Il Consiglio generale della Fondazione Lucania Film Commission, composto dai sindaci di Matera e Potenza, Domenico Bennardi e Mario Guarente, dai presidenti delle Province di Matera e Potenza, Piero Marrese e Rocco Guarino e del delegato della Presidenza della Regione, Michele Buscialano, ha deciso nel pomeriggio all’unanimità di revocare l’incarico a Roberto Stabile di presidente della Fondazione Lucana Film Commission “alla luce delle dichiarazione ritenute offensive nei confronti di tutti i lucani rilasciate da Roberto Stabile nello speciale di Repubblica pubblicato l’11 novembre scorso”, di cui riportiamo di seguito il testo integrale. Stabile, aveva criticato in particolare l’operato di Regione Basilicata e delle Amministrazioni Comunali di Matera e Potenza, a suoi avviso distratte da battaglie “di campanile”. L’incarico di Stabile, a titolo gratuito, era stato conferito a Roberto Stabile nel novembre dello scorso anno.
Michele Capolupo
L’inchiesta di Repubblica con le dichiarazioni di Roberto Stabile contestate dal Consiglio generale della Fondazione Lucania Film Commission
“Matera, un ciak nel buio”
Inchiesta sulla città dei Sassi amata dal cinema. Al bivio tra un sogno e un naufragio
di Carlo Bonini (coordinamento editoriale) e Simonetta Sciandivasci.
Coordinamento multimediale di Laura Pertici. Produzione Gedi Visual
I primi diciotto minuti di No Time To Die, il venticinquesimo James Bond che è al cinema in mondovisione (Cina inclusa) da poco più di un mese, sono un’apocalisse culturale. L’apocalisse, quando non è la fine del mondo, è l’evento che toglie ciò che copre, ciò che nasconde. I Sassi di Matera, che lo sguardo internazionale identifica con la città e che però ne sono soltanto il rione anagrafico, 007 li ha disseppelliti da Gerusalemme, civiltà contadina e tutto l’immaginario giudaico-cristiano che li aveva assorbiti, dopo che ne erano diventati l’ambientazione più veridica e naturale. Daniel Craig è arrivato in Aston Martin, ha corso su bolidi volanti, ha sparato, rincorso, imprecato, fatto sesso, e lo ha fatto tra muretti stradine e grotte dove sembrava non si potessero che girare scene di processioni, crocifissioni e conversioni. La deflagrazione che arriva alla fine di quei diciotto minuti ha un valore simbolico del quale il regista Cary Fukunaga è senz’altro inconsapevole: gli stereotipi, come le epoche, finiscono così, all’improvviso e senza dolo, per mano di chi non ne sapeva niente, s’è trovato a passare. Nessuno aveva mai osato far esplodere i Sassi perché nessuno ha mai usato Matera come un set qualsiasi, dove tutto risponde alle esigenze di copione e non alla fedeltà alla verosimiglianza o alla sacralità del passato. Stavolta è andata diversamente. Hollywood ha fatto piazza pulita di Cristo violandone il set e appropriandosene. Cristo, del resto, per Matera è stato ingabbiante sia quando non c’era (s’era “fermato a Eboli”) e Carlo Levi raccontava una città di poveri cristi senza Dio, dimenticati, dannati e miseri, sia quando c’era ed era il soggetto perfetto per un kolossal. Nel pacchetto mainstream con cui la città è stata proposta e raccontata finora, ci sono sia il presepe che l’inferno.
L’eredità di Bond
James Bond, però, ha aperto altre strade. La rottura di un immaginario porta con sé l’audacia che istruisce le imprese: liberando la città da un rimando coatto, la spinge a ridefinirsi, quindi a osare. Ora che Matera gode di una buona notorietà, la posta in gioco non è più quanti visitatori e nuove produzionicinematografiche attrae, bensì che chance ha di diventare il centro nevralgico di un polo produttivo. È plausibile che, da semplice set, diventi filiera?
A settembre del 2019, durante le riprese di No Time To Die, l’allora presidente della Lucania Film Commission, Paride Leporace disse al Sole24Ore: “Dopo questo film, Matera potrebbe diventare stabilmente set e casa di produzione. Insomma, una nuova Cinecittà”. La troupe americana che stava lavorando al film era composta da 600 persone: per le maestranze locali c’era ben poco da fare. “Mi sarebbe piaciuto invitare al cinema tutte le maestranze del posto, avevo deciso di predisporre l’acquisto di tutti i biglietti per una proiezione speciale, soltanto per loro, ma poi ho scoperto che non occupavano che tre o quattro file del cinema”, dice a Repubblica Roberto Stabile, responsabile delle relazioni internazionali dell’Associazione nazionale industrie cinematografiche audiovisive (Anica) e presidente della Lucana Film Commission (LFC) dall’autunno del 2020. Il suo predecessore, Paride Leporace l’aveva guidata sin dalla sua nascita, nel 2013, occupandosi principalmente di sostenere tutti (o quasi) i prodotti audiovisivi girati in Basilicata, i festival, i percorsi di formazione: per farlo, ogni anno disponeva di un bugdet che, in media, non superava il milione di euro – il finanziamento stanziato dalla regione per dare vita alla LFC era stato di 500 mila euro.
