a nuove esperienze. Tutto sembra ben studiato, correlato da una logica narrativa in grado di governare tale ricchezza, con una semplicità che ricorda la regola matematica e il modo in cui questa fa evolvere i numeri elementari, uno dopo l’altro, verso l’infinito.
La protagonista del narrato è Sephira, ed è l’unico essere umano che si incontra in tutto il libro. Costei ha il ruolo del numero 1 nel sistema dei Numeri Naturali: come questo è l’elemento base, il principio creatore dell’infinita numerazione, cosi Sephira sembra voler enumerare da sola tutte le sfaccettature delle umane vicende.
Allora il libro si propone come un viaggio esteriore e interiore al tempo stesso, una esperienza ricca che invita a riflettere non su una vita ma sulla vita in genere, cosi come la matematica sa essere assoluta oltre che contingente.
Vi è armonia in tutto ciò, controllo e razionalità che non inficiano arte e fantasiosità, ma al contrario danno a queste motivo e forza perenne. E quello che succede, per fare un esempio, nella musica. Non a caso il viaggio straordinario di Sephira sembra partire nel momento in cui ella trova un liuto, uno strumento musicale che é strumento matematico di armonizzazione tra razionalità e infinito. Nello stile di scrittura di Maria Di Tursi vi è intenzionalità, dunque, e vi è controllo. Ciononostante la scrittura a volte evoca una
forma d’arte altra, simile all’esperienza pittorica di Jackson Pollock o un assolo jazz, o al cinema di David Lynch: la percezione di un progetto ben strutturato sembra essere superata talvolta dal gesto artistico stesso, da un atto creativo in cui si dà vita a qualcosa che apparentemente sembrava imprevedibile.
Apparentemente, sia chiaro. Perché poi tutto torna, tutto si mostra ancora una volta coerente e strutturato fino all’ultima pagina. E nell’ultimo capitolo, nel capitolo denominato “0”, che l’autrice declama infine la chiave del tutto, in un brano di pura poesia in cui ogni cosa mostra definitivamente la propria coerenza, in cui la vicenda letteraria trova compimento nel riconoscimento delle proprie origini, che sono il fulcro stesso della matematica e della fisica e, sembrerebbe, di ogni altra disciplina umana. L’autrice qui chiarisce il
proprio punto di vista, filosofico e fiabesco al tempo stesso, accomunando esplicitamente la vicenda diSephira e di tutti noi alla logica impeccabile del numero, in una digressione che è musica e scienza, coinvolgimento e convincimento. In una parola: armonia.