Silvia Poppi ed Elisa Zani, alcuni mesi fa, al Politecnico di Milano, hanno discusso una tesi di laurea in Architettura dal titolo Il Borgo La Martella tra Memoria Identità e Futuro. Di seguito la nota inviata in merito da Francesco Paolo Francione.
Silvia Poppi ed Elisa Zani, alcuni mesi fa, al Politecnico di Milano, hanno discusso una tesi di laurea in Architettura il cui titolo è: Il Borgo La Martella tra Memoria Identità e Futuro. Un lavoro molto interessante, a mio parere, per l’ampiezza del quadro storico,per le analisi comparative tra diversi insediamenti abitativi e, soprattutto, per le indicazioni sul futuro del borgo, alla luce delle disposizioni normative derivanti da una più articolata interpretazione del concetto di patrimonio culturale.
Le due ricercatrici adottano una metodologia chiara e consequenziale che colloca il borgo materano nel quadro storico culturale della Riforma agraria e dell’architettura del dopo guerra che progetta e costruisce quartieri a Milano, a Bologna, a Torino e a Firenze. In particolare, La Martella viene affiancato al quartiere dell’INA-Casa del Tiburtino, a Roma, un vero manifesto del Neorealismo architettonico, nel cui team di progettazione è presente quasi tutto il gruppo che, coordinato da Ludovico Quaroni, realizza anche il borgo materano.
Il lavoro delle studentesse corre sul filo della sensibilità estetica che difende la tutela e la conservazione del bene culturale, ma sa anche confrontarsi con una visione moderna dell’architettura, luogo di memoria sì, ma ricca di prospettive aperte“alle ragionevoli istanze dell’abitare contemporaneo”.
Il vecchio borgo rurale degasperiano, dopo 70 anni, ha subito molte trasformazioni,fisiche e sociali: è stato ampliato con interventi di edilizia privata epubblica ma, in mancanza di una strategia organica, le nuove aree“sembrano scollegate tra di loro e rispetto all’ insediamento degli anni ‘50” .Molta campagna è stata espropriata per dar vita ad una zona di sviluppo industriale; a poca distanza dal borgo c’è una discarica, ora in fase di bonifica, ma non mancano, di tanto in tanto, tentativi di aggredire il borgo e il territorio che lo circondacon iniziative preoccupanti e molto discutibili. Molteplici e di varia natura sono anche le trasformazioni delle case private, effettuate per rispondere alle esigenze dei nuovi abitanti che non sono più contadini: si tratta, in genere, di modifiche lievi e moderate che rivelano la vivacità dei residenti, il senso critico e le loro capacità propositive; talvolta però, gli interventi intesi a personalizzare la casa, risultano eccessivi e gravi, tanto che le superfetazioni rendono “illeggibile la volumetria originaria”.
Le due architette sanno che negli ultimi decenni si è diffusa una sub-cultura dell’abusivismo e che, anzi, a La Martella, si è proceduto in senso contrario, con la perdita di quel senso comunitario che aveva suggerito ai progettisti i due forni collettivi alle estremità del borgo, invece del forno individuale previsto in un primo momento per ogni casa. Esse, però, si fanno guidare da una nuova concezione del patrimonio culturale, sviluppatasi negli ultimi ‘50 anni, quasi in opposizione allo sfrenato capriccio individuale che ha sfregiato case, città e villaggi.
La nuova visione culturale considera i quartieri costruiti nel dopoguerra come espressione socio-culturale dell’abitare in un determinato momento storico e riconosce loro un grande valore documentale.Anche La Martella, perciò, viene inserito nel “Censimento delle architetture del secondo Novecento “ redatto dal Ministero della Cultura (MIC): il borgo, infatti, rispetta vari criteri previsti, tra cui quello di essere “ una opera di particolare valore qualitativo all’interno del contesto urbano e/o ambientale in cui è realizzata “. La Chiesa è dichiarata opera di eccellenza e meritano d’essere selezionati tutti gli edifici pubblici, cioè, Cineteatro, Centro Servizi(Posta e biblioteca), Scuola dell’infanzia, Negozi con alloggi, Scuola primaria, ex Asilo nido, ex ambulatorio, ex alloggio del medico, ex caserma dei carabinieri, casa degli artigiani.
Il valore del borgo viene rilevato anche dall’Unesco che incarica il DOCOMOMO ( Associazione che ha come obiettivo la documentazione, la conservazione e la valorizzazione degli edifici e dei complessi urbani del Novecento): il borgo viene schedato “ tra le 100 opere più importanti che rappresentano l’architettura del ‘900 italiano” e a La Martella, nel 2014, viene assegnato un valore tecnico, sociale, culturale e storico. Nel complesso, “La Martella è considerato ancora un valido esempio di una pianificazione integrata nel paesaggio del territorio materano che dovrebbe essere meglio protetto attraverso un dettagliato piano urbanistico orientato alla restaurazione del progetto originario “ .Potrebbe essere attivata una procedura di vincolo, se fossero passati più di 70 anni dalla costruzione, ma il fatto che sia schedato dimostra la sua rilevanza: è patrimonio culturale, deve essere tutelato e conservato ma anche ammodernato per soddisfare esigenze dei residenti, così come si fa in altre parti d’Italia, in analoghi siti residenziali.
