Presentato nel pomeriggio nell’aula magna dell’Università di Basilicata a Matera il libro “Centri e periferie” di Gianfranco Viesti, edito da Laterza.
Con l’autore sono intervenuti Giovanna Iacovone e Loredana Giani e i professori Aldo Corcella, Mauro Fiorentino, Ferdinando Mirizzi e Carmelo Petraglia.
Di seguito la parte iniziale dell’introduzione al volume di Gianfranco Viesti che che presenta motivazioni e principali conclusioni del testo.
Questo libro si occupa delle trasformazioni della geografia economica dell’Europa e delle sue regioni dal Novecento al nuovo secolo. In questo quadro analizza le trasformazioni delle regioni italiane, con particolare attenzione a quelle del Mezzogiorno. Discute anche molto dell’impatto delle politiche pubbliche su questi fenomeni, in particolare in Italia.
Nasce da tre principali esigenze. La prima è quella di collocare la situazione dell’inizio degli anni Venti del XXI secolo in un quadro storico più ampio. Le forze e le debolezze delle diverse economie hanno radici che vanno anche molto indietro nel tempo, sono collegate a processi di trasformazione strutturale che si sono realizzati nel corso del Novecento e di cui è necessario tenere conto per comprenderne la situazione e le prospettive. Al tempo stesso va sottolineato come il nuovo secolo si sia caratterizzato per sensibili cambiamenti tecnologici, economici, istituzionali e politici rispetto al Novecento, in parte in corso sin dalla fine di quel secolo. Non si possono leggere le regioni europee, e fra di esse quelle italiane, senza ripercorrere la lunga strada che esse hanno percorso, i loro processi di industrializzazione prima e di terziarizzazione poi; ma al tempo stesso è necessaria una grande attenzione per le dinamiche più recenti, per comprendere quanto e perché il nuovo secolo sia differente. L’allargamento dell’Unione Europea, la comparsa imperiosa delle economie emergenti nel commercio internazionale, le grandi innovazioni a matrice digitale, la forza di condizionamento delle politiche pubbliche da parte delle ideologie liberiste disegnano un quadro molto diverso da quello del Novecento, che è definitivamente alle nostre spalle.
La seconda esigenza è quella di collocare ciascuna regione in un quadro geografico più ampio e in una prospettiva comparata. Le sorti di ogni territorio non dipendono solo da quello che accade al suo interno o nel paese di cui fa parte, ma anche dalle dinamiche d’insieme dell’Europa e del mondo. I diversi territori sono regioni all’interno di economie nazionali, e questo conta ancora moltissimo, ma fanno anche parte di un’economia europea assai più integrata che in passato. L’allargamento dell’Unione ha spostato l’asse industriale del continente verso Nord-Est; il maggior peso del terziario, ed in particolare delle sue componenti più moderne, ha favorito le sue aree urbane; le migrazioni, interne ed esterne all’Europa, plasmano sempre più nettamente le dinamiche demografiche delle regioni europee e ne influenzano quelle economiche; le politiche più liberiste e di maggiore austerità, nell’ambito delle regole dell’Unione, penalizzano le componenti geografiche e sociali più deboli.
La terza esigenza nasce dalla pandemia Covid-19. Essa ha colpito duramente tutto il mondo, ma i suoi effetti sembrano essere ancora più forti sulle componenti più fragili della società, il suo impatto economico sembra maggiore per i più poveri, per i più giovani, per le donne, e in certa misura per i territori più deboli. Essa rischia quindi di esasperare le tendenze già in corso alla polarizzazione sociale e territoriale. Rende ancora più necessaria un’azione pubblica determinata, tanto per rilanciare la crescita economica quanto per renderla più inclusiva, contrastando l’aumento delle disparità. Disegnare questa rinnovata azione pubblica non sarà affatto facile e per farlo al meglio può essere utile partire il più possibile da una conoscenza approfondita della situazione precedente, delle dinamiche che avevano segnato il primo ventennio del secolo, delle politiche che erano state messe in atto e dei loro effetti. Il dibattito pubblico, e in parte anche la discussione scientifica, su questi temi non è particolarmente soddisfacente, spesso orientata da analisi parziali e descrizioni sommarie. Questo libro cerca di fornire un contributo.
