Il professore materano Francesco Paolo Francione ha inviato alcune riflessioni sul conflitto in corso in Ucraina. Di seguito la nota integrale.
Voci nel deserto, ieri e oggi.
Molti adolescenti elevarono al cielo fervidissime preghiere perché profondamente turbati dal rischio di una guerra nucleare per cause che a stento riuscivano a capire. A Cuba avevano vinto Ernesto Che Guevara e Fidel Castro, l’America non accettava un regime comunista a 90 miglia dalla Florida, i suoi generali organizzarono il rovesciamento del governo rivoluzionario, ma nella Baia dei Porci li attendeva una cocente umiliazione (Aprile 1961).
Nikita Krusciov, presidente del consiglio dei ministri dellURSS, accettò la richiesta del governo cubano di posizionare nell’isola missili nucleari MRBM e IRBM per scoraggiare altre possibili invasioni, ma aerei U-2 rivelarono ciò che stava accadendo. Il presidente degli USA. J.F. Kennedy, da poco eletto, comandò il blocco navale, la tensione raggiunse l’acme ma prevalse la ragione e fu ascoltato il Papa che aveva chiesto di “non rimanere sordi al grido di umanità e di fare tutto quello che era in loro potere per salvare la pace”. Nikita Krusciov revocò la sua decisione, Kennedy promise di non invadere l’isola e di ritirarei missili statunitensi dalla Turchia, dalla Gran Bretagna e dall’Italia, il cui primo ministro Amintore Fanfani s’era dichiarato subito consenziente.
A suggellare l‘accordo venne realizzata una speciale linea rossa di comunicazione riservata tra Mosca e Washington.
Era un’assurdità intollerabile che dopo Auschwitz e le bombe atomiche sganciate sul Giappone a guerra vinta eterminata, dopo60 milioni di morti, in gran parte civili, i governanti non sapessero trovare soluzioni pacifiche.
La filosofia della nonviolenza incarnata da Gandhi cominciò a fare proseliti anche in Italia grazie all’impegno di Aldo Capitini (1899- 1968), un “religioso laico”, che ne divenne il principale teorico.Impegnò la sua esistenza per diffondere l’idea della pace, chiamò a raccolta cittadini semplici e riuscì a coinvolgere intellettuali come Norberto Bobbio e Italo Calvino, organizzò la marcia per la Pace tra Perugia e Assisi , ( la prima si svolse il 24 settembre 1961), difese Pietro Pinna, primo obiettore di coscienzadel dopoguerra, processato dal Tribunale di Torino nell’agosto 1949.
Egli era convinto che la via maestra per salvaguardare la pace fosse il “Disarmo totalecontrollato” e, in tutti i Paesi una “ Diversa impostazione dei bilanci statali” che dovrebbero essere posti al servizio dell’Assistenza, della scuola e della elevazione civile di tutti”.
Era un evidente rovesciamento dell’antica teoria del “si vis pacem para bellum “, capovolgimento richiesto anche dal tipo di armi che l’uomo era riuscito a fabbricare e a usare con incredibile leggerezza .Crebbe il numero dei giovani che intendevano servire la patria con un servizio diverso da quello militare e la questione esplose soprattutto nella vivacissima Firenze dove un giovane iscritto all’Azione Cattolica, Giuseppe Gozzini, per “obiezione di coscienza”, veniva processato e condannato, assieme a Ernesto Balducci, il religioso scolopio che la sua causa aveva sposato.Fu, invece, rimbrottato dal Presidente della sua Associazione che giudicava “assurdo gesto di disobbedienza alla legge dello Stato” quello del giovane obiettore.
E nel mentre accadevano questi fatti, l’11 aprile 1963, fu pubblicata la enciclica “Pacem in Terris”, il documento di grande levatura culturale che meglio rappresenta l’anelito alla pace e alla giustizia sociale del popolo credente e non. Papa Giovanni XXIII chiedeva di svuotare gli arsenali e riempire i granai perché l’umanità facesse un passo avanti verso una pacifica convivenza: “giustizia, saggezza ed umanità domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti … si mettano al bando le armi nucleari e si pervenga finalmente al disarmo integrato da controlli efficaci”.