Poppi e Zani prendono in esame alcuni casi-studio, cui si potrebbe guardare come a modelli per eventuali interventi:
1. Il quartiere nato con la ottava triennale a Milano (QT8), grazie ad una recente legislazione, ha provocato un acceso dibattito tra Soprintendenza e Comune per decidere se sia più conveniente apporre un vincolo come patrimonio culturale o come patrimonio paesaggistico; ambedue le ipotesi, infatti,comportano vantaggi e svantaggi: il primo, eccessiva rigidità che crea burocratico immobilismo; il secondo, il rischio di interventi che deformano la planimetria originaria.
2. Tresigallo, un borgo vicino alla città di Ferrara, ricco di enorme significato storico, le cui vicende si concludono riconoscendolo come patrimonio culturale da inserire nella lista delle< città d’arte>. Lo decide la Regione Emilia e Romagna con il sostegno del Consiglio d’Europa.
3. Canton Vesco di Ivrea: viene costruito tra il 1947-54, negli stessi anni del borgo La Martella;negli anni ’90 c’è “diffuso degrado ed avanzata obsolescenza a causa di errori di costruzione, naturale invecchiamento e mancanza di attenzione da parte dei residenti negli interventi effettuati”. Vengono individuati 35 edifici, tra cui la scuola elementare progettata da Quaroni nel ‘54 e l’asilo progettato da Ridolfi e Frankl, un tessuto abitativo su cui aleggia la cultura olivettiana e si decide di avviare la sperimentazione del recupero con l’obiettivo di mantenere l’integrità formale degli edifici, il più fedele possibile a quella originale, “consentendo allo stesso tempo di apportare le modifiche necessarie agli adeguamenti normativi”.
Il primo passo da compiere per il buon esito della sperimentazione è quello di intraprendere un percorso di persuasione e di dialogo con i residenti perché accettino di collocare la loro abitazione in una visione generale del bene storico costituito dal loro quartiere. Come è risaputo, il risultato finale è l’inserimento di Ivrea nella lista del patrimonio culturale dell’Unesco nel 2018.
Scrivono le due neo-architette: “ Riteniamo che la situazione del costruito del borgo La Martella possa essere comparata a quella delle vicende di Canton Vesco e che, pertanto, sia auspicabile arrivare in futuro all’elaborazione di linee guida specifiche per interventi sugli edifici del Borgo , inserite all’interno dello strumento di Piano, al fine di rinnovare conservando”. Prendono atto del fatto che, nonostante le iniziative di istituzioni e organismi nazionali e internazionali (MIC e UNESCO), “non esiste ancora una diffusa consapevolezza del valore culturale dei quartieri popolari del Novecento” e che, quindi, molto impegno verrà richiesto ancora agli studiosi come Carla Di Francesco e Paola Ascione perché il processo di sensibilizzazione proceda più alacremente.
Le due studiose sono persuase che “sarebbe utopico e sterile pensare di riportare La Martella al suo aspetto originario di progetto perché troppi sono ormai i cambiamenti che si sono succeduti e l’assetto passato non risponderebbe alle necessità e alle esigenze degli attuali abitanti. Ci sono, tuttavia, dei validi motivi per confidare nei risultati di una ben organizzata azione pedagogica poiché i martellesi, come risulta da un questionario somministrato dalle stesse ricercatrici, hanno consapevolezza del valore storico del borgo e potrebbero essere indotti ad accettare di buon grado l’inserimento della loro privata abitazione nella visione collettiva del quartiere in cui vivono. Verrebbe, comunque, utilizzato “un approccio conservativo ma allo stesso tempo innovativo, privilegiando soluzioni reversibili e non snaturanti il costruito”.
D’altronde, legislazione e normativa più recenti vanno sviluppandosi verso il generale riconoscimento del patrimonio culturale e la necessità di tutelarlo e valorizzarlo: il Ministero dei Beni e delle Attività culturali (MIBACT) ha riconosciuto il valore dei beni architettonici contemporanei, trascinando nella stessa direzione l’UNESCO e il DOCOMOMO, fino a definire ilCodice dei beni culturali e del paesaggio con il dlgs n. 42 del 2004. Nella stessa direzione vanno anche i regolamenti urbanistici che la città di Matera sta approntando,a cominciare da quello del 2013, fino al recentissimo del giugno 2021. Quest’ultimo è opera di Francesco Nigro, Tiziana Altieri, e Roberto Palotto e introduce norme tecniche di Attuazione finalizzate alla “conservazione e alla valorizzazione dei tessuti edilizi esistenti e dei caratteri storici e morfotipologici, anche attraverso l’eliminazione delle superfetazioni “.
