I reati dei colletti bianchi aumentano, la corruzione dilaga e le procure chiedono l’ausilio di uomini specializzati. A gennaio Curcio, il procuratore della DDA di Potenza, ha chiesto la DIA in Basilicata. Associazione Zes Lucana nella nota che riportiamo di seguito sottolinea come risorse legali potrebbero attrarre l’attenzione di soggetti illegali.
Di seguito il testo integrale inviato dall’associazione Zes Lucana.
“L’indifferenza della corruzione”.
Definire la corruzione non è semplice, anche perché ognuno la vede in modo diverso. Il termine deriva dal verbo latino “rumpere” cioè “rompere”: con l’atto della corruzione viene rotto qualcosa, vengono rotte le regole morali o più specificamente delle regole e leggi amministrative. La corruzione è un comportamento della persona che abusa della sua posizione di fiducia per ottenere un indebito vantaggio, un guadagno privato. Essa si può riscontrare sia nei rapporti pubblici che privati. Non tutti gli abusi di pubblico ufficio sono atti di corruzione, ma bensì di semplice furto, truffa, appropriazione indebita o simili attività. La corruzione è sicuramente una tassa occulta che impoverisce l’intero paese su tutti i fronti, fa perdere credibilità all’economia, l’immagine all’estero si frantuma, gli investimenti diretti diminuiscono con i risvolti negativi gravano sui cittadini. L’Italia ha fatto importanti passi avanti in questo senso come ha dichiarato a fine anno scorso il Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione Giuseppe Busia, che ha insistito sul sistema della “…. trasparenza che deve essere prioritario per il Paese, specie in questa fase importante di realizzazione dei progetti del Pnrr. La prevenzione della corruzione va coniugata con efficienza della pubblica amministrazione”. Dopo gli scandali sulle mascherine protettive, il campanello d’allarme si è avuto con il Superbonus 110% e figuriamoci adesso che passeranno i contratti del Pnrr. Senza la realizzazione della Piattaforma unica della Trasparenza, prevista dal Pnrr e affidata ad Anac, e soprattutto la garanzia di indipendenza per l’Anac che opera sul fronte dell’anticorruzione, insieme alla magistratura ordinaria e contabile e alle forze dell’ordine specializzate si rischia in grande flop. La corruzione è in agguato, il fenomeno non è sconfitto ed è storicamente connaturato al Bel Paese. Son passati trent’anni dall’arresto di Mario Chiesa per soli tremilacinquecento euro, una piccola mazzetta che dopo l’ingranaggio, fece cadere il sistema. La corruzione, in certi frangenti, è purtroppo ancora un saldo strumento di governo e costituisce la regola del gioco. Ciononostante, la diminuzione dell’intensità del fenomeno è oggettiva e costante. La nuova veste della corruzione italica è pulviscolare, molto differente da quella di Tangentopoli, registrata negli anni ’90; anche se il denaro continua a rappresentare il principale strumento dell’accordo illecito. Nel Mezzogiorno si assiste ancora alla compravendita del posto di lavoro, all’assegnazione di prestazioni professionali e alle regalie di vario tipo. Ma è negli appalti pubblici, nei concorsi, nei procedimenti amministrativi, nelle concessioni edilizie che il fenomeno è ancora radicato e va aggredito con misure repressive e preventive. L’emergenza sanitaria ha già portato con sé un elevatissimo aumento della spesa pubblica nel 2020 e 2021; nell’immediato futuro la corruzione potrebbe drenare le risorse a questi tipi di appalti, minando la fiducia nelle istituzioni, esacerbando le vaste disuguaglianze esposte dal virus e ostacolando la ripresa. In questo contesto, un ruolo fondamentale lo assumerà la Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici (BDNCP). Durante il 2020, circa 47.000 operatori economici sono stati oggetto di verifica dell’ANAC, che ha evidenziato incompatibilità e conflitto di interessi. Allora come sradicare la corruzione in Italia? Combattendo la scarsa trasparenza di chi gestisce la cosa pubblica e identificando i conflitti di interesse tra finanza, politica, affari e istituzioni; tutti fattori che rappresentano una minaccia alla stabilità e al buon funzionamento di un Paese. E’ essenziale che le istituzioni e i cittadini acquistino fiducia nei confronti dell’Italia e ciò avverrà sicuramente se ci sarà più trasparenza e integrità ed il Governo farà la sua parte partendo già dalla trasformazione digitale. In tal senso, è auspicabile realizzare un massiccio investimento pubblico volto a innalzare, con nuovo personale ad elevata competenza e con un deciso rilancio dell’utilizzo delle tecnologie informatiche e della digitalizzazione, la qualità delle pubbliche amministrazioni. Attraverso l’incrocio delle banche dati di diverse fonti (Dipartimento della funzione pubblica, Ministero dell’Interno, Ministero della Giustizia, Banca d’Italia, ISTAT, Corte dei Conti, Ministero dell’economia e delle finanze, EUROSTAT) si riuscirà a governare meglio il fenomeno, con l’ausilio di personale di polizia giudiziaria esperto in materia e al servizio almeno delle Procure più interessate al fenomeno, mafioso. Il ruolo tempestivo della DIA in simile contesto può essere risolutivo dell’attuale situazione di corruttela tra affari, politica e istituzioni pubbliche, denunciata e riportata sugli organi di stampa specie dopo l’inaugurazione dell’anno giudiziario. Adesso non si spara più, ma si contano i soldi da investire per corrompere e aprirsi strade, approfittando della latitanza della politica che si dovrebbe interessare alla cosa pubblica e al bene dei cittadini. La pandemia, il Superbonus 110%, il PNRR e gli investimenti materiali e immateriali nel sistema produttivo per attrezzare le aree a zona economica speciale hanno già suonato dei campanelli d’allarme all’Anac, alle Procure e agli organi di polizia che non possono passare nell’indifferenza civica come fenomeni endemici. E’ più che mai necessario unire le forze e le competenze per proteggere i fondi europei che arriveranno da nuove forme virali che non faranno altro che infettare ancora la nostra società civile.