Appena nominato, l’anno scorso, Stabile disse che avrebbe lavorato affinché la Basilicata diventasse “la casa di future produzioni audiovisive nazionali e internazionali, potendo fornire servizi di prim’ordine e fondi che valorizzino la già forte attrazione data dalle bellezze del territorio”. Oggi dice a Repubblica: “Quando mi hanno proposto la nomina, ho accettato perché sapevo che i potenziali lucani erano per la maggior parte inespressi: frequentando la regione, mi sono reso conto del perché: nella maggior parte dei casi, gli amministratori locali si perdono in battagliucce di quartiere, provincia e casolare, e non si uniscono per fare passi avanti. Oltre alle rivalità propriamente politiche, ci sono quelle, ataviche e quindi praticamente insuperabili, di campanile, tra Matera e Potenza. Come se non bastasse, il lavoro della Regione è gestito da una maggioranza poco coesa e per questo particolarmente rallentata. La scorsa estate sono stato al centro di moltissime polemiche perché ho denunciato pubblicamente come, di fatto, le istituzioni locali mi impedissero di lavorare”. Come? “Faccio un esempio molto concreto: ancora oggi, nonostante mi abbiano approvato i bilanci, non mi hanno approvato il piano di assunzioni, così che, attualmente, alla Lucana Film Commission ci lavoro soltanto io, insieme alla mia assistente personale, pagata da me, nell’attesa di poter istruire i bandi per assumere personale. Il paradosso è che sono stati autorizzati i soldiper pagare gli stipendi ma non il processo per far lavorare chi li dovrebbe percepire. Io ho rinunciato a qualsiasi emolumento sin dall’inizio, l’avevo posta come condizione per poter lavorare: non prendere neanche un euro ma venire lasciato libero di portare avanti i miei progetti. Diversamente, sapevo che mi sarei trovato invischiato in una serie di obblighi e inghippi ulteriori a quelli che fronteggio adesso e che sono eminentemente burocratici”.
Un destino incerto
È stato Stabile a organizzare l’anteprima internazionale di No Time To Die a Matera, lo scorso 29 settembre, con Craig in dad e Maria Grazia Cucinotta e Giannini e Lollobrigida che sembravano una riedizione di Viale del Tramonto, il solo jet set che la ex capitale degli ultimi può veramente permettersi, peraltro nel cinema Comunale, unico superstite dei tre grandi cinema cittadini, che però dopo essere stato ristrutturato non ha mai riaperto a pieno regime. È una struttura magnifica, ricavata all’interno dell’ex convento che ospita la Biblioteca provinciale, malmessa da quasi un decennio per cronica mancanza di fondi e personale: nel 2015, in ottemperanza alla legge Delrio, la competenza della struttura venne trasferita dalla Provincia alla Regione, cosa che bloccò la destinazione dei fondi, il turn over, la formazione del personale: dall’incertezza che ne conseguì, la Biblioteca non si è ancora ripresa. Il cinema non ha gli stessi problemi anche se, dalla riapertura dopo un lungo restauro, non ha mai ripreso l’attività a pieno regime, e questo lo fa percepire come in bilico, ponendolo di fatto fuori dal circuito di quello che, durante il 2019, venne chiamato “il circuito dei contenitori culturali” – una delle molte diciture roboanti ma, di fatto, inconsistenti di quell’anno. I cinema hanno un destino incerto in tutto il mondo, tuttavia una città che punta così tanto sull’audiovisivo e che vuole essere molto di più di un teatro di posa, non può non coinvolgere in questo processo le strutture di cui dispone, non può non connetterle in un progetto articolato di metamorfosi della città dove il cinema sia un filo conduttore. Far diventare Matera una “città del cinema”, del resto, è un’ambizione che chi la governa, al pari di chi ci vive, dichiara di avere da anni. Non è un’ambizione peregrina, né richiede uno sforzo immaginativo: la città è già predisposta dalla sua storia, dalla sua conformazione, dalla congiuntura attuale. Il fatto che i tre cinema storici della città siano uno chiuso per sempre (il Kennedy), un altro abbandonato in attesa di giudizio (il Duni), un altro aperto a giorni alterni (il Comunale), mentre il multisala appena fuori città convoglia pubblico anche dalla Puglia, guasta qualsiasi progetto che con il cinema abbia a che fare. Far vivere le sale in un centro che voglia porsi come capitale di filiera cinematografica, infatti, ha un senso profondo: significa coinvolgere i materani, che nel 2019 venivano chiamati “abitanti culturali”, nella nuova identità della città. Non riuscire a farle vivere, invece, oltre a presagire il naufragio, estromette i cittadini da una nuova economia culturale, li separa da un bene pubblico.
