Guerra in Ucraina, Basilio Gavazzeni: “Sotto il fuoco e nell’incertezza”. Di seguito la nota integrale.
Non basta più pregare? Alla fine chi provvede davvero agli uccisi?
Karl Kraus, che non era certo un bigotto, ha scritto: Quando brucia il tetto, non serve né pregare né lavare il pavimento. Comunque pregare è più pratico. È una battuta, ma oggi può essere presa sul serio. Mentre il fuoco divampa nel cuore dell’Europa che cosa può fare ciascuno di noi? Pregare è la cosa più pratica, e anche la più razionale: perché la pace richiede certamente il contributo di tutti, ciascuno al proprio livello, ma non bisogna dimenticare che la pace è comunque e sempre un dono di Dio. Dunque bisogna implorarlo nella preghiera. Così scrive in un editoriale Cesare Cavalleri, storico direttore di Studi cattolici, promotore di Edizioni Ares, puntuto critico letterario e testimone di una spiritualità tetragona. È un’azione anacronistica? non basta più pregare? In Ucraina gli impavidi combattenti pregano, tesaurizzano sacramenti e benedizioni. Magari riprendendo le proteste di Giobbe e il lamento di Cristo in croce, si prega nelle esequie delle vittime civili e dei caduti che solo da Dio ricevono un pieno, infinitamente sovrabbondante risarcimento di quel che una guerra abominevole gli ha tolto sulla terra.
Crimini di guerra
Si dice crimini di guerra. A pensarci su, la locuzione appare incongrua e ipocrita. È la guerra stessa a essere crimine, anzi il maggiore, perché è fuoco, carneficine, stupri, deportazioni, diaspora, saccheggi, rovine e desertificazione. Mai è avvenuta una guerra senza la sostanza di questi crimini. Nella locuzione crimini di guerra la parola crimini finisce per nascondere e innocentizzare il crimine per eccellenza che li partorisce. Sant’Agostino, nell’opera De civitate Dei, riconosce il dato di fatto che l’iniquità della parte avversa può costringere i giusti alla guerra ma, nell’opera Contra Faustum, insiste che la prova della guerra deve essere affrontata con spirito di pietà e di compassione, ripudiandone lo spirito di violenza, crudeltà e sopraffazione. In realtà la pietà e la compassione hanno sempre disertato ogni guerra, compresa quella attaccata per giusta causa. Violenza, crudeltà e sopraffazione sono pulsioni che finiscono per trascinare gli stessi giusti.
Pace linguisticamente subalterna
C’è chi ha notato che eirene, la parola greca che designa la pace, significa letteralmente la pausa tra una guerra e un’altra e che il termine latino pax indica una momentanea interruzione della belligeranza. Linguisticamente, perciò, la normalità sovrastante è la guerra, mentre la pace è soltanto un’eccezione subalterna alla guerra.
Gli stivali segreti di Putin in Africa
All’intento peloso ribadito da Putin e dai suoi di ripulire l’Ucraina dal nazismo enfatizzando la presenza del locale battaglione Azov, gli osservatori contrappongono che lui, Putin, manovra una compagnia di mercenari criminalmente attivi in una dozzina di Paesi dell’Africa subsahariana. Si tratta del gruppo militare privato Wagner, la cui denominazione è meno riferita al musicista tedesco che a Hitler suo ammiratore. Gli esperti definiscono il gruppo Wagner gli stivali segreti di Putin all’estero, l’esercito segreto e violento di Vladimir Putin. In Africa non vi è popolazione russofona da tutelare, né nazismo né corruzione europea da estirpare. Putin mette a disposizione dell’Africa il gruppo Wagner retribuendone i contractor con le azioni che strappa alle compagnie minerarie, perseguendo il proprio disegno di espansione imperialistica. A scherani del gruppo Wagner sarebbe stata commissionata la cattura del presidente Zelensky. Si sospetta che il gruppo abbia partecipato al massacro di Bucha.
