Giovanni Caserta in una nota esprime alcune riflessioni sul conflitto in corsa tra Russia e Ucraina: Di seguito la nota integrale.
Ut erat in rebus, ferro ignique Hucrayna est vastata.
Come era nei fatti, l ’Ucraina, messa a sacco e fuoco,è devastata. Per una serie di ragioni abbiamo esitato a lungo prima di scrivere la presente nota. Innanzitutto, non serve, perché siamo alla fase finale della distruzione dell’Ucraina; in secondo luogo perché sappiamo di incorrere nell’urto con uno degli “idòla” di cui parlava Bacone. Ci riferiamo agli “idola fori”, quelli che dominano la piazza e fanno parte dell’immaginario collettivo, ovvero, in termini più concreti, del pensare di piazza. Ma tant’è.
Apprendiamo che Zelensky, il presidente della Ucraina, chiede un colloquio al suo nemico Putin, affermando che rinunzia al suo ingresso nella Nato e nella Comunità Europea. Era quello che Putin chiedeva prima di aprire le ostilità. Ora Zelensky dovrà accettare tutte le condizioni iugulatorie che il vincitore gli imporrà. L’accordo, purtroppo, lo firmeranno, non intorno ad un tavolo, ma su un mucchio di macerie, come i vecchi spaccapietre che conoscemmo ai bordi della strada, da ragazzi. Molte case e piazze e scuole e monumenti e fabbriche e laboratori, infatti, sono cumuli di rovine. Contemporaneamente dieci milioni di Ucraini, soprattutto donne e bambini, sono fuggiti cercando riparo in altri Paesi. Altri andranno via. Gli uomini sono rimasti a combattere e a morire in patria; molte donne, perciò, saranno vedove; molti bambini saranno orfani in terra straniera.
Ascolto sempre con interesse Pierluigi Bersani, perché non accecato da ideologie e miti. E’ uno dei pochi politici a farsi guidare dal buonsenso, che significa capacità di confrontarsi con la realtà. Giunge sempre a conclusioni sagge, cioè possibili. Non così Casini, irruente, non così Veltroni “bonton”, sempre da Fazio con un nuovo libro sotto il braccio da pubblicizzare. Questa volta, però, Bersani non è arrivato alle conclusioni giuste. Parlando della guerra di difesa ucraina, ha detto che è giusta e sacrosanta; ma, per quanto giusta e sacrosanta – ha aggiunto – la Nato non può intervenire, perché significherebbe una terza guerra mondiale, cioè atomica.
Se dobbiamo lasciarci guidare dalla logica, mettendo sulla bilancia l’utile e il giusto, Bersani ha preferito, machiavellicamente, sacrificare il giusto all’utile, cioè all’opportunità. Fino a questo punto non ci sentiamo di dargli torto. Lo stesso discorso, però, dev’esser fatto per la difesa impossibile dell’Ucraina, avventura intrapresa per decisione ferrea, ma anche istintiva, del suo presidente Zelensky. La difesa è giusta, sacrosanta – conveniamo; Putin è un assassino – non ci sono dubbi. Ma, considerato che è difesa vana, perché è impossibile all’Ucraina resistere al potente esercito russo, essa significa la distruzione fisica e morale di una nazione, cioè di un popolo, sia quello che rimane sia quello che è andato via. Vale la pena? Si consideri anche che l’occupazione “manu militari” comporta comunque la perdita della libertà e, in più, vessazioni e sofferenze gravissime. A seguire il ragionamento di Bersani, ci si domanda perché sulla difesa inutile e rovinosa della Ucraina non debba applicarsi la stessa logica dell’utile e della opportunità, che vale per la Nato, per l’Europa e per Bersani, e per tutti gli strenui paladini e sostenitori della guerra di Zelensky., che però rinunziano a schierarglisi a fianco.
Inutilmente, nel confronto che ho avuto con qualche stenuo sostenitore di Zelensky, e della difesa ad oltranza, ho ricordato che la resa, a volte, può essere più nobile e coraggiosa che una inutile resistenza. Mi sono sforzato di ricordare che, quando gli Alleati angloamericani sbarcarono in Sicilia, considerata l’inutilità di una difesa o contrasto ad oltranza, il governo Badoglio, segretamente, firmò un armistizio, tenendolo nascosto ai Tedeschi. Quel governo e tutti gli italiani si ebbero, dai Tedeschi, l’accusa di tradimento. Quell’armistizio, però, risparmiò una guerra e guerriglia che avrebbero distrutto tutta la parte meridionale dell’Italia, che invece si salvò. Si pensi a quel che, nei primi giorni, successe con i bombardamenti alleati su Potenza, Foggia, e Montecassino, e a Salerno, dove i tedeschi cercarono di contrastare lo sbarco alleato.
La guerra, purtroppo, non la si poté fermare con altra pace o armistizio al Centro e al Nord d’Italia, dove, peraltro, c’era, in più, la guerra fratricida fra l’Italia libera e la Repubblica di Salò. Fu sbagliato l’armistizio? Fu un tradimento, come dissero i Tedeschi e, per lungo tempo, hanno continuato a ripetere i neofascisti? Lo dice Casini? Lo dice Veltroni? Con una resa motivata, dignitosa e spiegata, in Ucraina sarebbero rimasti in piedi palazzi, monumenti, fabbriche, asili nido, scuole, ospedali… Ci sarebbe stato tempo, come in Italia prima del 1943, per una Resistenza culturale e morale, all’interno di un concerto internazionale. Si sarebbe discusso del “caso” Ucraina; avrebbe avuto posto la ragione del dialogo; avrebbero avuto senso le sanzioni, date con razionalità.
Ora arriverà la resa inevitabile. Per quaranta milioni di ucraini la guerra non sarà finita. Non sarà finita per i dieci milioni fuggiti e per i trenta milioni rimasti. Per due generazioni almeno, forse per tre, i sopravvissuti si porteranno dentro l’animo e sulla carne le ferite. I bambini di oggi, a settant’anni, saranno ancora sanguinanti dentro. La loro vita, e quella delle loro madri, dei loro padri (se vivi) e dei loro fratelli (se vivi), risulterà stravolta per sempre. Come disse Cesare Pavese in una memorabile pagina della “Casa in collina”, “Io non credo che la guerra possa finire. Ora che ho visto cos’è guerra, cos’è guerra civile – e per Pavese ogni guerra è una guerra civile – so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: “E dei caduti che facciamo? perché sono morti? Io non saprei cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero”.
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