Centro Studi UIL: Come cambia la famiglia e la spesa per welfare e istruzione. Di seguito la nota integrale.
Anche a causa del Covid, nel 2021 oltre la metà delle famiglie italiane (50,2%) ha rinunciato a prestazioni sanitarie per problemi economici, indisponibilità del servizio o inadeguatezza dell’offerta.
Il drammatico fenomeno della rinuncia alle prestazioni coinvolge le famiglie comprese nel segmento di reddito debole (13mila €) per i problemi di salute nella misura del 62,3% e del 71% per l’assistenza agli anziani ed alle persone bisognose di cura. Non di meno, le famiglie a reddito medio (30mila) riducono la fruizione dei servizi di cura ed assistenza familiare intorno al 55%.
Un chiaro segnale delle difficoltà che le famiglie più deboli incontrano nel soddisfare i propri bisogni socialmente più rilevanti come la salute e l’istruzione rispondenti a fondamentali diritti sociali.
Si pensi ad esempio alla didattica a distanza che ha reso l’istruzione un privilegio per pochi: non tutte le zone del Paese sono ugualmente coperte da connessione internet, carenti specialmente al Sud e, inoltre, una quota non banale di popolazione scolastica (850mila studenti – Istat) non ha accesso diretto o indiretto a strumenti come tablet, pc portatili, etc.
Il Rapporto Cerved 2022, di recente, ha indagato questi fenomeni e ha scoperto che, mentre si contrae il ricorso ai servizi, aumenta la spesa a carico delle famiglie per la salute, l’assistenza agli anziani e l’istruzione: una quota notevole del reddito familiare, circa 136,6 miliardi di €, a cui aggiungere 21,2 miliardi del welfare aziendale e collettivo, per un valore pari al 9% del Pil. In media 5.317 € per famiglia, il 17,5% del reddito familiare netto mediamente attestato a 30.434 € nel 2021.
Le famiglie-comunità si sono attivate a sostegno di nuovi bisogni sociali, di più sani stili di vita, di modelli di relazione familiare differenziati e con un impatto crescente dell’invecchiamento della popolazione. Una straordinaria e formidabile crescita della domanda di servizi e di ‘protezione sociale’ ma anche, per paradosso, una sostanziale esclusione di larghi ceti e gruppi sociali dai processi di cura.
Fenomeni rimarcati a chiare lettere anche in Basilicata in diverse indagini, ultima delle quali la ricerca dell’Istat sulle condizioni di salute ed il ricorso alle prestazioni nel 2019.
Cosa si immagina?
Un’accoglienza dei pazienti e delle famiglie con una diversa, più motivata attenzione degli interlocutori impegnati nella gestione della cura (il professionista sanitario, il servizio sociosanitario, il caregiver informale, il sistema sociale allargato).
Uno scenario di svolta decisionale, culturale ispirato, proposto da un movimento sociale e di opinione che spalanchi i luoghi chiusi, i castelli di carta delle Istituzioni e renda credibile, con passaggi concreti, il cambiamento nell’accesso ai servizi.
Il modello è quello della prossimità territoriale dei servizi affermato nelle decisioni statuali ed europee. Si tratta di un conto alla rovescia per un vero, concreto riassetto delle strutture socio-sanitarie nell’ottica territoriale, modificando linee di attività, protocolli ed assegnazione di personale, senza rinvii, attraverso specifiche Conferenze di servizio; lo sviluppo di reti sanitarie e soluzioni di telemedicina con lo scopo di facilitare le cura a domicilio, la casa come primo luogo di cura e l’avvio della gestione digitale dei dati clinici personali; una trasformazione digitale non solo mera dematerializzazione delle attività ma come riprogettazione del servizio, più dipendente dall’applicazione delle tecnologie e, quindi, più efficace ed esaustivo per il paziente con l’introduzione di nuove competenze e nuovi ruoli ibridi tra l’ambito clinico e quello gestionale-informatico (dall’esperto in gestione delle reti neurali artificiali, al chirurgo e al terapeuta formati in realtà aumentata o virtuale, ai tecnici specializzati in bio-printing, all’analista di big data sanitari). Una rivoluzione delle competenze con un grande piano, libero da condizionamenti esterni, di formazione di nuove leadership nel lavoro di struttura, di reparto e di direzione delle Aziende pubbliche.
Proprio il tempo della pandemia ha riproposto con enfasi il valore dell’impulso etico, un’ispirazione altruistica del lavoro di cura dei professionisti e dirigenti, resi protagonisti del cambiamento. Una leadership più comunitaria e più ‘familiare’ in senso letterale, più connessa ai bisogni delle famiglie come gruppi di cura.