Braccianti, operatrici, ricercatori, psicologhe, sindacaliste. Tutte raccontano come le molestie sessuali, i ricatti, le paghe da fame, le liste nere dei caporali siano un fenomeno radicato anche nell’Arco Ionico, l’area che comprende le province di Matera, Taranto e Cosenza. Una vasta zona del Sud Italia dove il clima e la terra fertile favoriscono le coltivazioni di ortofrutta, dalle fragole all’uva da tavola fino agli agrumi. Sono le donne a essere richieste per garantire maggiore cura per le stagioni di raccolta e lavorazione della frutta più delicata. Sono le donne, soprattutto le straniere originarie della Romania e Bulgaria, a vedere violati i propri diritti più elementari.
“Guadagno trentotto euro al giorno. Chi riesce lavora senza interruzioni, dal lunedì alla domenica. Gli uomini ricevono due euro in più all’ora perché hanno compiti più pesanti. Stamattina mi sono alzata presto, cominciamo alle sei: prepariamo il terreno per piantare le fragole, lo concimiamo. Devo stare sempre piegata e adesso che sono incinta è faticoso. Mi sento sfiancata, però sono obbligata ad andarci, ho bisogno di soldi”, racconta Catalina, lavoratrice rumena in Basilicata. È una delle 119 donne impiegate in agricoltura di origine rumena e bulgara intervistate e incontrate per il rapporto ‘Cambia terra. Dall’invisibilità al protagonismo delle donne in agricoltura’ di ActionAid realizzato nell’ambito del programma che dal 2016 si occupa di indagare e intervenire sulle condizioni di vita e di lavoro delle donne in agricoltura in Puglia, Basilicata e Calabria per tutelare i loro diritti.
Non esistono dati certi sul numero di operaie agricole in Italia, il fenomeno del lavoro nero caratterizza il settore agricolo attraverso reclutamento illecito, irregolarità contrattuali o la totale assenza di un contratto di lavoro e la conseguente assenza di previdenza e protezione sociale. Il caporalato muove un’economia illegale e sommersa di oltre cinque miliardi di euro. Secondo le stime sarebbero tra 51 e 57mila le lavoratrici sfruttate in Italia. Nell’Arco Ionico le operaie agricole regolari sono 22.702, 16.801 italiane e 5.901 straniere, di cui il 76% è costituito da comunitarie, soprattutto rumene e bulgare.
Un numero inferiore alle reali necessità della raccolta stagionale di frutta e verdura che richiede il doppio della manodopera. “In agricoltura si lavora ancora in schiavitù”, spiega M. da 37 anni nei campi. A peggiorare la vita delle donne sono le disuguaglianze strutturali di genere, come la disparità salariale tra donne e uomini. Nelle campagne le donne arrivano a guadagnare anche solo 25/28 euro al giorno mentre gli uomini ne ricevono 40. Inoltre, la pratica dei datori di lavoro sleali di dichiarare in busta paga un numero inferiore di giornate rispetto a quelle lavorate impedisce alle donne non solo di accedere all’indennità di infortunio, malattia e disoccupazione agricola, ma anche a quella di maternità.
“Nel barese, da anni va avanti un metodo collaudato. La mattina, quando nelle piazze arrivano i furgoni per portare le operaie agricole nei campi, la “prescelta” viene fatta salire davanti, nello spazio accanto al guidatore. Sul cruscotto vengono messi un cornetto e un caffè caldo, comprati al bar. Mangiare la colazione significa accettare l’avances sessuale e quindi ottenere l’ingaggio. Rifiutando, invece, il giorno dopo si viene lasciate a casa”, spiega Annarita Del Vecchio, psicologa e collaboratrice di ActionAid in Puglia.
Le donne in agricoltura sono esposte a violenza e molestie sui luoghi di lavoro, sui mezzi di trasporto che le conducono sui campi, nelle serre, nei magazzini o nelle fabbriche di confezionamento, negli alloggi messi a disposizione dai datori di lavoro. La violenza è esercitata in molteplici forme (verbale, fisica, psicologica e sessuale) ed è accompagnata da minacce, come quella di perdere il posto, di essere demansionata o non pagata. Reagire può significare finire nelle “liste nere”.
“I caporali si telefonano l’uno con l’altro per segnalare le piantagrane. C’è uno scambio di manodopera e quindi di informazioni. Il sistema è sofisticato: ad esempio, quando finisce la stagione dei mandaranci e inizia la semina delle fragole, i caporali organizzano i trasporti fino alla Basilicata. Vengono preferite le donne perché sono più prostrate e obbligate a sopportare con rassegnazione”, spiega Maurizio Alfano, ricercatore ed esperto Immigrazione anche per la Regione Calabria.
