Da una parte la corsa dell’inflazione e dall’altro l’incremento dell’indicatore del disagio sociale: Confcommercio è fortemente preoccupata. Bisognerà valutare – è la posizione di Confcommercio – quanto l’incrocio tra maggiore inflazione e minore fiducia comprimerà i consumi delle famiglie per effetto principale della compressione del potere d’acquisto, con riflessi sfavorevoli sulla dinamica complessiva dell’attività economica. Una situazione non risolvibile nel breve periodo.
L’inflazione e la sua continua crescita rappresentano ormai una variabile fissa della quale tenere sempre conto quando si analizzano dati che raccontano la realtà economica e sociale del Paese. Come nel caso del Misery Index di Confcommercio di dicembre 2021 (MIC), l’indicatore del disagio sociale, che si è attestato su un valore stimato di 16,6, in aumento di due decimi di punto rispetto a novembre. Una crescita lieve che si mantiene su livelli storicamente elevati e che nella media dell’intero 2021 si è attestata a 17,6, un decimo di punto in più rispetto al 2020 e quasi tre punti in più nei confronti del 2019. Secondo il direttore dell’Ufficio Studi, Mariano Bella, “la progressiva ripresa dell’inflazione, che ha interessato molti dei beni e servizi che le famiglie acquistano con maggior frequenza, ha di fatto vanificato i miglioramenti conseguiti sul fronte dell’occupazione”.
I numeri del Misery Index di dicembre
A dicembre il tasso di disoccupazione ufficiale si è attestato al 9%, in diminuzione di un decimo di punto su novembre. Il dato è sintesi di una stabilità degli occupati e di una riduzione del numero di persone in cerca di lavoro (-29mila unità in termini congiunturali). A questa evoluzione si è associata una moderata crescita degli inattivi (+35mila unità su novembre). A dicembre 2021 le ore autorizzate di CIG sono state quasi 78 milioni a cui si sommano i circa 42 milioni di ore per assegni erogati dai fondi di solidarietà, in aumento rispetto a novembre. Del totale delle ore autorizzate il 71,9% aveva causale Covid-19, con un’incidenza doppia rispetto a novembre. Oltre il 50% delle ore autorizzate con questa causale è riconducibile a imprese del turismo, del commercio e dei servizi di mercato, a sottolineare lo stato di difficoltà in cui ancora versano molte aziende del terziario. In termini di ore di CIG effettivamente utilizzate destagionalizzate e ricondotte a ULA, si stima che questo corrisponda a 245mila unità lavorative standard. Il combinarsi di queste dinamiche ha determinato un tasso di disoccupazione esteso pari al 10,8%.I numeri del Misery Index.
A dicembre i prezzi dei beni e dei servizi ad alta frequenza d’acquisto hanno mostrato un’ulteriore accelerazione, attestandosi al 4% su base annua, tendenza che dovrebbe proseguire anche nei prossimi mesi.
A gennaio, secondo la stima preliminare diffusa dall’Istat l’l’indice nazionale dei prezzi al consumo è infatti aumentato dell’1,6% su base mensile e del 4,8% su base annua dal +3,9% del mese precedente. È l’incremento tendenziale più alto dall’aprile del 1996. A trainare l’aumento sono I Beni energetici che fanno segnare una crescita su base annua mai registrata (da +29,1% di dicembre a +38,6%, con la componente regolamentata che sale da +41,9% a +93,5%), “ma – sottolinea l’Istat – tensioni inflazionistiche crescenti si manifestano anche in altri comparti merceologici”. E quindi schizzano in alto i prezzi dei Beni alimentari, sia lavorati (da +2% a +2,4%) che non lavorati (da +3,6% a +5,4%) e quelli dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +2,3% a +3,5%), mentre rallentano invece i prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (da +3,6% a +1,4%).
Come largamente atteso, la stima preliminare della variazione dei prezzi di gennaio porta l’inflazione a ridosso del 5%. Valori di altri tempi, con i quali le famiglie e le imprese devono, comunque, confrontarsi”. È il commento dell’Ufficio Studi di Confcommercio che aggiunge: “a questo andamento, come era prevedibile, hanno contribuito essenzialmente gli aumenti della componente energetica a cui si cominciano ad associare tensioni nell’alimentare, causa materie prime, e nei servizi di alloggio e nella ristorazione, in cui la componente energetica costituisce una frazione rilevante dei costi d’esercizio delle imprese. Questa situazione difficilmente si risolverà nel breve periodo. L’inflazione acquisita è già al 3,4% per l’anno in corso che, in media, potrebbe esibire una variazione dei prezzi superiore al 4%.