Il 2 giugno è la Giornata Internazionale del Sex Work. La giornata è l’occasione per ricordare la necessità di una regolamentazione del settore del sex work.
Secondo i dati di Escort Advisor, il primo sito di recensioni di escort in Europa, 120 mila persone lavorano nel campo del sex work in Italia, mentre il portale registra quasi 4 milioni di utenti unici mensili che cercano una escort soltanto in Italia.
In Italia ci sono 110 mila atti in vigore, 44 leggi costituzionali, più di 46 mila decreti del presidente della Repubblica, 14 mila leggi, quasi 1.500 decreti-legge. L’unica norma relativa al sesso a pagamento è la Legge Merlin che risale al secondo Dopoguerra. Dal 1958 non sono stati fatti passi in avanti per quanto riguarda il settore: sono passati 64 anni.
Mentre il sesso a pagamento soffre un vuoto normativo e diverse zone d’ombra ad alimentare quella parte illecita che è sempre da perseguire, nell’ordinamento italiano restano norme ormai obsolete e ormai fuori dal tempo, ma mai abrogate, 21 di queste risalgono al periodo fascista e sono firmate dal Duce Benito Mussolini. Per la maggior parte si tratta di accordi economici, come quello sulla radiodiffusione o la produzione e il collocamento della birra, ma ci sono anche norme corporative, le tariffe professionali dei commercialisti e la regolamentazione per la vendita dei fiori in Inghilterra.
In Italia la prostituzione è legale, ma non regolamentata. Per l’approvazione della legge 75 del 1958, promossa dalla senatrice Merlin, ci sono voluti 10 anni dalla presentazione. Con la norma sono state chiuse le case di tolleranza, introdotti i reati di sfruttamento, induzione e favoreggiamento della prostituzione. La vendita di prestazioni sessuali non è vietata, ma non è nemmeno regolamentata.
Anche le sentenze emesse negli anni legate ai fatti di cronaca che hanno interessato gli intrecci tra politica e sesso a pagamento, continuano a sostenere la legislazione risalente a 64 anni fa. Infatti, il 7 giugno 2019 la Corte Costituzionale ha difeso la legittimità della legge Merlin, con la sentenza n.141, sottolineando che una donna non sia davvero libera se sceglie di prostituirsi.
Il sesso a pagamento resta un tabù nella società, ma è anche un fenomeno di cui la politica non si sta occupando. Dalla Legge Merlin del 1958 non si è più intervenuto sulla materia, tranne che nel 2008 con la Legge Carfagna che puniva il reato di prostituzione per strada, neanche un emendamento, però, affrontava l’argomento dal punto di vista dei diritti lavorativi, solo penale. Alcuni tentativi di riforma della prostituzione e di regolamentazione del lavoro delle sex workers sono stati proposti in Parlamento: nelle ultime tre legislature sono stati presentati, tra Camera e Senato, 56 disegni di legge che affrontano l’argomento, ma nessuno è stato approvato.
L’attuale normativa non permette alle escort di avere tutele legali o ritorni fiscali – spiega Mike Morra, Ceo e fondatore di Escort Advisor – I dati e le ricerche confermano che nei Paesi in cui la prostituzione è legale e regolamentata dalle leggi nazionali i tassi di crimini e pericoli legati ad essa siano di molto inferiori sia per le escort sia per i clienti. In Europa i modelli sono per esempio la Germania o la Svizzera. L’Italia ancora una volta si dimostra retrograda sul tema e vive dal secondo Dopoguerra in un limbo.
Un vuoto normativo che le associazioni del settore denunciano da decenni e che provocano quotidianamente discriminazioni e potenziali pericoli per i cittadini che hanno scelto di essere sex worker, che se avessero un ordine professionale a loro dedicato sarebbero la quarta categoria lavorativa più numerosa dopo medici e odontoiatri, avvocati e procuratori, ingegneri e architetti.
Per fare degli esempi, il contratto che regola le prestazioni non è vincolante: un cliente non soddisfatto non ha strumenti legali per rivalersi, come una escort non pagata non può fare causa. Non ci sono nemmeno riconoscimenti del libero professionismo, sindacati e previdenza sociale.
Per i lavoratori del sesso è quasi impossibile accendere un mutuo per l’acquisto di una casa o accedere agli aiuti statali. L’esempio più recente è quello del bonus Inps Covid da 600 euro del 2020: a cui le escort non hanno avuto accesso proprio per la mancanza di regolamentazione, nonostante la loro professione sia stata interrotta per quasi due anni per evitare i contatti e il diffondersi della pandemia.
Il vuoto normativo a livello nazionale spinge organi amministrativi, come comuni o regioni, a disincentivare il fenomeno del sesso a pagamento sul proprio territorio con norme che si appellano al codice della strada o a una applicazione stringente della legge Merlin, ma mai omogenee tra loro.