Gal Start 2020: Miglionico, “i borgo più bello con alcune criticità”. Di seguito la scheda promozionale.
“E’ una bella soddisfazione, ma qui da noi c’è ancora degrado ed abbiamo bisogno di più attenzione”. Così hanno commentato alcuni cittadini la notizia relativa al riconoscimento di borgo più bello per il Comune di Miglionico.
Il Comune di Miglionico è un piccolo borgo e conta una popolazione pari a 2.632 abitanti ed è posta ad un’altitudine di 461 metri.
La tradizione vuole che l’origine del nome derivi da Milone il celebre atleta di Croton, che guidò centomila crotoniati contro trecentomila sibariti e che munì la città di grandi mura. Che la città sia antichissima lo dimostra il ritrovamento di suppellettili, arredi tombali, mosaici di pavimentazione, opere idrauliche risalenti al IX e IV secolo a.C. e persino una necropoli del VI secolo a.C. Secondo la tradizione di Milone, vissuto nel VI secolo a. C. fortificò con mura e forti una citta che già preesisteva.
La storia di Miglionico è strettamente connessa alle vicende del suo imponente castello. Recintato da triplici mura ospitò papa Onofrio II, la regina Costanza, il conte Ruggiero di Sicilia, ferrante D’Aragona e molti altri signori dell’epoca.
Il Castello del Malconsiglio è il castello di Miglionico, costruito su un colle della città a partire dall’VIII-IX secolo, in una posizione strategica, noto per aver ospitato nel 1485 la Congiura dei baroni. Ebbe due successivi ampliamenti, il primo nel 1110 ed il secondo nel 1400. Ha la forma di un parallelogramma, fiancheggiato da sette torrioni, alcuni quadrati (i più antichi), due bitorri e altre circolari, poste ai vertici della costruzione.
L’entrata attuale è posta a nord-est, mentre quella originaria distrutta dal terremoto della Basilicata del 1857 era rivolta a sud. Al suo interno, e precisamente al piano superiore, vi sono l’androceo ed il gineceo, il salone del Malconsiglio, dove si tenne la congiura, e la sala della Stella o degli Spiriti, la parte più bella e segreta del castello, con il soffitto a stella e con degli scrigni dove venivano custoditi i tesori ed i documenti più preziosi.
DAL XIV SECOLO ALLA CONGIURA DEI BARONI[
Ernesto Pontieri è stato uno dei tanti storici che si è cimentato in maniera approfondita sul significato della congiura dei baroni, sviluppatasi tra il 1485 ed il 1486, ed ha concluso che essa consiste fondamentalmente nella resistenza opposta dai baroni all’opera di modernizzazione dello Stato perseguita dagli Aragonesi a Napoli. In altre parole, il re Ferdinando I di Napoli (o Ferrante) aveva messo in atto una politica mirata a dissolvere il particolarismo feudale e fare del potere regio la sola leva della vita del paese.
Infatti gli obiettivi di questa politica erano quelli di una «riforma organica dello Stato», i cui cardini erano la riduzione del potere baronale, lo sviluppo della vita economica e la promozione a classe dirigente dei nuovi imprenditori e mercanti napoletani.
Lo strumento applicativo di questa politica, fu la riforma fiscale, che affidava nuovi compiti alle amministrazioni comunali, incoraggiandole a sottrarsi, per quanto possibile, al peso feudale. Ed in verità è stato calcolato che allora nel Regno di Napoli, su 1550 centri abitati, solo poco più di 100 erano assegnati al regio demanio, cioè alle dirette dipendenze del re e della corte, mentre tutti gli altri erano controllati dai baroni. Il che significava che il potere feudale nel suo complesso era titolare delle risorse e delle finanze del regno e che la corte aragonese nei fatti era resa subalterna all’organizzazione baronale. Era quindi naturale che il re favorisse in ogni modo l’estensione numerica delle città demaniali, sottraendole al peso feudale ed incorporandole alla propria diretta amministrazione. Ma l’impresa non era di poco conto.
D’altra parte i baroni erano organizzati in grandi dinastie abbastanza ramificate, ognuna delle quali controllava da sola più terre del re. Gli Orsini Del Balzo, ad esempio, si vantavano di poter viaggiare da Taranto a Napoli senza mai uscire dai loro possedimenti; i Sanseverino, ora osteggiati ed ora protetti dal re, erano titolari di feudi che dalla Calabria, attraverso quasi tutta la Basilicata, raggiungevano Salerno e lambivano Napoli; gli Acquaviva, i Caldora, i Caracciolo, i Guevara e i Senerchia completavano questa ristretta élite al potere, che di fatto accerchiava la capitale soffocando il regno.
