Domenica 31 luglio 2022 si è conclusa presso la sede della Fondazione culturale Le Monacelle la prima residenza artistica che ha visto la partecipazione di Giovanni Copelli, che ha realizzato una esposizione itinerante all’interno dei luoghi sacri dell’ex convento.
L’evento è stato promosso dalla Fondazione stessa in collaborazione con la CNA e con il patrocinio del Circolo Culturale La Scaletta.
Una storia quella ideata dall’artista, che affonda le proprie radici nel monastero, mescolando sapientemente realtà eimmaginazione, giungendo all’evocazione della figura di una Bernadette Materana, che probabilmente non è mai esistita o che forse invece, è esistita in ogni bambina che ha vissuto fra le mura di questo luogo mistico.
Copelli ha realizzato 7 opere, utilizzando tecniche miste che variano dalla pittura acrilica e olio (recuperando un linguaggio pittorico di tipo trecentesco) alla cartapesta fino ad arrivare all’utilizzo della cera. Lo spettatore è stato traghettato nelle varie sale del monastero da un moderno Caronte, che attraverso la voce e il flauto ha guidato il pubblico fra le varie opere creando un’atmosfera di incredibile suggestione.
Il percorso ha inizio nella sala principale della Fondazione, la vecchia entrata della Basilica di Sant’Eustachio nell’anno 1000.
In questo primo luogo ci troviamo di fronte il dipinto di ‘Madre Peccatrice’; Copelli immagina che il pittore Gavino Pelliconi (nome inventato) viene mandato al confino come molti altri intellettuali dissidenti. Pelliconi finisce nella provincia di Matera, dove conoscerà le drammatiche condizioni di vita della popolazione contadina della Basilicata e dove realizzerà una serie di dipinti di denuncia.
Per il dipinto Madre Peccatrice, Pelliconi trae spunto dalla cultura del luogo, optando per la storia della Santa di Matera, scegliendo appositamente un episodio poco ricorrente nelle rappresentazioni classiche della Santa, ovvero la sua primissima infanzia con la madre.
Ed è con questo primo dipinto che si delinea il parallelismo tra una Santa e una delle bambine rinchiusa nelle Monacelle. La Santa era nata da una relazione extra-coniugale, con un padre che non la riconobbe mai. La madre, mal vista da tutto il paese divenne una figura isolata che viveva del poco lavoro che le veniva offerto, e la figlia, prima degli eventi che seguirono l’Apparizione, crebbe altrettanto isolata in quanto “figlia del peccato”.
La seconda stanza scelta dall’artista è la stanza/ponte di collegamento costruito dalle suore di clausura nella fine del ‘700, fondamentale per il passaggio delle suore Celestine (di clausura) che dal dormitorio potevano raggiungere il vecchio conservatorio senza essere viste.
Qui l’artista è intervenuto realizzando un finto affresco che rappresenta la fine dell’autunno di un anno estremamente freddo. La giovane ragazzina bistrattata da tutti trova rifugio in una grotta sovrastante la Gravina sul lato della Murgia, dove andava a pregare di fronte all’immagine di una Madonna di epoca bizantina. Assorta in preghiera, a occhi chiusi, sente prima come un vento che la scuote, e poi una volta aperti gli occhi, vede di fronte a sé l’affresco animarsi d’incanto.
La figura della Madonna esce dalla parete di roccia e le viene incontro parlandole dolcemente nel suo dialetto, l’unica lingua che la Santa conosce.
Le parole, che la Madonna le avrebbe proferito come un segreto, non verranno mai rivelate. Questo affresco viene realizzato quando si decide di realizzare un passaggio sopra la strada per permettere alle suore di clausura di passare nell’altro edificio senza essere viste. L’immagine dell’Apparizione serviva ad ammonirle e ispirarle, dovendo esse passare proprio attraverso l’immagine dipinta, come testimoniato dalla traccia della porta, ora murata.
La terza stanza, è quella delle bambine ospiti del conservatorio che insieme alle suore imparavano le tecniche di cucito e rammento.
Qui Copelli inserisce un finto affresco staccato e realizzato con tecniche miste che rappresentano due scene molto importanti: la prima con la figura della Santa che si reca dal Vescovo per raccontargli della sua visione, senza essere creduta.
La seconda invece raffigura il Vescovo che torna da lei perché ormai convinto dell’accaduto.
Nella quarta stanza, il traghettatore si inginocchia difronte al dipinto della ‘Suora Madre’. Dopo un lungo momento di pausa si alza e con un pennarello disegna dei baffi alla suora raffigurata, quasi a voler rappresentare l’innocenza e il dispetto di una bambina costretta e rinchiusa in convento.
Nella quinta stanza è mostrato un reperto religioso ritrovato nella vecchia basilica delle Monacelle, strettamente legato dunque al posto in cui prende vita la storia di Copelli.
A seguire, nel corridoio che porterà nell’ultima stanza, attraverso la ruota degli esposti, quasi come spettatori dal buco della serratura si riesce ad intravedere la chiesa che si trova all’interno del Convento. Qui sull’altare è posta una teca in vetro con all’interno la reliquia in cera della bambina del convento divenuta Santa.
Infine nell’ultima stanza, originariamente refettorio del monastero, ci ritroviamo difronte un Cristo in Croce realizzato su base di polistirolo e carta.
Ai suoi piedi si intravede nella penombra una giovane donna coperta solo da un drappo nero, che dopo un lungo momento di sospensione con un solo gesto lo lascerà cadere rimanendo di spalle e completamente nuda.
Ecco dunque che ci si ritrova davanti non ad una visione o una evocazione della Santa ma difronte alla sua totale natura umana.
Dal lavoro completo di Giovanni Copelli è emersa una coinvolgente visione e la capacità di amalgamare sapientemente le diverse opere con il luogo che lo ha ospitato, quasi a voler confondere lo spettatore insinuando il dubbio su ciò che è reale e ciò che rappresenta invece solo una visione. Una visione può suggestionare l’immaginario di tutti noi? Può accadere, si! Proprio come è accaduto con Bernadette di Lourdes.