Il cinema Duni, un esempio raffinatissimo di architettura anni Cinquanta, dopo un abbandono durato anni, è stato acquisito dal Comune, che è riuscito a far valere il diritto di prelazione grazie anche all’intervento della sovrintendenza eppure versa ancora nell’incuria. Il sindaco continua ad assicurare che i fondi che sono stati stanziati e previsti per gli interventi di recupero, saranno più che sufficienti ad avviare i lavori. Tuttavia, da mesi, si aspetta la pubblicazione del bando per cominciarli. Entro il 2023, i fondi verranno ritirati se la struttura non sarà agibile – su questo, tuttavia, ci sono voci discordanti: il sindaco nega anche la semplice possibilità che ciò accada. In poche città italiane l’aggregazione sociale ha un’importanza tanto cruciale come a Matera, poiché la sua storia è fatta di estromissioni e lacerazioni drammatiche: all’inizio di ogni sua mutazione c’è stata una frattura, violenta e repentina, tra classi sociali.
Nella seconda metà del Seicento, Matera diventò prima sede del tribunale della Regia Udienza, poi capoluogo di regione, attraendo così un ceto impiegatizio che, venendo da fuori, non poteva adattarsi a vivere nelle case aggregate del Sasso. Fu allora che la città cominciò a uscire fuori dal suo nucleo e lo fece in salita, costruendo il Piano per sopraelevare il tessuto urbano e creare quartieri borghesi dai quali gli abitanti dei bassi, i poveri cristi, vennero del tutto estromessi. Il Piano diede a Matera un secondo livello, un’altezza che produsse una diversificazione sociale fino ad allora inedita e impresse allo sviluppo della città due velocità diverse. Quando il Novecento scese a Matera, nel 1948, nelle vesti di Palmiro Togliatti che, dopo aver visitato i Sassi li definì una vergogna nazionale, si decise che quelle due velocità andavano equiparate. Non molto tempo dopo, nel 1952, fu approvata una legge per lo sfollamento del rione: più di diciassettemila persone vennero trascinate via dalle loro case e portate a vivere molto lontano, in quartieri rurali che diventarono presto dei ghetti e dove tuttora quelle persone e i loro eredi vivono: nella maggior parte dei casi, fuori dalla città. Sono questi i due momenti più emblematici (ma non unici) di una storia sociale ritmata da fratture violente tra ceti e strappi, scissioni arbitrarie e violente, interventi artificiali per togliere l’uomo dalla sua simbiosi con il creato, dividere il selvatico dal naturale, la fratellanza dalla prossimità. ̖
Nessuna di queste fratture è stata mai davvero sanata: per questo è stato così sbalorditivo il risultato del 2019, quando la città è diventata capitale europea della cultura grazie anche al lavoro compatto e partecipe di tutta la cittadinanza. Il cinema, adesso, sembra il candidato migliore per incaricarsi dell’onere di saldare quella compattezza, di darle un nuovo scopo e un nuovo punto di incontro: assai più del turismo, è questo l’assist del futuro. Quando Pasolini arrivò a Matera, negli anni Sessanta, si innamorò della popolazione superstite dello sgombero perché aveva il volto che gli serviva per il suo film, il volto non contaminato dalla modernità, ambiguo e “vicino alla carezza rivoluzionaria di Cristo”; perché era ciò che rimaneva del mondo arcaico, incorrotto dalla mutazione antropologica. Scelse di girare il Vangelo a Matera non perché i Sassi assomigliassero a Gerusalemme, ma perché chi ci abitava incarnava alla perfezione l’inespugnabile radicalità delle masse contadine, che per Pasolini rappresentavano la sua stessa rivolta al consumismo capitalistico e alla politica compromissoria. Il Vangelo è il film più politico di Pasolini, il manifesto del suo rifiuto, della sua indisponibilità ad accogliere i modelli culturali del suo tempo. Non è casuale che il suo Cristo sia stato interpretato da Enrique Irazoqui, un attivista spagnolo antifranchista. Pasolini, in sostanza, avverte la lacerazione della città, provocata da emancipazioni irregolari e inique, e la sceglie per raccontare la sua idea particolare di libertà: la permanenza in uno stato di assoluta purezza, l’impermeabilità al presente. I Sassi sembrano il completamento iconico di questa idea: fissi, rocciosi, primitivi, eterni, inscalfibili. In verità, il materiale che li compone è friabile e poroso: è un particolare tipo di roccia, la calcarenite, nient’altro che sabbia sedimentata fino a consolidarsi in roccia. E infatti la città non ha seguito l’utopia di Pasolini: non ha voluto conservare intatta la civiltà contadina, non ha voluto porre un veto al progresso, ma anzi se ne è lasciata investire, con l’inevitabile decuplicazione delle ineguaglianze che questi processi, se incontrollati, producono. ̖
Pasolini
“Voi state commettendo un delitto contro la civiltà contadina”, disse Pasolini a Domenico Notarangelo, il cronista materano dell’Unità che allora era anche segretario della Federazione giovanile comunista, e che fu incaricato in un primo momento di organizzare una scorta che proteggesse lo scrittore da possibili aggressioni fasciste durante le riprese del film. Fu sempre Notarangelo a fornirgli, più avanti, cinquanta comparse che avessero “le facce dei fascisti” per interpretare gli Scribi e i Farisei: le reclutò tutte e cinquanta nella sezione locale del PCI. Le foto del set del Vangelo, quelle epiche e arcinote, sono state tutte scattate da Notarangelo, che nel film ebbe anche una piccola parte e che, da allora, rimase molto vicino a Pasolini.