Questa ristretta classe dirigente si avvaleva dell’alleanza e del favore dello Stato Pontificio. Dai tempi degli Angioini, il papa aveva costretto il regno a considerarsi territorio a lui infeudato, e nessuno poteva aspirare al trono del Regno di Napoli senza l’assenso esplicito e l’investitura formale del pontefice. Oltre a ciò, il papa vantava antiche pretese ed antichi privilegi su parecchie terre e città meridionali, come L’Aquila, Tagliacozzo, Altamura ed altre località importanti.
Inoltre governava direttamente, attraverso vescovi ed abati, tutta la Chiesa del Regno, fornita di propria ed autonoma giurisdizione, di propri tribunali distinti da quelli regi e da quelli feudali, e di proprie finanze rivenienti dalla fittissima rete di proprietà ecclesiastiche. Pertanto, baroni e chiesa si coalizzarono contro il re, ostacolando in ogni modo lo sviluppo della società meridionale verso forme più moderne di organizzazione politica e di dinamismo economico ed imprenditoriale.
Costoro diedero vita, anche grazie alla politica aragonese, ad un’organizzazione mercantile e produttiva assai vasta: i porti adriatici, soprattutto pugliesi, si aprivano come non mai ai traffici con Venezia e con l’Oriente; la costa tirrenica si popolava di navi mercantili private; furono posti a frutto i giacimenti di piombo ed argento a Longobucco e quelli di allume ad Ischia; si raccolse e si lavorò finemente il corallo del golfo di Napoli. Il re stesso incoraggiava queste attività, entrava in società diretta con i privati, aprendo loro nuove piazze e promuovendo, con misure protezionistiche forse troppo parziali, lo sviluppo del commercio nel regno, che assunse perciò caratteri spiccatamente oligarchici. E spesso il re stesso attingeva ai capitali privati per le necessità dello Stato e della corte.
Era perciò inevitabile che questo nuovo ceto imprenditoriale facesse prima o poi sentire tutto il suo peso sul complesso della società meridionale, minacciando molto da vicino le vecchie prerogative baronali e soprattutto entrando in concorrenza con le vecchie famiglie. Questo ceto chiedeva a gran voce per se l’accesso ai fasti ed al prestigio del feudo.
Nacque così una nuova forma di baronaggio, battezzata da alcuni storici come borghesia loricata: si trattava appunto dei nuovi borghesi, che lentamente si integravano nel vecchio ceto baronale di origini prevalentemente militari.
Un primo duro scontro tra i baroni ed il re Ferrante si era già verificato nella lunga guerra combattuta all’interno del regno dal 1459 al 1464. Il re aveva allora ottenuto l’aiuto di molti capitani italiani, ai quali si era aggiunto un contingente di 1000 fanti e 700 cavalieri approdati dall’oltremare adriatico e guidati da Giorgio Castriota Scanderbeg, l’eroe nazionale albanese in cerca di nuove terre per il suo popolo disperso dai turchi.
La guerra contro i baroni del 1459-1464 si era insomma conclusa aspramente, ma con una chiara vittoria del re. Egli aveva potuto allora riprendere con maggior sicurezza la sua politica, innovando nella legislazione fiscale e feudale, mortificando cioè le prerogative baronali, estendendo il potere della corte e dello Stato, riorganizzando la vita economica e commerciale del regno. Le città demaniali crebbero, anche se in misura pur sempre inadeguata, ed i baroni subirono per qualche lustro l’iniziativa regia.
Per questo motivo il nome che è stato dato al castello, metaforicamente è quello del Malconsiglio.
LA RIEVOCAZIONE STORICA DELLA CONGIURA A FINI TURISTICI E CULTURALI
Recentemente il Comune di Miglionico ha ritenuto importante pensare ad una rievocazione storica di questi eventi, anche utilizzare a fini turistici lo stesso Castello dove si sono consumati molti incontri di molti nobili dell’epoca
Si tratta di un sistema multimediale installato all’interno della sala “Stella” del Castello del Malconsiglio (1110) permette di rivivere i momenti salienti della famigerata “Congiura dei Baroni” (1485), ordita dai baroni del Meridione d’Italia contro il re di Napoli, Ferdinando I d’Aragona. I visitatori del maniero per poter usufruire del percorso che consente di ripercorre la narrazione della celebre vicenda storica, arricchita da aneddoti ed intriganti curiosità, sono tenuti a pagare un biglietto d’ingresso che ha un costo di cinque euro. Inoltre, il sistema tecnologico è così ben strutturato, al punto da offrire al visitatore la sensazione di “recitare” in prima persona una parte della stessa vicenda storica. Il percorso multimediale, attivo dal 2014, è stato realizzato, utilizzando fondi pubblici. Resta da precisare come il progetto del sistema multimediale sia stato attuato con una spesa complessiva di 195 mila euro, finanziata sia dai fondi europei denominati “Piot” (Piano integrato offerta turistica) sia attraverso risorse dell’Unione europea.