Nel febbraio del 1965, don Lorenzo Milani, coglie l’occasione della polemica contingente con un gruppo di ex- cappellani militari per approfondire le suddette tematiche con incisivi excursus storico- teologici rapportati alla Costituzione italiana.
Ricorrendo l’anniversario della Conciliazione tra la Chiesa e lo Stato, un gruppo di ex- Cappellani Militari della Toscana aveva votato un ordine del giorno in cui si considerava “un insulto alla patria e ai suoi caduti la cosiddetta obiezione di coscienza che, estranea al comandamento cristiano dell’amore, è espressione di viltà”.
Parole gravi e offensive che provocarono la pacata e ragionata risposta di don Bruno Borghi e altri. Don Milani aveva letto l’ordine del giorno dei cappellani ai ragazzi della sua scuola di Barbiana e non poteva non reagire con lo stile e la passione che lo contraddistinguevano.
Inviò una lettera oltre che ai cappellani, a tutti i parroci di Firenze e, sentendo fortementeil ruolo del sacerdote e del maestro, elaborò un pensiero chiaro, ampio e consequenziale. Si rivolse ai cappellani con toni duri : “che lingua parlate? Come potremo intendervi se usate le parole senza pesarle? Se non volete onorare la sofferenza degli obiettori, almeno tacete”.
Alcuni benpensanti ritennero che nella lettera ci fossero espressioni irrispettose nei confronti di coloro che si erano immolatiper la Patria nelle varie guerre e sporsero formale querela al Procuratore della Repubblica di Firenze.
Don Milani, già gravemente malato, sapeva di non poter presenziare al processo e decise di scrivere una lettera ai Giudici che venne pubblicata da Luca Pavolini, direttore di Rinascita, la rivista culturale del Partito Comunista italiano. Essa è ricca di spunti di riflessione che ben si adattano al difficile momento che L’Europa sta oggi vivendo.
Il prete fiorentino mette in primo piano gli articoli 11 e 52 della Costituzione e, alla luce di principi così solennemente affermati, approfondisce, tra l’altro, leproblematiche del primato della coscienza,analizza il concetto di Patria e sottolinea, infine, l’inadeguatezza della teologia e della legislazione in rapporto alla guerra nucleare.
“Bisogna – egli dice -avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene fare scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto”.
Viene ricordato Claude Tatherly, il pilota americano di Hiroshima “che vede ogni notte donnee bambini che bruciano” e che oggi giudica se stesso un “povero imbecille irresponsabile”, lui che dai superiori veniva giudicato “un bravo ragazzo”,“un soldato disciplinato”.
A Norimberga e a Gerusalemme sono stati condannati uomini che avevano obbedito: ciò significa che non avrebbero dovuto farloperché c’è una legge di Dio e una legge della Coscienza che glielo impediva. E avrebbero dovuto disobbedire anche i soldati italiani quando, in Etiopia, sul Tacazzè, nel dicembre del 1935, commisero crimini di guerraeseguendo gli ordinidiMussolini che telegrafava a Graziani la sua rinnovata “autorizzazione all’ impiego di gas di qualunque specie e su qualunque scala”.
Talvolta quella legge stessa impone di agire anche senza essere comandati, come quando nel ’22, l’esercito aspettò ordini che non vennero e la Patria finì” in mano a un pugno di criminali che violò ogni legge umana e divina e riempiendosi la bocca della parola Patria, condusse la Patria allo sfacelo”.
La giornalista Neera Fallaci si poneva sessant’anni fa una domanda: “ la libertà sarebbe stata strangolata in Grecia e in Cile(….) se i soldati fossero stati educati a disobbedire agli ordini di ufficiali disobbedienti al popolo loro sovrano” ? E gli adolescenti impauriti di quegli anni, oggi in età avanzata, continuano a porsi la stessa domanda allungando di molto la lista dei crimini.E se gli uomini avessero disobbedito in URSS, negli anni ’30, agovernanti paranoici, in Vietnam, in Cambogia, in Argentina negli anni della dittatura militare (1976/83), in Palestina, in Iraq, in Afghanistan? E se i soldati avessero disobbedito, l’altro ieri, nei dintorni di Kiev, In Ucraina, a ufficiali impazziti, chiunque essi fossero, non potremmo oggi scrivere e narrare una storia più umana?
