“Era il momento di parlare di una donna che ha fatto epoca nella storia culturale e sociale italiana. In particolare nella società meridionale, in una grande città capitale come Napoli, in un periodo cruciale della nostra storia, a cavallo tra l’800 e il ‘900, in un settore (il giornalismo e la narrativa) in cui prevalevano gli uomini, nel rapporto con una società carica di speranze, creatività, dolori e ferite. Tra cui il colera. Una parte di questa storia è connessa anche alla storia dell’emergente Francesco Saverio Nitti, brillante universitario e giornalista già affermato, sulla stampa che è guidata proprio da Matilde Serao. L’Intreccio della storia e dei significati del libro più noto della Serao “Il ventre di Napoli” sono alla base di questo bell’ incontro”.
Con queste parole Stefano Rolando, presidente della Fondazione “Francesco Saverio Nitti”, ha introdotto l’incontro su Matilde Serao del secondo ciclo di “Radici morali”, organizzato da Associazione e Fondazione Nitti unitamente al Dipartimento di Scienze Umane dell’Università degli Studi della Basilicata, e rientrante nei “Percorsi di eccellenza “ di quest’ultimo.
L’evento, tenutosi presso la sala consiliare “Nitti-Bovet” del comune di Melfi, è stato aperto da Gianluca Tartaglia, direttore dell’Associazione Nitti, e dall’assessore Adriana Gallo, che ha portato il saluto dell’Amministrazione comunale.
Il dibattito è stato animato dalle domande degli studenti Valeria Capobianco, Anna Francesca Mattera e Fabio Casaletto, del corso di laurea magistrale in Storia e civiltà europee dell’ateneo lucano, alla relatrice Emanuela Bufacchi, docente di Letteratura italiana all’Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli.
“Si è scelto di incentrare l’incontro sul ‘Ventre di Napoli’ scritto da Matilde Serao in occasione del terribile colera che infierì sulla città partenopea tra l’estate e l’autunno del 1884 e dopo la visita di Agostino Depretis che avrebbe determinato l’avviamento dei lavori di risanamento urbano – ha affermato Emanuela Bufacchi-. Questo «breve studio di verità e di dolore», riletto alla luce della saggistica prodotta intorno alla Questione meridionale nel decennio precedente, appare una difesa appassionata del popolo napoletano, una risposta temeraria e accorata a coloro che per denunciare la miseria della città avevano finito per raffigurare, insieme all’avvilimento dei luoghi, l’abbrutimento degli uomini. Agli «spettri seminudi ed oziosi» di cui aveva scritto Villari nelle sue ‘Lettere meridionali’ (1876), ai «trogloditi» incontrati da Jessi White Mario ne ‘La miseria di Napoli’ (1877), alle «misere scimmie a due mani» che avevano inorridito il toscano Fucini fornendo materia al successo di Napoli ad occhio nudo (1878), Serao contrappone la sua verità, spingendo il lettore a penetrare il segreto di esistenze che appaiono certamente orribili ma non per questo degradate nell’umanità. ‘Il ventre di Napoli’ contribuì quindi a sospingere la questione napoletana dall’ambito limitato della discussione municipale a quello più vasto della politica e cultura nazionali, salvaguardando il rispetto per un popolo, che le indagini socio-antropologiche precedenti avevano rischiato di compromettere”.
Concludendo il seminario Donato Verrastro, docente di Storia Contemporanea all’Università degli Studi della Basilicata, ha sottolineato come “l’incontro su Matilde Serao ha consentito di mettere al centro una interessante figura femminile vissuta a cavallo tra Otto e Novecento, secoli di profonde trasformazioni e di potenziato impegno politico-sociale. Studentesse e studenti della Magistrale di Storia dell’Unibas si sono confrontati con i grandi temi di contesto, quali la questione meridionale, l’analisi delle classi dirigenti, la complessità dei sistemi sociali e delle condizioni di vita nelle grandi città, la letteratura e la pubblicistica, le spinte emancipatrici e i nuovi protagonismi nelle forme della partecipazione. Si sono confrontati con gli scritti e con l’esperienza di una donna decisamente indipendente, anche nelle pagine più controverse di una vita a cui non è mancata la logica del compromesso, nel delicato passaggio da vecchi modelli, di cui la Serao è stata interprete, fino ai processi di cambiamento a cui ha offerto un significativo contributo. Il confronto ha restituito tutta la complessità di una protagonista del Mezzogiorno otto-novecentesco che va inquadrata sotto la duplice prospettiva storica e letteraria, laddove l’analisi critica dei testi incrocia inevitabilmente la forza evocativa di una fonte preziosa per le ricerche sull’Italia post-unitaria”.