In generale nasce dal tentativo di collocare le analisi dello sviluppo regionale italiano, ed in particolare delle disparità interne al paese, in un quadro più ampio; dalla convinzione che per comprendere le cause, la situazione e le prospettive dello sviluppo di tutti i territori italiani sia indispensabile collocarle nell’ambito delle grandi trasformazioni, economiche, tecnologiche, politiche del quadro internazionale, compararle sistematicamente con ciò che avviene nel resto d’Europa, comprendere l’importanza e l’impatto di tutte le politiche pubbliche. È difficile capire il Mezzogiorno o l’Italia guardando solo quel che accade nel presente, e nei loro confini.
Nasce dall’imperativo di sottolineare come il futuro non sia scritto, e come sia possibile costruire con accorte politiche pubbliche processi di sviluppo più soddisfacenti per l’intero paese, migliorando la vita e le opportunità di tutti i suoi cittadini. Senza rassegnarsi alle tristi parole che il grande romanziere Amin Maalouf ha dedicato al suo Libano e che all’inizio degli anni Venti potrebbero bene descrivere i sentimenti di molti italiani: “dalla scomparsa del passato ci si consola facilmente; è dalla scomparsa di futuro che non ci si riprende. Il paese la cui assenza mi rattrista e mi ossessiona non è quello che ho conosciuto in gioventù, è quello che ho sognato e che non ha mai potuto vedere la luce”.
I principali messaggi di questo libro sono tre. Il primo è che un forte sviluppo delle periferie (cioè dei territori meno avanzati), una loro crescita economica maggiore rispetto ai centri (cioè a quelli più avanzati), non è affatto scontato: si è avuto per larga parte del Novecento, ma non più nel nuovo secolo. Dipende dalle specifiche condizioni politico-istituzionali, economiche e tecnologiche che si determinano nelle diverse aree geografiche nei diversi periodi storici. Per molti versi tali condizioni sono state piuttosto favorevoli nel corso del Novecento, ed in particolare nel secondo dopoguerra. In Europa, vi è stato un complessivo indirizzo politico volto alla riduzione delle disuguaglianze, fra le persone e fra i territori, e l’integrazione continentale ha prodotto flussi di capitali e di tecnologie verso le periferie tali da favorirne la crescita. Tanto all’interno dei paesi quanto nel complessivo quadro continentale i livelli di benessere delle aree più deboli si sono accresciuti e le distanze con quelli delle aree più forti si sono ridotte. Ma il quadro è profondamente mutato tra la fine del Novecento e l’inizio del nuovo secolo. Si sono affermati indirizzi politici più favorevoli all’azione dei mercati, meno attenti alle disuguaglianze. Le stesse politiche europee hanno privilegiato la tutela e promozione della concorrenza, le riforme strutturali, indirizzi di bilancio orientati in misura nettamente prevalente alla stabilità delle finanze pubbliche. L’economia mondiale si è trasformata in modo straordinariamente rapido. L’irrompere dei paesi emergenti ha avuto effetti molto differenziati sulle regioni europee; l’allargamento dell’Unione ad Est ha completamente ridisegnato le convenienze localizzative, l’integrazione produttiva, i flussi commerciali. Il quadro europeo è divenuto più complesso, e sono emerse maggiori difficoltà per le regioni in quella che può essere definita la trappola dello sviluppo intermedio. Le dinamiche tecnologiche, in particolare con il forte sviluppo della digitalizzazione e dell’automazione, stanno avendo effetti complessi ma intensi sulle regioni, per molti versi favorevoli alla polarizzazione nello spazio delle attività economiche. Polarizzazione favorita anche dalle nuove condizioni demografiche nelle quali sono cruciali i flussi migratori diretti verso i centri.