Dopo la sua morte, nel 2016, il figlio Peppe ha preso in mano l’archivio di suo padre ed è riuscito a ottenere 40mila euro per farlo ordinare e sistemare come merita dal fondo archivi privati, con la promessa che, prima o poi, quel patrimonio avrebbe trovato una giusta collocazione in città, uno spazio che lo rendesse fruibile al pubblico: niente da fare. S’era favoleggiato anche di intestare alla sua memoria il cinema comunale, ma niente. Il cinema è stato infatti intitolato a Gerardo Guerrieri, che fu sceneggiatore, regista, scrittore, drammaturgo e critico teatrale (scrisse, insieme a molti altri, tra cui Zavattini e De Sica) Ladri di Bicilette e Sciuscià, fondò e diresse la collana “Collezione di teatro” per Einaudi insieme a Paolo Grassi, presentò Rocco Scotellaro, poeta, a Luchino Visconti, dandogli così l’ispirazione per “Rocco e i suoi fratelli”. È stato una figura eccezionale del cinema italiano, che l’ha dimenticato, così come lo ha dimenticato Matera dove, oltre all’intestazione di un cinema, per la sua memoria non è stato fatto alcunché. Il ricordo di Notarangelo è invece più vivo, sia perché è stato attivo a Matera fino all’ultimo, mentre Guerrieri ha lavorato sempre fuori, tra Roma e Milano, sia perché i suoi eredi si occupano con grande impegno di mantenere viva la sua memoria. A maggio scorso, SkyArte ha trasmesso un documentario su di lui, Notarangelo ladro di anime, di David Grieco, che racconta tutto quello che ha fatto: in che modo il suo contributo e il suo supporto sono stati decisivi per Il Vangelo di Pasolini; la sua amicizia profonda con Carlo Levi (fu Notarangelo a fare in modo che venisse seppellito, come suo volere, ad Aliano, il paese del suo confino); come si spese per far eleggere la prima donna sindaco del sud, Maria Ippolita Santomassimo; le oltre centomila fotografie che ha scattato e le centinaia di ore che ha filmato in Super8, e rappresentano una testimonianza fondamentale per il Novecento italiano. ̖
La storia di Notarangelo, in particolare il suo rapporto con Pasolini sia durante che dopo le riprese, è una delle “storie di cinema” alle quali si sono riferiti il sindaco e gli amministratori locali quando hanno presentato il progetto della Casa del Cinema che tra i suoi obiettivi ha anche quello di ospitare retrospettive che raccontino cosa il cinema ha fatto nascere a Matera: le amicizie, i sodalizi, i carteggi, i progetti. La sede è pronta, le trafile burocratiche sono finite (La casa del cinema è stata istituita con una delibera di giunta di settembre scorso), mancano solo gli allestimenti. Quando il progetto è stato annunciato, a settembre scorso, il sindaco, Domenico Bennardi (5Stelle) ha detto che l’intento del comune era creare un luogo che trasformasse il capitale storico-culturale e identitario della città in un investimento duraturo. Più concretamente, la Casa del Cinema mirerà a fornire spazi sicuri e a prezzo calmierato per le produzioni che arrivano in città e hanno bisogno di sistemare l’attrezzatura (attualmente, ciascuna troupe affitta spazi privati), di disporre di uffici e depositi per trucchi e abiti di scena – tra il 2017 e il 2021, Matera ha ospitato oltre 140 produzioni cinematografiche e televisive, nazionali e internazionali: non può più permettersi di non disporre di infrastrutture che accolgano questi flussi. La Casa del Cinema diventerà immediatamente la sede distaccata dell’Ufficio cinema del Comune, che attualmente occupa una stanza minuscola nella sede del Municipio, e anche la sede degli uffici della Lucana Film Commission. ̖
Chiediamo al sindaco Bennardi se i soldi predisposti dall’amministrazione saranno sufficienti ad avviare tutti questi progetti, dal momento che la sede dell’ente ha ospitato fino alla scorsa primavera la sede dell’acquedotto lucano, e quindi necessita un adeguamento significativo. Dice Bennardi: “Stiamo finanziando gli arredi e gli allestimenti ricorrendo a risorse comunali, se non insufficienti di certo esigue, quindi per il momento procediamo in economia. In un secondo tempo, con i fondi del Pnrr cercheremo di andare ad allestire un progetto che sia più ospitale e accattivante anche visivamente. Per adesso, ciò che più ci preme è fare di questo spazio un punto di riferimento tanto per le produzioni esterne e straniere, quanto per le associazioni locali che si occupano della promozione della cultura cinematografica e per i turisti. Non tutti i visitatori conoscono la storia della relazione tra il cinema e Matera ed è importante che esista uno luogo che gliela racconti, uno spazio che sia un’ulteriore attrazione turistica e, insieme, un luogo di approfondimento della cultura cittadina per i materani e, infine, un sito narrativo che racconti tutte le produzioni allestite in città, non solo perché sono storie affascinanti, ma perché dicono molto della peculiarità del rapporto tra uomini e territorio che qui s’instaura. Speriamo anche di poter ospitare e supportare le organizzazioni che fanno festival in tutta la regione: l’ampiezza del respiro è importante. In questo senso, ho molta fiducia che la vicinanza di Lucana Film Commission e Ufficio cinema del comune possa aumentare la collaborazione e la sinergia tra gli enti”.
