Cultura, storia ed emozioni. Domenica 23 gennaio, alle 16.45, e lunedì 24 gennaio, alle ore 10.30, in occasione della Giornata della Memoria, saranno presentati al Centro Culturale Maratea i libri “I militari italiani nei lager nazisti. Una Resistenza senz’armi 1943-1945” (Il Mulino) e “Paisà, sciuscià e segnorine. Il Sud e Roma dallo sbarco in Sicilia al 25 aprile” (Il Mulino), entrambi scritti da Mario Avagliano e Marco Palmieri. Interverranno tra gli altri, oltre all’autore Mario Avagliano, il sindaco Daniele Stoppelli, Tina Polisciano, presidente del centro culturale “José Mario Cernicchiaro”, don Donato Partelipo, parroco coordinatore delle parrocchie di Maratea, Pierfranco De Marco, presidente Proloco “La Perla” e parteciperanno i dirigenti scolastici e gli alunni delle scuole superiori e medie cittadine.
Il libro sugli Imi
Nel primo volume, “I militari italiani nei lager nazisti. Una Resistenza senz’armi 1943-1945”, si racconta la vicenda di circa 650 mila militari che dopo l’armistizio dell’8 settembre si rifiutarono di continuare la guerra al fianco dei nazisti e dei fascisti. Avagliano e Palmieri hanno raccolto storie e testimonianze e anche la musica è protagonista, perché tra i militari internati c’erano i genitori di artisti italiani famosi come Vasco Rossi, Albano, Francesco Guccini. Tanti gli internati meridionali citati nel saggio che, come ha scritto Luca Bottura su Repubblica, «è un libro bellissimo, necessario. Di molti saggi, per nobilitarli, si dice che sembrano romanzi. Non è quasi mai vero. Questo è uno dei rari casi».
Il viaggio verso i lager è terribile, stipati in vagoni bestiame. «Alle sofferenze dello stomaco – scrive il sottotenente calabrese Antonio Zupo – si aggiungono quelle per dolori dovuti alla posizione sempre eguale degli arti inferiori. Si dorme seduti quando si può e si respira affannosamente per l’acido carbonico della stufa».
La scelta di non aderire alla Repubblica sociale di Mussolini costa agli internati la deportazione nei lager, la fame, il lavoro coatto, le violenze dei carcerieri. Il campano Remigio Cardone racconta che un suo commilitone, Agostino, di Benevento, per aver rubato un salamino in una fabbrica alimentare, viene ucciso dalle guardie: «Chella sera, poi, mentre uscivamo, al cancello, ci hanno perquisito e a chisto c’anne truate u salamino; i soldati l’erano fucila ma comunque, anziché fucilarlo, ci hanno dato venticinque legnate a carni nude, finché nun l’hanno ammazzato».
“Avagliano e Palmieri – come ha scritto Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera -, con il consueto rigore storico che li contraddistingue e un sapiente uso della diaristica e della corrispondenza coeva, per lo più inedita o scarsamente conosciuta, ci conducono per mano in un appassionante viaggio nel mondo degli Imi, che ci fa scoprire aspetti nuovi o poco noti, dal loro bagaglio di umanità alla capacità e al coraggio di resistere a tutte le avversità, raccontando attraverso le storie individuali la storia collettiva dei 650mila internati militari italiani”.
Uno degli aspetti più interessanti del libro è la discriminazione ulteriore che subivano durante la prigionia gli internati meridionali che, poiché le loro famiglie si trovavano nell’Italia liberata, non potevano ricevere da casa pacchi alimentari e solo raramente corrispondenza. «A qualche prigioniero, per lo più settentrionale – scrive il salernitano Angelino Petraglia – arriva di tanto in tanto qualche pacco, mentre è assai difficile per noi meridionali riceverne». «Mio caro figlio – scrive la madre di Mario Amore, un marinaio napoletano, il 30 agosto 1944 – tu non puoi credere quando io sofro quando tu non ricevi mie notizie […] ti tenco sempre avanti ai miei occhi, ma la Madonna tutte le mie preghiere me le esaudirà per te che sei mio figlio, che ai fatto sempre il tuo dovere».
L’ultimo capitolo del ibro è dedicato alla liberazione degli internati. Libertà che innanzitutto vuol dire essere «ritornato – si legge al 5 aprile nel diario del capitano Tommaso Melisurgo, di Avigliano (Potenza) – alla vita, son ritornato un uomo libero, un capitano dell’Esercito Italiano che ha fatto il suo dovere sul campo di battaglia».
Il libro sull’altro dopoguerra del Mezzogiorno
Il peculiare percorso di uscita dalla guerra dell’Italia meridionale è il tema del libro Paisà, sciuscià e segnorine. Il Sud e Roma dallo sbarco in Sicilia al 25 aprile (Il Mulino), di Mario Avagliano e Marco Palmieri, attraverso una pluralità di fonti coeve: lettere, diari, corrispondenza censurata, relazioni delle autorità italiane e alleate, giornali, canzoni, film.
Un racconto corale in cui le vicende istituzionali e militari – che sono più note – restano sullo sfondo, mentre viene ricostruito dettagliatamente quel clima che Curzio Malaparte in Kaputt esemplifica così nella frase citata nella quarta di copertina del volume: «Tutti fuggivano la disperazione, la miserabile e meravigliosa disperazione della guerra perduta, tutti correvano incontro alla speranza della fame finita, della paura finita, della guerra finita, incontro alla miserabile e meravigliosa speranza della guerra perduta. Tutti fuggivano l’Italia, andavano incontro all’Italia».
