E’ fresco di stampa il saggio di Ludovico Cantisani “Il meridionalista dell’immagine” (Edigrafema Edizioni, collana dietroFont) sulla figura e sulle opere di Vittorio De Seta, uno dei padri fondatori del cinema documentaristico italiano che con la sua macchina da presa ha attraversato quasi sei decenni di storia. “Vittorio De Seta, un antropologo che parla la lingua di un poeta” disse di lui Martin Scorsese.
Il volume di Cantisani si pregia di una postfazione di Goffredo Fofi ed è suddiviso in dieci capitoli alternati con altrettante interviste a personaggi d’eccezione variamente legati al cinema di De Seta: Daniele Ciprì, Jonas Carpignano, Salvatore Mereu, Francesco Del Casino, Franco Maresco, Luciano Tovoli, Fabio Nunziata, Djibril Kébé, Vera Dragone e Michelangelo Frammartino.
Dai primi documentari su pescatori e contadini della Sicilia rurale degli anni Cinquanta, fino agli ultimi lavori sempre più interessati alla questione del Terzo Mondo e dei suoi rapporti con l’Occidente, il palermitano De Seta è stato fra i principali fautori di una concezione di cinema indipendente che mirava a far sconfinare la nozione classica di documentario verso nuove forme e nuove dimensioni.
Il rivoluzionario sceneggiato Diario di un maestro del 1973 venne seguito da milioni di spettatori, mentre il primo lungometraggio, Banditi a Orgosolo, premiato a Venezia nel 1961, ha portato l’attenzione pubblica sulla realtà sociale del banditismo sardo, segnando al contempo un ideale capolinea del Neorealismo italiano.
Ludovico Cantisani, (Roma, 2001) è uno studioso di cinema e filosofia. Tra gli svariati libri da lui curati, L’Apocalisse è una festa. Il cinema della fine del mondo e l’antropologia di Ernesto de Martino e L’eroico Masini. Un direttore della fotografia tra Carmelo Bene e i fratelli Taviani. Suoi contributi sono apparsi su testate prestigiose quali minima&moralia, mimesis Scenari, Limina Rivista e Bianco & Nero del Centro Sperimentale.