Roberto Stabile, il presidente della LFC, dice a Repubblica: “Noi proveremo a trasformare la Film Commission in una agenzia che eroghi servizi agli operatori, evitando di fare bandi per piccole produzioni: so per esperienza che il sostengo a quelle realtà finisce presto con il trasformarsi in un finanziamento a pioggia buttato là tanto per ingraziarsi qualcuno e fare una fidelizzazione elettorale.
Per noi è più efficace puntare su pochi progetti grossi, mettendoli nella condizione di coinvolgere i giovani locali e formarli veramente”. La questione delle maestranze è dibattutissima: che succede quando una grande produzione, come è quella hollywoodiana, arriva in un piccolo centro? Crea occupazione o la stritola? ̖
Dicono a Repubblica Giuseppe Stasi e Giancarlo Fontana, registi materani che però lavorano a Roma da molti anni per la Indigo Film: “Per Bond, tutte le maestranze sono arrivate da Roma. I super effect coordinator a Matera non ci sono perché a Matera non puoi formare professionalità di questo tipo: lavorerebbero una volta ogni due anni. Di questo non ha colpa la città: è un problema generale, tutto italiano, che dipende dal fatto che l’unico polo produttivo cinematografico del nostro paese è a Roma. Certo, le filmcommission in alcuni casi diventano succursali del centro sperimentale, perché provano a formare delle professionalità, e pensiamo a quanto si sono rafforzate, negli ultimi anni, quelle della Puglia o del Piemonte. Tuttavia, per quanto forti, agiscono in regioni che si attivano due volte l’anno, perché le produzioni sono tutte a Roma, a Cinecittà che, di fatto dai tempi del fascismo, detiene una sorta di monopolio. Se a Matera non ci sono attrezzisti, così come non ce ne sono ad Agrigento o a Perugia, è per la semplice ragione che non avrebbero mercato, non potrebbero vivere del loro lavoro.
A noi piacerebbe tanto sentire un capomacchinista che parla in ligure, ma niente: sono tutti romani. Certi mestieri si tramandano, da generazioni, quasi esclusivamente a Roma e sono tutti afferenti al cinema. La BluVideo, a Matera, forma ottimi montatori, ma il montaggio è un mestiere che impari anche da solo, ormai, non c’è bisogno di iscriverti al centro sperimentale. La regia anche: noi l’abbiamo imparata facendola, abbiamo iniziato con dei video su YouTube, poi siamo passati alla televisione e poi al cinema e alle serie tv. Non abbiamo mai fatto gavetta su un set, tranne una volta, come assistenti di regia di un film horror osceno: internet, probabilmente, ci ha aiutati a sorpassare quel passaggio, sostituendolo con infinite sessioni da autodidatti”. Dislocare i poli produttivi è utopico? “No. Basterebbe rendersi conto che per qualsiasi addetto ai lavori, ormai, girare è diventato frustrante: si finisce sempre negli stessi posti e quando si guardano i film degli altri si riconosce sempre tutto: sgami subito Cerveteri laddove dovrebbe esserci l’Abruzzo. È un fatto di costi, naturalmente: se ti mantieni a mezz’ora da Roma, non devi pagare a nessuno la diaria (l’indennità che spetta i lavoratori in trasferta). Lontano da capitale e provincia, dove tutto e tutti sono inevitabilmente più usurati e stanchi, ci sarebbe il grosso vantaggio di lavorare con energie nuove, persone entusiaste, più libere e dedite. L’effetto sarebbe anche di sgravare le maestranze romane.
