Riportiamo di seguito l’intervento sul ventennale dell’attentato alle torri gemelle di New York dell’11 settembre 2001 di Liliana Dell’Osso, direttore della clinica psichiatrica dell’Università di Pisa e vicepresidente della Società Italiana di Psichiatria, “Lucani Insigni 2020”, l’unica lucana presente nella banca dati online con i profili di cento esperte nelle aree scientifiche, secondo il progetto “100 donne contro gli stereotipi aree scientifiche”, riconoscimento di “Top Italian Women Scientists 2021”.
Il 25 agosto 2015 moriva Marcy Borders, meglio nota come Dust Lady (“Lady Cenere”), la giovane donna diventata uno dei simboli dell’attacco alle Twin Towers. Aveva fatto il giro del mondo la foto che la immortalava, completamente coperta di cenere, in fuga dal World Trade Center subito dopo l’attentato dell’11 settembre 2001. Dopo quel trauma, da cui pure era uscita fisicamente illesa, e a causa di esso, la sua vita andò in frantumi: sentendosi continuamente in pericolo, vedeva in chiunque un attentatore. Aveva flashback frequenti (sotto forma di immagini improvvise e vivide dell’attentato) e attacchi di panico ricorrenti. Da impiegata della Bank of America in tailleur e caschetto ordinato, negli anni si era lasciata andare, diventando dipendente da alcol e droghe, ed era stata privata della custodia dei figli. Pur dicendosi migliorata dopo aver appreso della morte di Bin Laden, alla fine ha sviluppato un tumore allo stomaco che la ha stroncata prematuramente all’età di 42 anni, 14 dopo quel terribile giorno.
Da simbolo dell’attentato a prototipo della patologia del sopravvissuto: il disturbo post-traumatico da stress (PTSD), che fa seguito all’esposizione a traumi estremi, quali eventi di massa (catastrofi naturali, terremoti, alluvioni o incidenti ferroviari) o individuali (rapine, violenze sessuali, aggressioni) che mettono in pericolo di vita o producono gravi lesioni al soggetto stesso oppure a terze persone. I sintomi tipici sono quelli di rievocazione sotto forma di incubi, immagini, ricordi terrificanti dell’evento, con evitamento di persone, luoghi e persino pensieri che lo ricordano. Concomitano sentimenti inappropriati di colpa, perdita della capacità di provare emozioni positive e fiducia nel futuro, ipervigilanza, con reazioni di allarme per stimoli minimi, disturbi del ritmo sonno-veglia, difficoltà di concentrazione, comportamenti spericolati ed autodistruttivi, come abuso di alcol e droghe, fino al suicidio. Anche quando non raggiunge un’espressività così marcata, la patologia ha comunque un decorso cronico e invalidante.
Recenti ricerche (tra cui proprio quelle svolte sugli abitanti di Manhattan e sui spravvissuti al terremoto di L’Aquila del 2009) hanno permesso di tracciare l’identikit del soggetto a rischio di sviluppare un PTSD a seguito dell’esposizione ad un trauma grave: donna, giovane, single. Sebbene l’entità oggettiva del trauma sia importante, la presenza di tratti ossessivi, in particolare la tendenza a rimuginare, rappresenta il fattore predisponente cruciale. Infatti comporta un’esposizione ripetuta al trauma, riattualizzandolo e amplificandone progressivamente l’impatto patogeno. Da qui il decorso tipicamente ingravescente.
In pratica, si cade sotto il “fuoco amico” dei nostri stessi pensieri. In gioco ci sarebbe un’alterazione del meccanismo dell’oblio: il nostro cervello elimina i ricordi non in maniera passiva, cioè perdendoli come fosse un recipiente bucato, ma attivamente, rimuovendo ciò che non gli serve o lo danneggia (come il ricordo doloroso di un trauma). In questi casi avere una memoria particolarmente efficiente diventa, paradossalmente, uno svantaggio. «Oh memoria, nemica mortale del mio riposo», scriveva Miguel de Cervantes.
Per quanto riguarda gli aspetti personologici predisponenti, tratti narcisistici, in particolare un senso grandioso di sé, compromettono le capacità di adattamento: «Proprio a me doveva succedere!». L’assenza di supporto psicosociale, in particolare familiare, completa la lista dei fattori di rischio di psicopatologia correlata all’esposizione a un trauma di gravità estrema.
Al polo opposto rispetto alla “vulnerabilità”, nella dimensione della capacità di fronteggiare gli eventi stressanti (coping), c’è la “resilienza”, vale a dire la capacità di affrontare in maniera positiva gli eventi, di dare nuovo slancio alla propria esistenza, ripartendo magari proprio dal trauma.
Infine, come la storia di Dust Lady dimostra, dobbiamo considerare, oltre alla salute mentale, quel connubio inscindibile fra mente e corpo, fra malattia mentale e salute fisica. Molti studi nei veterani di guerra (dal Vietnam al Golfo, all’Afghanistan) hanno mostrato che il PTSD, soprattutto la sua forma più grave, si associa ad alti tassi di malattie infiammatorie e autoimmuni.
Da “Fatti di quotidiana follia” Dell’Osso L (Giunti, Firenze)