Il secondo messaggio di questo libro è che in questo quadro l’Italia è stato il paese che ha avuto le performance più modeste, in particolare nelle sue aree più deboli; così che il Mezzogiorno è stata la parte d’Europa con i peggiori andamenti nel nuovo secolo. Non è difficile spiegare il perché: ne ha subìto di più gli effetti negativi, è stato meno in grado di sfruttarne le opportunità. Le trasformazioni internazionali hanno messo in difficoltà una parte rilevante dell’apparato produttivo italiano, più intensamente laddove era più fragile, per specializzazione settoriale, assetti dimensionali, capacità di innovazione; la forte caduta della domanda interna ha penalizzato le attività non esportatrici: entrambe le circostanze sono state più rilevanti nel Mezzogiorno. I mercati internazionali hanno aperto nuove possibilità soprattutto per i produttori di meccanica specializzata, quasi esclusivamente del Nord. La patologia del capitalismo italiano è stata non aver creato nuove attività, soprattutto nell’industria più avanzata e a maggiore intensità di innovazione e in quel vasto ambito dei servizi avanzati cresciuti nelle regioni europee più forti. Anche questa patologia, non sorprendentemente, è stata maggiore al Sud, dove le aree urbane sono meno dotate delle condizioni favorevoli alla nascita di nuove attività terziarie, in termini di diffusione dell’istruzione e presenza di economie di agglomerazione. Anche vasti territori del Centro e in parte del Nord del paese, pur partendo da livelli di sviluppo maggiori, hanno subìto le stesse dinamiche negative. I flussi di popolazione, dall’estero e interni al paese, sono stati collegati alle diverse opportunità di lavoro che si sono determinate e hanno contribuito ad aggravare questi squilibri.
Il terzo ed ultimo messaggio di questo libro è che le condizioni affinché possano svilupparsi nuove attività economiche non si determinano spontaneamente soprattutto nelle aree più deboli, ma richiedono attente politiche pubbliche che contribuiscano a crearle. In particolare, azioni per l’infrastrutturazione avanzata, la promozione del cambiamento strutturale delle imprese, il potenziamento dell’istruzione e della ricerca. Ma in Italia non vi sono state: e questo ha contribuito alle difficoltà del paese ed in particolare del Mezzogiorno, data anche la sostanziale assenza di specifiche politiche mirate alla coesione territoriale. Inoltre, l’austerità nella spesa pubblica è stata per molti versi territorialmente selettiva, e ha colpito di più le regioni più deboli, aggravandone le dinamiche economiche e non contribuendo alla riduzione di quei divari civili che in Italia sono maggiori che altrove.
Nella storia economica, non ci sono paesi che si sviluppano per caso. Le grandi trasformazioni sono sempre frutto di un lungimirante disegno collettivo, che crea anche le condizioni per far crescere l’iniziativa e l’imprenditorialità privata. Il triste primo ventennio del XXI secolo del Mezzogiorno è lo specchio del triste ventennio dell’Italia: un paese incapace di disegnare strategie per rilanciare la sua economia nel nuovo quadro internazionale dopo i successi per molti versi straordinari del XX secolo. Incapace di uscire da un estenuante conflitto sulla manutenzione dell’esistente e di costruire, anche attraverso un conflitto politico e sociale aperto, un futuro diverso. Attraversato, anche per questo, da rabbie e rancori, da contrapposizioni anche a base territoriale. Nel quale chi più ha cerca di trarre vantaggio dalla propria posizione e disegna per proprio conto il futuro della propria famiglia, della propria impresa, del proprio territorio.
La fotogallery della presentazione del libro di Gianfranco Viesti (foto www.SassiLive.it)