Stop prestazioni pazienti lucani all’ospedale Miulli di Acquaviva delle Fonti Circolo Culturale La Scaletta: “Inascoltate le nostre proposte”. Di seguito la nota integrale.
Un vecchio adagio recita: tanto tuonò che piovve! Il tuono dirompente successivo alla decisione presa dall’Ospedale Miulli di Acquaviva delle Fonti di sospendere l’erogazione di prestazioni sanitarie a favore di residenti lucani che si rivolgono al suddetto nosocomio alla ricerca di una soluzione ai loro problemi di salute, soluzione purtroppo non soddisfatta in Regione Basilicata, è stato diffuso dalla stampa quotidiana in questi giorni. È inutile ricordare come nel Report sullo stato della rete ospedaliero lucana, approntato dal Circolo La Scaletta di Matera e divulgato in Regione nel maggio u.s., veniva segnalato alla pubblica opinione un dato allarmante: 1 su 4 residenti lucani si rivolgono a strutture ospedaliere extra-regionali per i loro bisogni di salute, dato recentemente ribadito da uno studio approntato da una agenzia governativa, l’AGENAS, su commissione della Regione Basilicata.
Inoltre, osservando i dati del Report e quelli prodotti dall’AGENAS, risulta evidente come circa il 70% delle fuga extraregionale di pazienti lucani si rivolge a strutture ospedaliere delle Regioni limitrofe, in particolare la Regione Puglia e la Regione Campania, dato che lascia intendere come sia la prossimità territoriale ad indirizzare la scelta. Sicuramente tale fuga ha trovato terreno fertile nelle politiche sanitarie della Regione Basilicata degli ultimi 20 anni, con le quali si è voluto accorpare e accentrare in un unico presidio ospedaliero, individuato nel capoluogo regionale, il nerbo delle attività specialistiche, depotenziando nel contempo quelle strutture prossime ai confini regionali: si veda, ad esempio, lo stato di abbandono in cui sono piombati gli ospedali di Matera, Melfi, Lagonegro ed altri. Le responsabilità della eccessiva migrazione sanitaria è da addossare unicamente alle politiche messe in atto dalle diverse classi dirigenti che si sono alternate al governo regionale: raccordare l’erogazione dell’assistenza sanitaria all’unico criterio del contenimento dei costi. I vari Direttori Generali delle Aziende Regionali Sanitarie, accordandosi a tale indirizzo di programmazione sanitaria, si sono fregiati del merito di aver mantenuto in parità il bilancio loro assegnato (con i benefici del caso!), senza prestare la dovuta attenzione alla qualificazione del personale e all’efficienza operativa! Poco importa se non si erogano prestazioni eccellenti e non se ne controlla numero e qualità dei medesimi; l’importante è non spendere: blocco del turn-over del personale sanitario, promozione a ruoli apicali di professionisti già in organico nelle strutture ospedaliere regionali a prescindere a volte da un giudizio di merito sulle persone prescelte, etc.
Nel merito della decisione presa dagli organi dirigenziali dell’Ospedale Miulli di Acquaviva: blocco delle prestazioni ai pazienti provenienti dalla Regione Basilicata per aver raggiunto già a fine Ottobre il tetto remunerativo previsto dalla Regione (Puglia, Basilicata?) per prestazioni sanitarie. Si vuole ricordare che per ogni anno le Regioni stanziano nei loro bilanci una cifra da corrispondere alla sanità privata convenzionata: se questo “tetto” viene raggiunto prima della fine del corrispondente anno solare, gli enti che erogano prestazioni lo fanno a loro carico! L’ingiustizia di tale norma regionale appare in tutta evidenza quando si nota come tale “tetto” si applichi solamente alla sanità privata, seppure convenzionata, mentre gli istituti ospedalieri pubblici ne sono esentati. È facile prevedere che, col blocco dell’offerta sanitaria ventilato dall’Ente Ecclesiastico che governa l’Ospedale di Acquaviva, la migrazione sanitaria dei lucani non verrà arrestata, ma si rivolgerà semplicemente alle altre strutture pubbliche pugliesi! La Regione Basilicata sarà, pertanto, nella necessità di sostenere il costo della migrazione sanitaria dei pazienti lucani che si rivolgeranno a queste strutture! Dalla relazione del precedente Direttore Generale (f.f.) dell’Azienda Sanitaria Materana abbiamo appreso come nel 2019 vi sia stato un saldo negativo di 25.500.000 tra mobilità passiva e mobilità attiva, somma che si sarebbe dovuta re-investire sulla medesima Azienda qualora si fosse riuscito ad intercettare la domanda di prestazioni sanitaria di qualità. Tenendo conto che la popolazione lucana che fa riferimento all’ASM è circa il 40% della totalità dei residenti in Regione, si può stimare come ogni anno la Regione Basilicata deve impiegare 80.000.000 di euro per far fronte alla mobilità extra-regionale.
Con comunicato dell’ufficio stampa della Giunta Regionale dei giorni scorsi, viene ricordato come la richiesta di innalzare il tetto per le prestazioni extraregionali sia stato indirizzato al Governo della Regione Puglia da parte dell’Amministrazione dell’Ospedale pugliese, ma non emerge il dato che è pur sempre la Regione Basilicata che si dovrà in ultima analisi sobbarcare l’onere economico della mobilità extra-regionale!
Il Circolo La Scaletta ha già evidenziato nel Report sulla rete ospedaliera la necessità di un cambio culturale nell’approccio alla programmazione sanitaria in Regione: al criterio che vincola le Aziende Sanitarie regionali al pareggio di bilancio, occorre, però, puntare sulla eccellenza delle cure erogate. Abbiamo avanzato proposte che, a costo zero, potrebbero assicurare un ricupero, almeno parziale, degli 80 milioni di euro che annualmente la Regione Basilicata offre al bilancio sanitario delle Regioni confinanti. Vogliamo ribadire le proposte che, a nostro parere, sono indispensabili ed imprescindibili, se si intende veramente ridurre la mobilità sanitaria extra-regionale. I livelli su cui agire potrebbero essere:
1. attrarre in Regione competenze sanitarie attualmente carenti;
2. formare specialisti nelle specialità associate a maggiore mobilità passiva;
3. promuovere la professionalità degli operatori attualmente assunti nei vari presidi ospedalieri regionali;
4. obiettività nella selezione concorsuale per l’assunzione di nuovi professionisti;
5. costante controllo dell’operato dei professionisti sanitari.
Dobbiamo constatare che negli ultimi 6 mesi non si è avuto alcun riscontro, tantomeno si registra un’inversione delle politiche sanitarie regionali. Vox clamans in deserto!