Il crollo di 45 euro/ton. del grano duro alla Borsa merci di Bari – punto di riferimento, insieme alla Borsa di Foggia, per i cerealicoltori lucani – rischia di mettere in ginocchio gli agricoltori, già vittime dei folli aumenti dei costi di produzione e della siccità. Il pesante deprezzamento va contro ogni logica, in un momento di stallo del mercato cerealicolo dopo il conflitto ucraino e con il prezzo della pasta aumentato del 17% (il frumento duro ne è il principale ingrediente). Cia-Agricoltori lancia, dunque, l’allarme per il forte ribasso delle quotazioni, condizionate dagli effetti speculativi della finanza internazionale: da 565 euro/ton. alle attuali 520, nell’arco di una sola settimana. Il lucano Leonardo Moscaritolo, presidente nazionale del Gruppo di interesse economico (Gie) cerealicolo di Cia, sottolinea che le attuali quotazioni del grano duro sono ben lontane da quelle di qualche settimana fa e gli imprenditori agricoli ne reclamano, pertanto, il giusto prezzo, condizione essenziale per la copertura dei costi di produzione fortemente maggiorati.
Se il costo medio di produzione per un ettaro di grano duro si attestava, secondo Cia, sui 700 euro, oggi ne occorrono almeno 1.200. La gran parte di questi aumenti è da riversare sull’aumento del costo del carburante agricolo (schizzato a 1,60 euro al litro), per cui Cia lamenta nel Decreto Aiuti la mancata proroga del credito d’imposta.
A questo si aggiunge il calo della produzione, con rese che saranno inferiori di circa il 35% alle medie degli ultimi anni, diretta conseguenza del prolungato periodo di siccità. In queste condizioni, sarà difficile seminare nuovamente frumento duro in autunno, col risultato di una maggiore dipendenza di materie prime dall’estero e un danno alla filiera della pasta 100% Made in Italy.
I dati del Gie-Cia (fonte Ismeea): la produzione di frumento tenero subisce un costante calo dal 2012, cioè da quando le rese avevano raggiunto 5,9 t/ha con superfici pari e 593.500 ettari; negli anni successivi le due variabili produttive sono risultate molto variabili mantenendosi su livelli più bassi. Nel 2020 i raccolti sono rimasti stabili grazie all’aumento della rese unitarie, dato che le superfici sono diminuite del 6% su base annua a poco meno di 501 mila ettari; dopo gli abbondanti raccolti di frumento duro nel 2016, grazie all’aumento delle superfici e soprattutto delle rese (3,7 t/ha per 1,4 milioni di ettari), l’offerta si è ridotta negli anni successivi ed è rimasta stabile nel 2020 in ragione dell’andamento contrapposto delle superfici (-1% sul 2019 a 1,21 milioni di ettari) e delle rese (+2% a 3 t/ha). Ciònonostante Puglia e Basilicata conservano i primati di superfici e produzioni di grano tenero: in Puglia 22% di superfici e 18% di produzione, in Basilicata rispettivamente 18% e 11%.
“Impossibile non analizzare come ad oggi, il margine di guadagno -spiega Moscaritolo- resti sempre troppo sbilanciato verso gli anelli finali della filiera. Se all’agricoltore rimane non più del 13% del valore del prodotto, è inevitabile che vi siano squilibri, che le superfici coltivate diminuiscano, che quando i prezzi sono alti i produttori cerchino di non vendere per innescare ulteriore tensione. Se, al contrario, la filiera avesse un approccio più etico, con un’equa distribuzione della redditività potremmo ragionare su prospettive diverse”.