La Patria è un concetto che contiene alti valori: sovranità popolare, libertà e giustizia, ma analizzando varie guerre, si constata che non è facile dire da che parte si colloca la Patria.E’ una nozione che “urge chiarire” – dice don Milani – perché, talvolta, la guerra è una inutile carneficina; lo fu, per esempio, la prima guerra mondiale,“ quando Giolitti e quasi tutto il Parlamento, avevano “la certezza di poter ottenere gratis quello che poi fu ottenuto con 600.000 morti”.
“ Anche la Patria è una creatura, cioè qualcosa meno di Dio, cioè un idolo se la si adora. Io penso che non si può dare la vita per qualcosa di meno di Dio. Ma se anche si dovesse concedere che si può dar la vita per l’idolo buono (la Patria), certo non si potrà concedere che si possa dar la vitaper l’idolo cattivo ( la speculazione degli industriali)”.
La riflessione di don Milani, infine, si estende alla “guerra futura” che è quella che sta oggisotto i nostri occhi.
Egli sottolinea l’inadeguatezza della teologia e della legislazioneevidenziatasi già nella seconda guerra mondiale, guerra di ideologie e “non di Patrie”; ma dinanzi alla prospettiva della guerra nucleare, quella inadeguatezza diventa grave e insormontabile perché vengono a mancare i termini stessi per affrontare la questione. Ora, infatti, sono i militari a morire “incidentalmente”, mentre viene sterminata la popolazione civile, cioè bambini, donne, malati e anziani.Ebbene, nessun soldato può sparare sui civili e, dunque, in casi del genere, ilcristiano deve obiettare anche a costo della vita. Il cristiano, anzi, a una guerra simile “non potrebbe partecipare nemmeno come cuciniere”.
Quindi è pura accademia discutere di guerra con un sistema concettuale già fatiscente, e bisogna convincersi che “ la guerra difensiva non esiste più”. E cioè, non esiste più una guerra giusta né per la Chiesa né per la Costituzione “.E ciò” perchéè in gioco la sopravvivenza della specie umana” , come gli scienziati da molto tempo ci stanno avvertendo.
Oggi un altro profeta è inascoltato come sessanta anni fa : implora inutilmente la pace, ma restano sordi alle sue parole coloro che spesso vanno ad ossequiarlo.Con una buona dose di ipocrisia.
Grida al mondo la vergogna che tutti gli uomini dovrebbero provare per la ossessiva produzione di armi, vorrebbe fermare l’impazzimento dei governanti e dare forza all’impotenza della ragione, ma alle sue orecchie giunge l’eco del ministro che chiedeweapon, weapon, weapon, armi armi armi. Abbondano le dotte e sottili disquisizioni e lui resta isolato nel consesso dei grandi, ma è punto di riferimento per coloro che nulla possono se non sperare che la Ragione si imponga nella generale confusione in cui ci si può ritrovare a fianco personaggi da sempre lontani e viceversa.
Sono impazziti e ci trascinano verso l’abisso inneggiando ai valori di patria e libertà. E L’Europa che doveva sviluppare una intelligente politica di dialogo e di prevenzione ( non è questo il compito della politica?), che doveva essere costruita sulle fondamenta della solidarietà fra i popoli, appare muta, ripetitiva e quasi soddisfatta nel vedere consolidata l’unione con l’invio di ingenti quantità di armi al paese aggredito e con molteplici pacchetti di sanzioni per abbattere l’invasore.E tutto questo quando è risaputo che al tavolo dei negoziati c’era un accordo tra i belligerantidisposti a concedere quanto l’altro riteneva indispensabile.
N.B. Tutte le citazioni sono tratte da “ L’obbedienza non è più una virtù”, Libreria editrice Fiorentina