La raccolta delle acque. Palombari e fontane a Matera. E’ il tema scelto da Nino Vinciguerra per la nuova puntata della rubrica “La storia siamo noi” in esclusiva su SassiLive. Di seguito il suo intervento.
«Ngi è uno luocho de acqua chiamato il Gurgo. Li antiqui lo chiamarono fontana bona per essere a tempi secchi nel fundo di quello una acqua sorgente che mai disseccha quale escie da vivi sassi» (Eustachio Verricelli, Cronica di Matera 1595). Sempre secondo la descrizione di Verricelli, Matera ha un agro ricco di «fontane d’acque vive et puzzi surgenti abundevoli che ovunque se cava se trovane acque bonissime da petra viva con grandissima abundancia» e «Nel entrare de la Città è una fontana abondante surgente con una conserva grandissima de acqua. La Città ha fatte due altre conserve una avante l’Arcivescovato». L’approvvigionamento idrico è stato sempre un problema ma, nel tempo, si è ovviato con la costruzione di cisterne. Matera è una «città non solo longeva ma perennemente vitale» il cui cammino non si è mai interrotto e i Sassi infatti rappresentano uno degli agglomerati urbani più antichi al mondo; ma non avevano un acquedotto per cui l’esigenza di raccogliere e conservare l’acqua ha portato i suoi abitanti a scavare cisterne, collegate e alimentate con il sistema di vasi comunicanti. Ci si ingegnava e si creavano articolati ed efficaci sistemi di canalizzazione; un lavoro fine che permetteva alla popolazione di sopperire agli infiniti disagi. Era una cultura improntata sull’ottimizzazione delle risorse tramite un intricato sistema di canali, cisterne e palombari. Dalla grotta hanno origine le forme e i tipi dell’architettura costruita e con i tufi ottenuti scavando, si realizza la parte che chiude l’entrata. Questo muro di tamponamento si chiama “palomba”. Da questo termine deriva, a Matera, “palombaro” perché la cisterna è proprio l’uso più antico delle vaste cavità sigillate. In latino il palombarium era un invaso artificiale d’acqua; la parola deriva dall’attività del piombaio che con il metallo rendeva stagne le superfici. A inizio ‘800 fu costruita una nuova grande cisterna (terminata nel 1848, ampliata nel 1870 e tornata alla luce nel 1991: il Palombaro Lungo) che sostituì le cavità naturali e le due cisterne già esistenti; i lavori interessarono anche la Fontana Ferdinandea con la canalizzazione dell’acqua proveniente dalla Collina del Lapillo (collina del castello). Arcangelo Copeti (“Notizie della città e di cittadini di Matera”) fa risalire al 1351 la prima risistemazione della condotta che convogliava le acque sorgive della Collina del Lapillo al piano della fontana, «Essendosi aperto l’antico canale della pubblica Fontana si trovò, che sopra pietre antiche, che mostravano riattamento, vi era segnata l’epoca del 1351». Nel 1845 Mons. Antonio Di Macco fece costruire nel Sasso Caveoso una profonda cisterna e l’acqua fu portata da Lanera attraverso una lunga e tecnicamente perfetta canalizzazione, un vero e proprio acquedotto. La carenza idrica ebbe parziale risoluzione con l’allacciamento alla condotta dell’Acquedotto Pugliese (20 luglio 1927), evento che contribuì al miglioramento sociale ed economico. Grazie anche ai fontanini, che riducevano le percorrenze e i tempi, si evitava di attingere acqua dalla impervia Gravina, “giù allo Jurio”. L’acqua è un dono che porta freschezza anche interiore. Per questo dobbiamo valorizzarla e non sprecarla. L’esempio sono i nostri avi che ci hanno dimostrato con la “raccolta delle acque” che non bisogna sprecarne neanche una goccia. L’acqua è vita.
Nino Vinciguerra