L’ingresso in scena delle filmcommission ha fatto bene, però ha anche creato dei dissapori: il cinema italiano, nelle parti più tecniche, funziona a gestione familiare, si lavora con squadre consolidate che, una volta che arrivano su un dato territorio, se si sentono dire chi devono assumere e chi devono far lavorare, comprensibilmente, vanno in tilt. Un ricambio a livello nazionale di tutte queste figure, garantito da un rimpasto continuo, evidentemente risolverebbe il problema. Senza considerare che un sincretismo di manovalanza e maestranze derivanti da produzioni sparse in tutta Italia creerebbe una ricchezza espressiva e stilistica importante e rigenerante per tutto il settore. Sa cosa diceva Gore Vidal? A Roma ci sono troppe cose che producono illusioni: il cinema, il Vaticano, il parlamento. È il momento di snellire”. Roberto Stabile conosce bene l’inghippo, però per la Basilicata rilancia: “Le grosse produzioni servono dal punto di vista turistico e di immagine: affinché rappresentino una opportunità di crescita anche culturale e occupazionale del territorio, bisogna prima di tutto arricchirlo, di modo che risulti soddisfacente e attraente, e la Basilicata non dispone ancora di una ricettività adeguata, né è in grado di fornire personale qualificato. Quel personale si può far lavorare in un modo molto preciso: facendo accordi chiari con i quali si impone alle produzioni che la film commission supporta di far lavorare le maestranze locali che a loro volte devono essere messe in condizione di fare formazione per i giovani. In questo modo si incentiva la creazione di un indotto, il lavoro aumenta, le maestranze non sono obbligate a spostarsi a Roma. Qualsiasi regista vorrebbe lavorare in un posto come la Basilicata, vista la ricchezza paesaggistica che ha, ma l’incentivo non è sufficiente. Bisogna che sul territorio trovi una troupe, così da non doversi portare dietro che poche persone e contenere i costi”. Allora la formazione è un investimento sensato? “Soltanto se si riesce a garantire il lavoro di chi si forma. È quella la sfida più importante e difficile. La LFM sta per questo cercando di trovare un accordo con Cinecittà per far spostare al sud alcune delle attività che fanno di modo che si crei lavoro di continuo, non solamente per chi viene a lavorare da noi. Stiamo anche lavorando a un progetto con la casa delle tecnologie per aprire a Matera un hub grande e importante per chi lavora con l’animazione e la realtà aumentata, ovverosia professionalità che possono stare ovunque, ma che comunque io tengo a fare sì che si sviluppino qui, che diventino una peculiarità dell’offerta professionale della città”. Questo della formazione è un capitolo lungo e tempestoso.
La Basilicata ispira fantasmagorici programmi di apertura di scuole internazionali di cinema da molto tempo: negli anni, si sono persi nel mito, nel vento, nel niente. È persino complicato ricostruire la verità dei fatti, tanta è l’epica che li ha subissati. A Bernalda, piccolo e splendido paesino della provincia di Matera dove Francis Ford Coppola torna spesso per riconciliarsi con le sue radici paterne (il padre di suo padre, suo nonno, era nato e cresciuto lì), tutti ricordano assai bene quando, nel 2004, si disse che il regista avrebbe aperto una sorta di centro internazionale sperimentale di cinematografia, che lo avrebbe chiamato “Centro di Studi delle Arti visive e musicali” e che avrebbe avuto sede a Metaponto, a pochi chilometri da lì. Sul mare. Coppola firmò persino un protocollo d’intesa (un grande classico: in Basiliata firmano tutti protocolli d’intesa, è una cosa di folklore) con un’associazione culturale locale, allora diretta da Michele Russo, attore e regista, ma tutto naufragò perché la Regione, dopo aver manifestato uno stiracchiato interesse iniziale, si dileguò.
Era l’anno di The Passion: pochi mesi prima, Mel Gibson (e questa sì che è una leggenda) aveva tentato di comprare Craco, il paese fantasma in provincia di Matera dove aveva ambientato alcune parti del suo kolossal e che al cinema è stato reso celebre da “Cristo si è fermato a Eboli”, cha Francesco Rosi girò quasi interamente lì. Obiettivo: farci una cittadella del cinema, naturalmente con tanto di scuola. ̖
Gibson e Coppola
Non fu l’unica cosa che Mel Gibson tentò di comprare, nei mesi delle riprese di The Passion: del resto, la Basilicata aveva un aspetto molto più selvaggio di adesso, doveva sembrare facile, a uno come lui, accaparrarsela piantando una bandierina nel terreno come in Cuori Ribelli. Coppola, per parte sua, a Bernalda ha aperto un resort assai lussuoso nel mitico Palazzo Margherita, dove si sono tenute le fiabesche nozze di sua figlia Sofia Coppola e dove qualche ingenuo provinciale spera ancora che, ogni tanto, d’estate, qualcuno organizzi almeno una retrospettiva del Padrino: c’è un cortile interno che è un bijoux – così lo ricordano i più attempati: da quando c’è il resort, non è più accessibile al pubblico. Per quanto la vicenda Coppola sia avvolta nel mistero, se si raffrontano la Matera e la Basilicata di allora con la realtà di oggi è impossibile non rilevare il cambio di passo – lento, certo, ma non per disinteresse, come poteva essere vent’anni fa, quando ancora il cinema sembrava un’epifania, un bolide di passaggio una volta ogni tanto e al quale offrire pista e parcheggio; la lentezza di oggi è, più che altro, legata alle pastoie burocratiche, alle amministrazioni invelenite, alla mancanza di fondi, giovani, mobilità.
