Si è chiuso nei giorni scorsi il cartellone di appuntamenti di “Chi è di scena?”, la rassegna annuale con gli allievi e le allieve de La Scuola sull’Albero di Melfi, la scuola di teatro della Compagnia teatrale L’Albero guidata da Alessandra Maltempo e Vania Cauzillo. Quattro le produzioni originali andate in scena dall’8 al 30 giugno in tre città diverse, tra cui due riscritture de “La Cenerentola” di Rossini e del “Don Giovanni” di Mozart, per un totale di sei spettacoli che hanno calcato i palchi del Teatro “F. Stabile” di Potenza, del Cine-teatro “P.P. Pasolini” di Lagopesole e dell’Auditorium Centro Sociale “P. Sacco” di Rionero in Vulture. Protagonisti circa 70 allievi dai 6 ai 50 anni, che hanno restituito a più di 600 spettatori i risultati di un percorso lungo mesi, fatto di laboratori teatrali all’interno dei sette corsi di teatro attivati dalla Scuola, con un focus particolare sul linguaggio dell’opera lirica, secondo il metodo Community Opera sviluppato da L’Albero.
Il lavoro di formazione ed educazione attraverso i linguaggi teatrali, che La Scuola sull’Albero porta avanti da oltre vent’anni, è finalizzato alla crescita umana nelle dimensione culturale-artistica, ma anche in quella sociale e di comunità. In un contesto territoriale in cui mancano reali stimoli culturali e in assenza di istituzioni vocate allo sviluppo del pubblico, L’Albero si prefigge di accrescere nei cittadini, attraverso la frequentazione culturale, la capacità di decodificare la complessità del reale e di acquisire gli strumenti necessari per discernere i diversi aspetti della contemporaneità e scegliere di assumere comportamenti migliori.
La rassegna di fine anno rappresenta il compimento di un lungo lavoro con il teatro in generale e con l’opera in particolare, svolto a livello intergenerazionale con bambini, adolescenti e adulti. La possibilità di confrontarsi con un’opera lirica o con uno spettacolo teatrale, con la difficoltà di un copione, con la costanza dell’impegno, con la dimensione del gruppo, assume ancora maggiore importanza nel momento della restituzione in teatro, perché il coinvolgimento della comunità nella partecipazione e nell’esperienza teatrale permette di ritrovare una dimensione collettiva.
Gli allievi-attori della Scuola hanno riscontrato numerosi benefici dalla scoperta dell’opera, a dispetto del lavoro più complicato e del maggiore impegno richiesto. Superati i pregiudizi iniziali, si sono affezionati ai personaggi, alle musiche e alle coreografie. Hanno potuto sviluppare la creatività e l’immaginazione nel processo di co-creazione. La complessità delle opere su cui hanno lavorato e le approfondite analisi psicologiche dei personaggi li hanno stimolati a riflettere sul mondo attorno a loro, a osservare la varietà dell’animo umano, a comprendere le scelte che portano a determinate azioni. Si sono sentiti appagati nel cogliere meccanismi e significati dell’opera lirica, il ruolo fondamentale ricoperto dalla musica, l’attualità e l’universalità dei temi.
Linda, 12 anni, racconta l’avvicinamento a un’opera come La Cenerentola: «L’esperienza di quest’anno è stata diversa dagli altri anni. Lo spettacolo, basandosi su un’opera, prevedeva delle coreografie ed è stato quindi più impegnativo e complicato, ma il risultato, a parer mio, è stato davvero ottimo. Prima dello spettacolo non ero vicina all’opera, ma dopo averlo fatto mi sono avvicinata moltissimo, in particolare alla Cenerentola. Mi sono affezionata ai personaggi, vedo in loro i miei compagni, mi sono affezionata alle musiche e alle coreografie. La Cenerentola per me era solo un cartone animato, oggi invece penso a un’opera.»
La ricchezza e la complessità dell’opera lirica sono descritte da Virginia, 16 anni: «L’opera è l’arte più completa per eccellenza, perché ingloba tante forme d’arte: la musica, la danza, il canto, la pittura. Un artista deve saper fare tutto. Io per prima mi sono cimentata in cose che non ero in grado di fare. Mi sono trovata in difficoltà, ma ho continuato a provare e questa capacità mi è tornata utile anche a scuola. L’opera lirica è molto complessa, in particolare i testi: contengono analisi psicologiche profonde dei personaggi. Questo aspetto potrebbe allontanare gli spettatori, soprattutto quelli più giovani, perché si pensa che l’opera sia difficile. Con questo lavoro ho capito che non è difficile, ma solo complessa, quindi richiede più tempo per essere compresa, poiché bisogna approfondire. Alla fine, dopo aver compreso tutti i meccanismi e i significati, ciò che vuole comunicare, ci si sente veramente più completi.»
Il lavoro nel teatro, a tutte le età, porta con sé sempre una crescita personale, come spiega Fatima, 18 anni: «Ho iniziato teatro che ero piccolissima. Avevo paura di guardare il mondo negli occhi (e con mondo intendo ogni singola persona) a causa dell’eccessiva insicurezza e timidezza. Non mi sono mai sentita così sicura come su un palco: in scena smettevo di essere Fatima e diventavo qualcuno di speciale, più importante. Oggi che ho 18 anni so che quella persona non esiste solo sul palco, ma anche nella vita reale. È stato il teatro a insegnarmelo. È grazie al teatro che sono come sono. Non saprei esprimermi liberamente e non saprei mostrare al mondo chi sono veramente.»
Ma il teatro è anche un attivatore del senso di comunità. Lo spiegano bene le parole di Americo, 36 anni: «Il teatro è comunità. Chi sale sul palco lo fa dopo aver intrapreso un percorso insieme ad altre persone. Attraverso il teatro si lavora con gli altri in maniera paritaria. Ci si mette in gioco tutti insieme, si mettono in gioco parti di noi stessi che potremmo non far vedere mai ad altri. È il modo migliore per poter crescere: devi fidarti degli altri, condividere con loro le tue sicurezze, le tue paure. Io credo che questo venga percepito anche dal pubblico: il senso di comunità e di liturgia, il percorso di crescita che si fa insieme e nel quale si impara a fidarsi l’uno dell’altro. Questo è l’impatto più importante che il teatro ha nella vita delle persone: una crescita personale attraverso una crescita degli altri.»