In breve, come si è evidenziato nelle vicende del quartiere Feltre a Milano nel 2008, “bisogna prima arrivare a riconoscere il quartiere “ di notevole interesse pubblico quale bene paesaggistico”, per poi seguire il percorso burocratico previsto dalla normativa e poter apporre un vincolo culturale o paesaggistico, o combinando insieme i due vincoli, quello paesaggistico all’intero contesto urbano e quello culturale ad elementi puntuali.
Ciò che si può fare in Lombardia perché non si potrebbe anche in Basilicata?
Nell’ultima parte della tesi Poppi e Zani presentano il loro progetto di restauro della scuola per l’infanzia, progettata da Federico Gorio; lo fanno scaturire da un’ampia visione culturale, dall’analisi dell’edilizia scolastica e dell’architettura per l’infanzia nel dopoguerra, dalla comparazione con altre scuole d’infanzia, ( la scuola materna di Giuseppe Terragni a Como, l’asilo nido di Figini e Pollini a Ivrea, l’asilo nel quartiere di Canton Vesco e la scuola materna a Poggibonsi (Siena) di M. Ridolfi e W. Frankl.
Una preziosa interrelazione che è caratteristica saliente di tutto il lavoro delle neolaureate che non vedono mai La Martella come fiore raro sbocciato in un deserto, ma sempre accanto all’architettura d’avanguardia.
C’è un clima di fervore e di rinascita cui collaborano Ernesto Codignola (pedagogista) e Ciro Cicconcelli (architetto): vogliono una Architettura educatrice, una scuola vicina ai luoghi di lavoro e alle residenze dei genitori, uno stretto rapporto tra l’edificio e la natura, intesa anch’essa come spazio didattico, secondo i principi del Movimento di Comunità di Adriano Olivetti che ritroviamo disseminati da Nord a Sud, poiché è inconcepibile pensare a edifici scolastici che non abbiano il massimo di aria e di luce.
Il valore simbolico della scuolaviene messo in primo piano: a Ivrea, attraverso le parole di Figini e Pollini che dichiarano d’aver cercato “ di creare attorno ai bimbi un’atmosfera di luminoso ottimismo che parli loro attraverso l’espressione dell’architettura moderna col linguaggio dei tempi in cui dovranno vivere e lavorare”; a La Martella, mediante la sintesi entusiasta di Ludovico Quaroni: “ c’era nell’idea di quartiere organico la fiducia di una utopistica visione dell’asilo e della scuola come centri della vita residenziale per il valore educativo che avrebbero dovuto e dovrebbero avere, per il valore simbolico che rivestivano nella formazione della coscienza democratica del cittadino verso l’eliminazione delle classi sociali e verso una rosea, celestiale collaborazione tra queste come tra gli individui e tra i popoli, le nazioni e i continenti”.
Un manifesto che dovrebbe essere affisso nella piazza del borgo, accanto alla targa che ricorda l’inaugurazione di Alcide De Gasperi.
Nel loro lavoro di ricerca presso l’Archivio di Stato di Bari, le autrici consultano un documento che riguarda la consegna degli edifici pubblici di La Martella al Comune di Matera. Era il luglio del 1960 e a Matera c’era il Commissario prefettizio Pietro Curione. Il Comune si dichiara disposto ad accettare la consegna della rete fognaria e degli edifici che per legge gli competono, manon intende assumere la consegna con relativa manutenzione dell’intera borgata. Molti edifici pubblici vengono, pertanto, ceduti in uso alla Sezione Speciale della Riforma per il canone simbolico di lire 1 e sono: la scuola dell’infanzia; i due forni collettivi, il laboratorio artigiano, il fabbricato assistenza con cinematografo, gli alloggi per il medico, per l’infermiera e per l’ostetrica. La scuola elementare e l’asilo nido, al momento dell’atto gestito dall’ONMI, sono indicati come edifici pubblici che dovrebbero essere ceduti al Comune”. Qualche edificio non esiste più fisicamente, altri sono occupati abusivamente.
Forse è questo gran rifiuto la madre di tutti i mali che hanno attanagliato il borgo rurale e al quale, nel corso degli anni, non è stato opposto un rimedio adeguato.
La Commissione d’esame, relatori la prof.ssa Francesca Lucia Maria Albani e il prof. Davide Del Curto, correlatore il prof. Ettore Vadini che insegna Composizione Architettonica e Urbana nell’Università di Basilicata, ha valutato con il massimo dei voti e con la lode il lavoro delle due architette; più grande soddisfazione, penso, sarebbe il sapere che dal loro studio potrebbe derivare un forte impulso per avviare anche a La Martella un progetto di tutela e conservazione. A cominciare dal luogo dell’istruzione, come veniva indicato dai progettisti il complesso delle scuole e dei servizi sanitari.
Non può essere, infatti, motivo di vanto per l’Amministrazione Bennardi restaurare la piazza e il campo sportivo, ma assistere muta e consenziente alla privatizzazione dell’asilo – Nido. E questo mentre, ogni giorno, ci si rammarica per l’ insufficiente parità di genere causata anche dalla mancanza di servizi basilari che obbliga le giovani mamme a rinunciare al lavoro.