La testimonianza di Roberto Stabile, da questo punto di vista, restituisce la profondità del dramma. Dice a Repubblica: “Nei miei primi mesi di mandato, ho scritto una bozza di legge cinema che è stata supervisionata, in un secondo momento, dalla direzione generale del Ministero della Cultura, che mi ha dato il via libera: questo l’ha resa subito una legge praticabile, quindi l’ho fatta avere a tutti i referenti politici di maggioranza e opposizione, e quando la Film Commission ha organizzato gli stati generali dell’audiovisivo lucano, a luglio, anche l’ex governatore Pittella ha pronunciato un appello alla maggioranza proponendo una specie di pax politica, una pax film commission, affinché tutti si mettessero attorno al tavolo, lasciassero da parte gli schieramenti e lavorassero per dare alla Basilicata una legge sul cinema. Niente da fare. Attualmente, pur con tutto quello che attrae, l’effetto James Bond che avrà ricadute non soltanto turistiche, la Basilicata è l’unica regione italiana che non dispone di una legge cinema. Eppure era pronta, neutra, approvata dal ministero. Era già sul tavolo”.
In questi giorni, l’amministrazione comunale materana sta decidendo l’ennesimo rimpasto di giunta. L’instabilità politica del territorio è una delle cause principali della continua indefinitezza in cui naufragano un numero impressionante di progetti, opere, protocolli d’intesa – anche quelli, sì: la primizia locale. Non è affatto chiaro se l’ultima vittima illustre di questo malvezzo sarà anche la sede distaccata del centro sperimentale di cinematografia, di cui si è favoleggiato per alcuni anni, di recente, e che però sembra resistere. Il protocollo d’intesa (eh sì), in questo caso, era stato siglato tra la precedente amministrazione e la fondazione romana che dirige il Centro sperimentale e prevedeva l’istituzione di corsi di alta formazione specialistica in regia, filmaking e recitazione, diretti da Daniele Luchetti e Giancarlo Giannini.
Dice il sindaco Bennardi: “Si tratta di corsi riconosciuti dal Ministero, che la Basilicata si è candidata per ospitare, ottenendo la disponibilità della fondazione che, tuttavia, teme che il quinquennio non venga concluso, ovvero che la Regione possa smettere di erogare i fondi per finanziarli dopo il primo anno. Nel protocollo, che abbiamo ereditato dall’amministrazione precedente ma che ci siamo impegnati ad onorare, riconoscendo il valore che avrà per la città, è stabilito che la regione garantisce i fondi per la gestione della didattica (ma solo per un anno, quindi Roma vuole garanzie ulteriori, quantomeno una copertura del primo quinquennio), il Comune offre lo spazio e la fondazione di Roma, invece, il knowhow per la creazione del Centro. Sto aspettando che la Regione Basilicata convochi il tavolo per discutere con la fondazione della opportunità di siglare un nuovo patto che impegni la regione a non abbandonare il progetto dopo il primo anno. Lavoreremo affinché tutto inizi nell’anno accademico del 2022 e, intanto, come Comune abbiamo già programmato i lavori di adeguamento della sede e abbiamo fatto sì che, in questi mesi di stallo, essa non venisse assegnata ad altri. In questo modo, abbiamo voluto dare un segnale forte della fiducia che abbiamo nell’iniziativa”. Secondo Stasi e Fontana, più che le scuole servono i set. ̖
Secondo Stabile, invece, “i corsi di recitazione a Matera non hanno molto senso perché gli attori devono avere una vita mondana che la città non consente, essendo sprovvista del tessuto che Roma o Milano, invece, hanno e che consente a chi si affaccia a questo mestiere di intelaiarsi nel tessuto di rapporti che portano a partecipare a casting, provini, feste. L’attore è anche un mestiere di relazioni che possono darsi in un determinato contesto. Per la città, invece, io trovo che sarebbe molto più opportuno ospitare corsi per disegnatori del gaming, dell’animazione, della regia”. Al di là delle buone e cattive intenzioni, delle utopie, delle strade da finire, c’è poi il turismo, il settore che più immediatamente beneficia degli effetti di mostrare Matera sugli schermi di tutto il mondo. Antonio Nicoletti, presidente dell’APT Basilicata dal dicembre del 2019, dice a Repubblica che, se pure non si dispone ancora dei numeri precisi, l’effetto James Bond è già considerevole: le prenotazioni di alberghi e pacchetti turistici nelle prime settimane in cui il film era in sala, sono aumentate considerevolmente. Gli albergatori dormono quasi tutti a sogni tranquilli per la prossima stagione estiva. È un copione che si ripete da The Passion, quando la città divenne un luogo di pellegrinaggio impressionante, come se fosse Gerusalemme, e soprattutto portò a Matera, per la prima volta, un turismo di massa internazionale che si è poi consolidato, allargandosi ulteriormente nel 2019: prima di allora, i visitatori stranieri erano pochi e sporadici.