La ritirata e il breve periodo dell’occupazione tedesca del Sud lasciano sul terreno migliaia di morti e fino ad ora sono stati censiti 942 episodi di violenza e 2.623 vittime, per l’86% civili, tra cui l’eccidio di Rionero in Vulture del 24 settembre nel 1943, quando tedeschi e fascisti della Divisione Nembo uccidono per rappresaglia 16 persone a seguito del ferimento di Donato Garofalo, un sergente italiano paracadutista della «Nembo» che ha rubato una gallina ed è stato colto sul fatto da un contadino, Pasquale Sibilia. Ma anche l’arrivo degli Alleati non è sempre pacifico, specie dove si abbatte la furia delle truppe che si abbandonano a stupri e violenze, passate alla storia come marocchinate, per il coinvolgimento dei reparti coloniali francesi.
I capitoli del libro di Avagliano e Palmieri dedicati a queste vicende sono ricchi di storie inedite o poco conosciute. La popolazione gode dei primi sprazzi di libertà e di democrazia, ma al tempo stesso è flagellata dalla fame, dalla mancanza di alloggi e di trasporti, dal caro-vita, dal mercato nero e dalla disoccupazione.
Una disperazione diffusa che alimenta tensioni sociali, recrudescenze criminali e fenomeni di delinquenza minorile e di prostituzione. Inoltre, esaurita l’euforia della libertà riconquistata ed emersa la consapevolezza del carattere messianico e illusorio dell’aspettativa che l’arrivo degli anglo-americani, simbolizzato dal pane bianco, dalle caramelle e dalle chewing-gum, porti miracolosamente alla fine della miseria, col passare del tempo la presenza delle truppe alleate nella penisola diventa sempre meno gradita e più ingombrante per il degrado morale, sociale e anche economico di cui sono portatrici con i loro dollari e sterline e le violenze (anche di carattere sessuale) connesse al ruolo di conquistatori-occupanti.
Tuttavia il saggio di Avagliano e Palmieri dimostra anche che in questi due anni gli italiani del Mezzogiorno iniziano un percorso di discontinuità rispetto al passato. Nelle regioni del Sud si manifesta un primo «abbozzo di Resistenza», sia attraverso i numerosi casi di militari che a Napoli, a Bai, a Barletta e in altri centri all’indomani dell’armistizio rifiutano di consegnare le armi ai tedeschi e ingaggiano combattimenti con le truppe della Wehrmacht, sia attraverso i tanti episodi di resistenza spontanea e popolare. Si costituiscono anche diverse bande partigiane, soprattutto in Campania e in Abruzzo. Questo libro per la prima volta propone un panorama completo di questi episodi, sempre con testimonianze dirette, che attestano che la Resistenza ha riguardato anche il Mezzogiorno. Molto belle le pagine dedicate alla rivolta di Matera del 21 settembre, capeggiata dal professor Francesco Nitti, sottotenente di complemento, e all’arrivo in città degli Alleati.
Roma e il Mezzogiorno sotto il controllo degli Alleati sono anche un laboratorio della democrazia dopo il Ventennio fascista. La popolazione ha voglia di ricominciare a vivere, di divertirsi, di sperimentare la libertà e così la fine della dittatura e della guerra portano con sé il fiorire dei dibattiti politici e culturali, le radio libere, i nuovi giornali, le canzoni, la riapertura dei ristoranti e dei teatri, i cinema e i teatri gremiti di spettatori, che convivono con fenomeni come gli sciuscià, le segnorine, il banditismo, le mafie. Nascono in questo periodo Radio Bari e Radio Napoli, l’Ansa, la Rai, periodici come «Rinascita», «Noi donne», «Mercurio» e «l’Uomo Qualunque».
C’è fermento anche in politica. Si tiene il Congresso di Bari, prima riunione dei Comitati di Liberazione Nazionale, in tutte le regioni del Sud i partiti dell’epoca pre-fascista e quelli nuovi iniziano a riorganizzarsi, aprendo sezioni nel territorio e tenendo affollati comizi nelle piazze, in Sicilia si sviluppa un esteso movimento separatista, in Sardegna soffia il vento dell’autonomia, e si ricostituiscono i sindacati e le associazioni, a testimonianza di una società civile vitale e della volontà di riaggregarsi attorno a strutture alternative al vecchio regime fascista. Durante il breve periodo del Regno del Sud matura la Svolta di Salerno di Palmiro Togliatti, che abbastanza sorprendentemente conduce i partiti antifascisti nella coalizione di governo.
Sono una novità rilevante anche le lotte contadine, che riguardano anche la Basilicata, dapprima elementari e spontanee, che – come scrivono Avagliano e Palmieri – mirano a frantumare l’assetto sociale e produttivo tardofeudale delle campagne meridionali, basato sulla rendita parassitaria.
Dal punto di vista sociale, infine, il dopoguerra anticipato del Sud e di Roma, attraverso il confronto con l’agiatezza degli Alleati e gli usi e costumi in particolare degli americani (compreso quelli di origine italiana, i cosiddetti paisà), dal jazz agli occhiali Ray-ban, dalle jeep ai cibi in scatola, costituisce un primo assaggio, nel bene e nel male, di quell’american way of life che si sarebbe affermato negli anni Cinquanta con il boom economico e influenza in modo significativo l’opinione pubblica meridionale, che nelle elezioni del 1948 compirà una chiara scelta in favore del campo occidentale, consentendo alla Dc di sconfiggere il Fronte Popolare.