“IL POLITTICO DI CIMA DA CONEGLIANO NELLA CHIESA MADRE DI MIGLIONICO”
Nella chiesa madre di Miglionico è custodita un’opera di sraordinario valore artistico, attribuita al pittore Cima da Conegliano; su questo grande pittore non ci sono molte fonti sulla sua vita circa la data di nascita avvenuta a Conegliano nel 1459 o nel 1460, cosi come sono poche le fonti circa la sua formazione.
Purtroppo quando ci si avventura nei meandri della storia dell’arte quattrocentesca, ci si imbatte in tanti straordinari nomi dell’arte italiana ed in particolar modo dell’arte veneta. Tra di essi spiccano grandi artisti come Iacopo Bellini, padre di Giovanni e Gentile Bellini e Giovambattista da Conegliano detto Cima. Nelle Vite, Giorgio Vasari sostiene che Cima fosse stato discepolo di Giovanni Bellini e che a Venezia egli realizzò molte opere d’arte tra cui una pala d’altare oggi conservata a Milano nella pinacoteca di Brera. Già in questa opera si nota la maestosità e la perfezione di questo artista che dimostra già di aver appreso appieno la lezione del Bellini, a sostegno della breve testimonianza che il Vasari ci propone su Cima da Conegliano, la quale si conclude con le seguenti parole “E se costui non fusse morto giovane, si può credere che avrebbe paragonato il suo maestro”
L’opera è composta da 18 tavole ed al centro del polittico campeggia una Madonna col Bambino in trono mentre ai lati vi sono disposte in due ordini figure di Santi in cui si riconoscono nel registro inferiore San Francesco d’Assisi, San Girolamo San Pietro e Sant’Antonio da Padova e nel registro superiore si riconoscono Santa Chiara d’Assisi, San Ludovico di Tolosa, fratello del re di Napoli Roberto d’Angiò in favore del quale rinunciò alla corona del Regno Angioino per abbracciare l’ordine francescano, San Bernardino da Siena e Santa Caterina. Come è possibile notare, nella maggior parte delle figure fin qui esaminate prevalgono personaggi legati al mondo dell’ordine francescano, che qui appare raccolto intorno alla figura della Vergine, alla quale l’ordine è consacrato in quanto proprio i francescani furono tra i diffusori del culto legato alla Madonna, la quale campeggia al centro del polittico mostrando il Bambino all’osservatore, per invitarlo a prostrarsi ad esso.
La struttura del polittico, sembrato e ricomposto nel 1782 su iniziativa dei Baroni del Pozzo i quali lo dotarono della sua attuale cornice.
I SAPORI DELLA TAVOLA A MIGLIONICO
La cucina a Miglionico, come in tutta la Lucania, è parte integrante della tradizione locale e prevede piatti caserecci davvero straordinari.
Nei ristoranti locali l’ambiente è assolutamente piacevole e informale, il servizio molto gentile, la cucina tipicamente casalinga e realizzata con ottime materie prime. I piatti della tradizione lucana prevedono pietanze sia a base di carne sia di pesce.
Qui è sempre disponibile il celebre “pane di Matera”, un prodotto Igp impastato con semola di grano duro e lievito madre e caratterizzato da una fragranza e da un sapore davvero unici. Si prosegue poi con i cavatelli ai funghi e pomodorini secchi seguiti dalle fettuccine alla campagnola e per concludere con gli strascinati oppure le orecchiette con le cime di rapa.
La carne, sempre di prima scelta, è protagonista di secondi piatti accompagnati da verdure di stagione: in questo caso consigliamo il cutturiddo, un agnello in tortiera con patate e il tradizionale “fave e cicoria”.
Dolci di produzione propria, buoni e ben fatti, come i “cantucci dei sassi”, chiudono il pasto. In alternativa, consigliamo gli ottimi formaggi della zona.