Dice Nicoletti: “Rispetto al mondo, Matera e Basilicata scontano una non conoscenza della qualità e della quantità del loro patrimonio. È un gap che si tocca con mano: Wikipedia sbaglia su Matera e la Lucania e nessuno corregge. Noi come APT stiamo cercando di rimediare con un progetto nato in pandemia: si chiama Basilicata Academy e coinvolge il sistema delle pro loco. In sostanza, si cerca di coinvolgere i volontari o i lucani che hanno tempo libero invitandoli a fare una cosa che alla lunga può avere un impatto positivo per la loro comunità: trovare ciò che manca o è sbagliato su Wikipedia e rimediare. Le policy di Wikipedia attualmente non consentono a una azienda di fare questa attività in modo imprenditoriale, quindi abbiamo trovato questa piccola gabola. Il cinema, per parte sua, consente di colmare parte di questo gap lavorando sull’immaginario e, soprattutto, semplicemente, facendo vedere i luoghi. ̖
È quello che ha fatto Papaleo in Basilicata Coast to Coast, che ancora oggi porta moltissimi visitatori da noi. Lo stesso vale per la fiction Rai Imma Tataranni, anche se con un impatto inferiore. A questo lavoro va riconosciuto un primato: aver parlato, sul piccolo schermo, di Matera come Matera e non come Gerusalemme, cosa che ha fatto anche James Bond, molto più in grande, regalando alla città una chance epocale: diventa una delle icone della serie più longeva della storia del cinema”. Come mai tutto diventa albergo in Basilicata? “Non mi sembra una cosa malvagia. Di certo, Cultura vuol dire anche creatività, ovvero generazione di opportunità. Il 2019 avrebbe potuto essere sfruttato meglio da questo punto di vista ma ci sono stati tantissimi tentativi forti delle amministrazioni, a partire da quella precedente guidata dal sindaco De Ruggeri, di far decollare una forma di economia della cultura che non fosse soltanto spettacolo ma pure produzione. A far aprire qui una scuola di cinema o una sede distaccata del centro sperimentale o ancora il primo centro interdipartimentale del CNR si è cominciato a lavorare alcuni anni fa: cominciano a vedersi i risultati. È chiaro però che il turismo corre a una velocità diversa e quindi muove più flussi imprenditoriali. Una serie di attività che si sono aggregate intorno a Matera 2019 hanno fatto gemmare attività a grande potenziale: i corsi del centro sperimentale di cinematografia; il centro interdipartimentale del CNR; la sede distaccata dell’istituto centrale del restauro; la casa delle tecnologie emergenti. Si tratta di cantieri in piedi o, in certi casi, di progetti ultimati e funzionanti, nonostante il Covid. Serve pazienza”.
Una cosa che si nota, se si presta molta attenzione quando si cammina nei Sassi, sono le scritte sui muri. Spesso, si tratta di indicazioni per i set: fino agli anni Novanta, quando in città arrivavano le troupe da Roma nessuno aveva contezza del patrimonio che erano i Sassi che, anzi, erano abbandonati, sporchi e degradati – e non arrivavano né Hollywood né Cristo; il primo film che venne girato a Matera fu La Lupa di Lattuada, che parla di una adescatrice professionista: era il 1953. Tra tutte quelle scritte, ormai poco visibili, ne spicca una, di fianco alla cattedrale. Dice: Cinema. Ed ha una storia diversa dalle altre. Indicava una piccola sala di proiezione che purtroppo non esiste più e venne creata per offrire svago agli allievi della scuola di formazione per ufficiali dell’esercito polacco che aveva appena aperto a Matera: sarebbe rimasta attiva, in accordo con il Comune, nel biennio in cui il corpo rimase in città (1944/46). In verità, la sala divenne poi un cinema cittadino che rimase aperto fino al 1954, quando morì monsignor Cavalla, che soleva andarci con grande passione. Sotto la scritta, c’è una freccia la cui cuspide finisce proprio precisamente in via del Riscatto, la stradina che costeggia il lato destro della cattedrale. Lì, un corposo gruppo di materani assassinò il conte Tramontano, un signorotto campano al quale gli aragonesi assegnarono, su sua richiesta, il governo della città, che all’epoca era una delle poche del Regno non ancora soggetta ad alcun vincolo feudale. Al conte, insomma, vennero affidati pieni poteri che lui esercitò con scelleratezza, tanto che i materani ordirono una congiura per ammazzarlo. Era il 1514. C’è un film che racconta questa storia ed è Il Conte di Matera di Luigi Capuano, con Virna Lisi e Otello Toso. Venne girato quasi tutto in teatro di posa, perché Matera era inavvicinabile, impervia, puzzolente e priva di tutto. Era il 1957, qualche giorno fa.