I progetti di accompagnamento all’autonomia per i rifugiati realizzati nell’ambito del programma FAMI, come il progetto Fra Noi del Consorzio Communitas, sono oggi i luoghi di innovazione nel campo dell’accoglienza e integrazione.
È stato riconosciuto da tutti i partecipanti questa mattina al convegno “L’accoglienza dei migranti tra welfare state e welfare di comunità” che ha chiuso la due giorni “Fra Noi: evoluzione di un progetto”, che è svolto in questi giorni a Matera (presso la sede della Caritas Diocesana, in via Cappuccini 15) in occasione del Festival delle culture mediterranee Sabir.
«I progetti finanziati con i fondi Fami devono avere quello che oggi si chiama “approccio olistico”: se un progetto per l’autonomia del titolare di protezione internazionale non parte dal contesto e non si basa una attenzione sia alle esigenze del migrante, sia a quelle del territorio, non funziona – Maria Assunta Rosa, rappresentante Ministero dell’Interno della Direzione centrale per le politiche migratorie. – Se l’obiettivo è una reale inclusione, allora chi esce dal sistema della prima accoglienza deve trovare nel territorio l’humus adatto che gli permetta di mettere le radici nella comunità in maniera efficace. Un progetto per l’autonomia deve basarsi sulla rete: deve parlare con la scuola, con il mondo del lavoro, con il welfare per la salute, con tutti i pilastri del territorio. Se non si lavora in rete e in connessione, allora il rischio di fallire è alto.
Importante poi è l’ ascolto delle esperienze precedenti, così come l’ascolto dei bisogni dei migranti e dei territori, che sono alla base anche della programmazione dei prossimi progetti Fami che stiamo per iniziare».
Si è parlato anche di integrazione nel luogo di lavoro. Andrea De Bonis, rappresentante dell’UNHCR in Italia, ha confermato il successo delle azioni di integrazione lavorativa delle azioni Fra Noi:
«Vediamo anche noi il crescente interesse delle imprese verso i rifugiati. Chi ha iniziato questi progetti già negli anni scorsi ha visto l’impatto positivo sull’ambiente di lavoro quando in un team viene inserita una persona rifugiata. E il lavoro è uno dei passi più efficaci nel coinvolgimento delle comunità locali nei percorsi di integrazione dei rifugiati».
«Quando noi enti del Terzo Settore programmiamo il nostro lavoro a favore di una integrazione sociale non dobbiamo avere chiari solo i nostri progetti, ma è importante avere chiaro i processi che stiamo avviando – è stato il cuore della riflessione di Andrea Barachino, presidente del Consorzio Communitas. – Oggi i progetti Fami sono un luogo di innovazione. Ma facciamo attenzione che non siano solo programmi innovativi: devono esserlo i processi. I progetti durano un tempo limitato, uno o due anni, i processi invece sono lunghi e vanno oltre. Il nostro impegno di Terzo Settore è saper vedere quell’ “oltre”.
Perché, in un mondo che cambia in fretta, dobbiamo stare attenti a non schiacciare i bisogni dei beneficiari, delle persone cui lavoriamo, all’interno delle tempistiche dei nostri progetti o sulle nostre modalità di lavoro. Alla fine è la comunità che integra e include, il lavoro dei nostri operatori deve avere sempre ben chiaro che siamo inseriti in un ecosistema, un ecosistema fatto di persone».
Al convegno è intervenuto anche il Vescovo della diocesi di Matera-Irsina, monsignor Antonio Giuseppe Caiazzo, che ha voluto portare il suo saluto e messaggio ai partecipanti: «Vedo qui lo spirito bello di una umanità che vuole incontrare gli altri, che cerca di tradurre in realtà il sogno di saper stare insieme agli altri e vivere con gli altri camminando insieme. Voi siete il sale, il sale anche se poco è fondamentale: dà sapore alla società, così come dà sapore al nostro pane di Matera».
Hanno portato riflessioni e testimonianze anche Roberto Cifarelli, consigliere regionale della Basilicata, Nicola Morea, sindaco di Irsina, Raffaele Bracalenti, presidente dell’Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali.
La tavola rotonda è stata guidata da Michele Plati, Presidente della cooperativa materana Il Sicomoro, in veste di “padrone di casa”.