Giustizia riconoscimento che l’uomo è imago Dei
Desmond Tutu (1931-2021), arcivescovo anglicano emerito di Città del Capo, cui è riconosciuto il merito di aver ottenuto la cancellazione dell’apartheid in Sudafrica, accettando il premio Nobel per la pace nel 1984 dichiarava: Non c’è pace perché non c’è giustizia. Non ci possono essere pace e sicurezza se prima non ci sarà giustizia […] La Bibbia non ammette una pace senza giustizia […]. La Shalom di Dio, la pace, implica inevitabilmente rettitudine, giustizia, integrità, pienezza di vita, partecipazione al processo decisionale, bontà, riso, gioia, compassione e riconciliazione. […] Quando impareremo che gli esseri umani hanno un valore infinito perché sono stati creati a immagine di Dio, e che è una bestemmia trattarli come qualcosa di meno, e che farlo, alla fine, si ritorce contro chi lo fa. Chi disumanizza gli altri resta disumanizzato per primo. L’oppressione forse rende più disumano chi la perpetra che chi la subisce. L’oppressore e l’oppresso hanno bisogno l’uno dell’altro per diventare liberi, per diventare umani. Possiamo essere umani solo nella comunione, nella comunità, nella koinonia, nella pace. Lavoriamo per essere operatori di pace, noi che abbiamo ricevuto una stupenda partecipazione al ministero di riconciliazione di nostro Signore. Se vogliamo la pace, ci è stato detto dobbiamo operare per la giustizia. Trasformiamo le nostre spade in aratri.
Pseudoaccordi
Il Papa ha chiesto se davvero si stia ricercando la pace. Ha ragione. Finora ci sono stati solo pseudonegoziati, non cessando mai il fuoco, per assicurarsi posizioni di forza. Una teoria utilitaristica della negoziazione afferma che tre fattori determinano la possibilità di accordo, prima e durante lo scontro. Nel compromesso, ciascuno dei contendenti deve 1) essere disposto a concedere qualcosa di importante, 2) conoscere le proprie e altrui forze in campo così da sapere chi prevarrà, 3) impegnarsi con lealtà a rispettare i patti. In Ucraina ciò non è accaduto prima e non accade adesso. Perché l’aggressore dichiara che andrà fino in fondo a realizzare i suoi obiettivi peraltro mai manifestati, sa di essere più forte, nonostante non abbia abbattuto di colpo l’avversario come nelle esibizioni di judo con lottatori compiacenti, ed è infine patentemente inaffidabile. E perché l’aggredito non rinuncia all’integrità del proprio Stato sovrano e alla libertà del proprio popolo, è più motivato e attrezzato a resistere e chiede armi all’orbe intero, sicuro di poter scacciare l’aggressore inequivocabilmente menzognero. Per queste ragioni i tavoli lunghissimi e i tavolini di cui siamo spettatori non offrono la pace.
Che prende Lavrov, Putin, Kirillov …
Il primo ministro di Putin è sembrato più un leone che una volpe. Con la faccia di carro armato e sciorinando castronerie inaudite, ha dato l’impressione di essere più solido dello zar che, nonostante l’autocontrollo, lascia trapelare qualcosa di infantile e di fragile. Dicono che Lavrov sia comunque intelligentissimo, una volpe della diplomazia. Apparso per puntellare il tiranno, ha eretto un Himalaya contro l’anelito alla pace. Siamo al punto di concludere che lo zar, Lavrov, Kirillov e buona parte del popolo russo credono di aver ricevuto dal cielo la missione di proclamare e realizzare un nuovo ordine mondiale.
Struttura e sovrastruttura, per dirla con Antonio Gramsci, imperialismo e misticismo si miscelano nella loro visione del globo. In Occidente, impregnati di geopolitica e di secolarismo, noi non disponiamo di una ermeneutica proporzionata alla russità le cui sedimentazioni sono stratificate da almeno cinque secoli. Agli aggressori, tuttavia, nell’angoscia ricordiamo che, mortali, devono smettere di farsi dèi, praticare violenza e minacciare.