“Il nostro primo incontro con la pittura delle cripte materane fu casuale e risale agli anni Cinquanta, un tempo che da una visuale locale appare ormai remoto rappresentando la fine di un ciclo plurimillenario di civiltà trogloditica. Eravamo scesi al Sasso Caveoso quando, notata una chiesetta scavata nel tufo, vi entrammo. Era la cripta di S. Lucia alle Malve ed il contadino che ci aveva osservato incuriosito ci indicò allora le medievali immagini «pittate» nel suo fienile, adiacente alla chiesa della quale era in origine parte integrante. Da allora scendemmo varie volte al rione Malve per studiarvi la chiesa ed il relativo insediamento monastico, ma la visita che ricordiamo meglio avvenne quando, in compagnia di un amico veneziano, fummo colti nell’entrare da un acre odore di bruciato, essendo l’aria del fienile irrespirabile per l’ossido di carbonio sprigionato dalla gran quantità di paglia lasciata bruciare per due giorni senza che nessuno intervenisse. Quando poi riferimmo l’accaduto ad un sedicente esperto locale ci sentimmo incredibilmente rispondere che non era il caso di allarmarsi, che anzi l’affumicatura avrebbe giovato alla conservazione degli affreschi! Incuria, ignoranza, superficialità: non sono certo fattori patogeni peculiari di Matera, ma quel che distingue la situazione materana, come quella di altri importanti centri storici gravemente malati, è il contrasto tra intenzioni e realizzazioni, per cui «l’animo è pronto ma il potere è zoppo», per dirla con l’Ariosto, ammesso poi che le intenzioni siano veramente buone e sincere”.
Queste le parole che si trovano nella introduzione dell’autore, in questo libro realizzato per la Provincia di Matera nel 1973 e rientrante nel progetto di promozione dei centri storici dell’intera Provincia, poi arenatosi.
Il Professore Rizzi rimarca come “Tra l’ultimo decennio dell’Ottocento e gli anni Sessanta si susseguirono gli interventi del Diehl, del Bertaux, del De Fraja, del Cappelli, del circolo materano «La Scaletta», con differenti risultati critici ed inventariali ma con la comune caratteristica che il nuovo intervenuto doveva recitare un «De profundis» su una parte del materiale studiata e catalogata prima di lui, essendo le chiese rupestri soggette ad una rapida azione di degradamento per cause naturali come umane. Vogliamo però qui ricordare un marginale intervento passato finora inosservato, quello di Cesare Malpica, che nelle sue «Impressioni» del 1847 ci lasciò il miglior taccuino italiano di viaggi attraverso la Basilicata, scritto con finezza stilistica ed indubbia sensibilità nell’interpretare le caratteristiche storico-ambientali e che sta all’«impegnato» saggio del Pani Rossi come il «Voyage pittoresque» di Richard de Saint-Non ai «reportages» sociali di Georges Goyau. «Ad oriente di Matera – scrive il Malpica – s’apre una valle, nel cui fondo scorre la Gravina. D’ambi i lati sorgon rupi alpestri, e tra queste rupi, nel vivo masso, sono scavate delle innumeri grotte, le quali altro non son che Chiese de’ primissimi tempi del Cristianesimo…»
Alberto Rizzi nasce a Venezia nel 1941 da padre veneziano, storico della medicina, e madre armena esule da Costantinopoli. Conseguita la Laurea in Lettere a Padova con una tesi sulle Chiese rupestri della Basilicata, guida nel 1968, per conto dell’Unesco, un’équipe italo-olandese per il censimento dei Beni artistici di Venezia. L’anno seguente è direttore dell’Accademia dei Concordi di Rovigo. Presta quindi attività presso le Soprintendenze ai Beni Artistici e Storici e quelle ai Beni Ambientali e Architettonici di Bologna, Venezia e Trieste, dapprima come collaboratore (catalogazione ministeriale delle chiese di Ferrara) e dal 1975 come funzionario. Negli anni 1976-1977 dirige, dalla sede di Udine, i restauri degli affreschi in seguito al terremoto in Friuli del 1976. Nel 1978 è di nuovo a Venezia in qualità di direttore presso la locale Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici. In seguito passa a disposizione del Ministero degli Affari Esteri, ricoprendo la carica di attaché culturale a Varsavia dal 1981 al 1987 e organizzando un nuovo Istituto Italiano di Cultura a Cracovia. Dopodiché rientra in Italia svolgendovi libera attività di studioso e dividendo il suo tempo tra Venezia e lo sperduto villaggio di Alone di Casco (Brescia), dove acquista e valorizza l’antica casa della comunità, impreziosita da affreschi tra cui un grande leone marciano.
È autore di oltre 200 pubblicazioni scientifiche di cui una ventina in volume. Fra queste: Vere da pozzo di Venezia (1981, edd. ampliate nel 1992 e nel 2007); Romanische Reliefs von venezianischen Fassaden (Wiesbaden 1982); Scultura esterna a Venezia (1987, 2 ed. ampliata 2014); La Varsavia di Bellotto (Milano 1990: Premio Salotto Veneto, ed. ted. Munchen 1991); Bernardo Bellotto. Dresda Vienna Monaco (Venezia 1996, ed. ted. 1998); I leoni di San Marco (Venezia 2001, voll. 2, ed. ampliata in 3 voll. Sommacampagna 2012); Casto. Arte, storia e ambiente in un comune della Valsabbia (Brescia 2004); Canaletto w Warszawie (Varsavia 2006: attestato come miglior libro dell’anno sulla capitale polacca); Scritti di storia dell’arte sulla Basilicata (Matera 2007: premio Basilicata); Guida della Dalmazia (Trieste 2007 e 2010, voll. 2: premio Tacconi). È membro delle seguenti istituzioni culturali: Ateneo Veneto, Ateneo di Salò, Società Dalmata di Storia Patria (Roma), Deputazione di Storia Patria per la Lucania.