Adriana, ex bracciante rumena, è una delle leader comunitarie di ActionAid. “Uno dei problemi di cui non si parla è quello della maternità: la gestione dei figli è davvero difficile per le lavoratrici agricole. Quando la campagna inizia presto, alle due o alle tre di notte, prendono i bambini addormentati e, se non hanno familiari di riferimento, li portano a casa di estranee che ne accudiscono cinque, sei, o dieci nelle loro case. Li tengono fino a quando le madri non tornano a prenderli, il pomeriggio. Mandarli all’asilo non è possibile, l’orario non lo permette”.
In Calabria esistono gli “asili nido irregolari”, servizi a pagamento, in nero, con personale senza alcuna formazione che si occupa dei piccoli fino all’arrivo dei genitori. E qualcuna si porta i figli nelle serre, facendoli dormire in cassette di legno. Sono queste le difficoltà raccontate dalle donne ad ActionAid: senso di isolamento, impossibilità ad accedere ai servizi pubblici e ai servizi di cura per i figli perché pochi, distanti, costosi e con orari incompatibili con quelli degli spostamenti da casa e lavoro che possono durare anche tre o quattro ore al giorno. Molte lavoratrici agricole non si recano negli uffici pubblici perché non parlano italiano e non sono disponibili servizi di interpretariato o di mediazione linguistico-culturale. Inoltre, lamentano spesso la mancanza di attenzione alla loro salute fisica: in assenza di servizi igienici, le donne sono costrette ad utilizzare i campi, anche quando piove, e anche quando hanno il ciclo mestruale. Chi chiede un giorno di pausa rischia di non lavorare nei giorni successivi.
In Puglia, Basilicata e Calabria, ActionAid dal 2016 ha avviato un programma in risposta alle molteplici forme di violazioni dei diritti umani delle donne lavoratrici, fondato sul protagonismo delle operaie agricole e sulla costruzione di risposte sostenibili alle loro esigenze, attraverso forme di collaborazione e di responsabilità condivisa a livello comunitario. Un impegno che coinvolge istituzioni, sindacati, associazioni locali, imprese agricole, associazioni di datori di lavoro, partner della società civile per produrre un cambiamento concreto nella vita delle donne braccianti.
“Il modello agricolo attuale -spiega Grazia Moschetti, responsabile dei progetti ActionAid nell’Arco Ionico- non è sostenibile, né per le lavoratrici a rischio o in condizioni di sfruttamento, né per le tante imprese che rispettano le regole nonostante le molte difficoltà che il mercato e la concorrenza sleale impone loro. Abbiamo bisogno di cambiare prospettiva, mettendo al centro i bisogni delle lavoratrici agricole come cittadine e come persone che ad oggi sono escluse dai più basilari servizi di welfare e più in generale dai processi democratici delle comunità di appartenenza”.
“Servono spazi pubblici di confronto dedicati alle donne, costruiti da loro e supportati da tutte le parti in causa, dalle imprese alle associazioni. Solo con il contributo di tutti – come sta accadendo nell’Arco ionico – possiamo coltivare relazioni positive dentro e fuori i luoghi di lavoro. Le operaie agricole non possono più essere escluse o lasciate ai margini degli interventi delle istituzioni, ad oggi attuati senza una chiara prospettiva di genere. Continuare a farlo significa non mettere fine deliberatamente alle violazioni dei diritti e alle violenze che subiscono”, sottolinea.
ActionAid ha formato 12 leader di comunità identificate tra le donne partecipanti ai percorsi di empowerment. Nei laboratori di comunità sono state messe a confronto le lavoratrici con gli attori territoriali (istituzioni locali, associazioni, aziende, etc.) per la co-progettazione di servizi di welfare. Risultato di ciascun laboratorio è stata l’adozione di un Patto di collaborazione, strumento che regola la gestione di servizi co-progettati e i ruoli specifici degli attori che lo sottoscrivono, incluse le leader di comunità in rappresentanza delle braccianti coinvolte nel programma.
A Schiavonea, nella piana di Sibari in Calabria, è stata attivata la Cittadella della condivisione, spazio aperto alle donne dove le leader di ActionAid forniscono servizi di orientamento al lavoro, supporto all’accesso ai servizi sociali e tutela legale, mediazione linguistica. Ad Adelfia, in provincia di Bari, come esito del Patto di collaborazione ‘La buona terra’ promosso dal programma Cambia Terra di ActionAid, il nido comunale ha attivato il servizio di pre-accoglienza per le bambine e i bambini dalle quattro di mattina. Si tratta di un servizio a domanda individuale del Comune di Adelfia, che prevede orari flessibili in entrata e uscita.
Nell’indagine ActionAid ha dedicato specifiche raccomandazioni al Governo, alle Istituzione nazionali locali e europee per chiedere che finalmente le politiche siano regolarmente e trasversalmente disegnate, implementate, monitorate e valutate con strumenti dotati di un approccio intersezionale, che tenga conto della dimensione di genere, per assicurare che le donne, italiane e straniere, impiegate nel comparto agricolo siano debitamente viste, ascoltate e considerate.