Una grande novità letteraria è la tradizione in russo delle vicende della poetessa lucana Isabella Morra a cura del professore Roman Doubrovskine. Di seguito la recensione di Giovanni Caserta.
Voleva fuggire da Valsinni Isabella Morra. Si sentiva prigioniera, pur vivendo in un castello e godendo di una condizione di nobiltà. Era baronessa; ma era rimasta sola con i suoi fratelli, rozzi, ignoranti e selvaggi. La madre, Luisa Brancaccio, non riusciva a tenere a freno il loro carattere, portato alla offesa e alla violenza. Né era bello il contesto. Ai piedi del castello, c’era un borgo, Valsinni, che Isabella definisce “denigrato sito”. Dice di averlo in odio,“come sola cagione del suo tormento”. Sono annotazioni che definiscono una condizione non molto diversa da quella del Leopardi a Recanati, che, per il poeta dell’<Infinito>, era il “natio borgo selvaggio”.
A non molta distanza da Valsinni, a Senise, Isabella Morra aveva una cara amica. Era Giulia Orsini, moglie di Pietro Antonio Sanseverino, signore di Bisignano con sede preferita proprio a Senise, piccola corte di provincia.Si legge, di recente, che Isabella fu dama di corte presso la famiglia Sanseverino, al servizio di Felicia Sanseverino, figlia di Giulia(morta nel 1539).Forse gliene veniva qualche compenso, di cui doveva aver bisogno.Si sa che, dopo la guerra franco-spagnola,che aveva visto la vittoria degli Spagnoli,il padre di Isabella, Giovan Michele Morra,filo-francese, si era rifugiato in Francia, a Parigi. Aveva lasciato un gran rimpianto nella figlia, che,continuamente, ma inutilmente, ne invocava il ritorno. Giovan Michele preferì Parigi e la corte di Francesco I, dove si era rifugiato nell’agosto del 1528, sottraendosi alle angherie dei nuovi conquistatori. E’ perciò probabile che alcuno ritiene che la famiglia Morra, per l’assenza del padre, la famiglia Morra, data la nuova situazione politica, vivesse in uno stato di necessità economica. Utile e necessario, pertanto, poteva tornare il piccolo compenso, che a Isabella veniva dal ruolo di dama di corte. E’, però, un dato che non cambia in nulla il giudizio circa lo stato d’animo d’ Isabella, dolente e frustrato, fonte della sua poesia. Anzi, proprio perché svolgeva il suo servizio di dama di corte per necessità, per giunta in casa di una famiglia amica di suo pari grado, e presso una donna di lei più giovane, proprio per questo è probabile che se ne sentisse più dolorosamente mortificata e umiliata.
A salvarla dall’isolamento e dalla solitudine, e dal senso di vuoto e inutilità, poteva servire un amore, meglio ancora un matrimonio.Lo sognò. Se ne parlò in una occasione particolare;poi tutto sfumò.Era più facile inviare versi in giro e stabilire contatti letterari. Lo dimostra un sonetto,che è come biglietto-omaggio al poeta Luigi Alamanni, in quegli anni esule, anche lui, a Parigi.Ne ricavava qualche conforto e gratificazione.
Altrettanto facilmente poté accadere che, attraverso la poesia, si imbattesse in Diego Sandoval de Castro, marito dell’amica Antonia Caracciolo, signora di Nova Siri, poeta anche lui, premiato a Roma e amico dei maggiori poeti del tempo.Tra questi c’era il Bembo.A Roma aveva pubblicato un celebrato volume di poesia.Aveva, insomma, tutto ciò che mancava ad Isabella e che lei fortemente desiderava. Era, perciò ,assai facile che, all’età di 24-25 anni, se ne innamorasse. Infatti,se ne innamorò.Almeno di amore parlava la gente del posto.E le dicerie, in questa materia, valgono tanto quanto la verità.
Uno scambio di lettere, forse di poesie, tra Isabella e don Diego, avvenuto per il tramite del precettore della famiglia Morra, fece scattare la rabbia e la gelosia dei fratelli della poetessa, tanto più che, a parte la illiceità della relazione, questa avveniva con un nemico spagnolo. Insomma, uccisero barbaramente il precettore, la sorella e, l’anno successivo, tra il 1545 e il 1546, don Diego Sandoval De Castro, sorpreso in uno dei suoi furtivi viaggi verso Nova Siri.
E’ evidente che, quello di Isabella Morra, era il dramma di una capinera in gabbia che, in condizione di umiliante vita, sorvegliata pressantemente dai fratelli, forse in condizione di bisogno, caduta ogni speranza di abbandonare il sito di Valsinni, aveva finito col nutrire speranza solo nella poesia, che si augurava superassei confini del borgo e la rendesse immortale presso i posteri. Scrive nel sonetto n. 1, che traccia il suo programma : “Degno il sepolcro, se fu vil la cuna, / vo procacciando con le Muse amate, / e spero ritrovar qualche pietate / malgrado de la cieca aspra importuna (la Fortuna); // e col favor de le sacrate Dive (le Muse) / se non col corpo, almen con l’alma sciolta, / spero essere in pregio a più felice rive”. Questo accadeva prima che all’orizzonte apparisse il prestante don Diego.
Le “più felice rive”erano le città del resto dell’Italia, e magari dell’Europa, dove fiorivano le arti e c’erano corti di aristocratica finezza. Isabella pensava a Firenze, a Roma, a Siena, a Rimini, a Ferrara, a Bologna, alla stessa Parigi, dove viveva il padre con uno dei suoi fratelli, Scipione, suo coetaneo, forse gemello. La fortuna le aveva negato di poter vivere in uno di quei luoghi; ma con la poesia, almeno con la poesia, poteva varcare montagne, fiumi e mari, ed essere conosciuta anche oltre la morte.
In effetti, la fortuna, che fu con lei cattiva finché fu in vita,le è stata generosa dopo la morte. Pubblicata la prima volta nel Cinquecento, dopo il Seicento se ne erano perse le tracce. A riscoprirla fu uno studioso, curioso esensibile alla sofferenza umana, quale fu Angelo De Gubernatis, il quale,nel 1907, essendo venuto a conoscenza del<Canzoniere>di Isabella, e, ancor di più, del suo dramma esistenziale di “povera vittima”, ne parlò in una conferenza e ne pubblicò le poesie. Poi si preoccupò di chiamare in causa Benedetto Croce, invitandolo ad interessarsene. Croce accettò e pubblicò due volte, nel 1929 e nel 1936, la storia di donna di Isabella eil <Canzoniere>.Nel 1928, anzi, non rinunziò a fare un faticoso viaggio, ricognitivo, fino a Valsinni. Scoppiò un <caso> letterario, su cui intervennero personalità di Valsinni.A proprie spese, il <Canzoniere> fu pubblicato anche in paese, nel 1922, a cura del dottor Melidoro; nel secondo dopoguerra, la Pro loco di Valsinni, nel maggio 1975, organizzava un convegno, con pubblicazione degli atti..
Da allora molti studiosi, da ogni regione e da angolazioni diverse, hanno esaminato e analizzato la figura di donna Isabella e la sua poesia. E sono arrivate le traduzioni in americano (con Irene Musillo Mitchell), in inglese, ora anche in russo. Il miracolo è avvenuto. E’ lo stesso Roman Doubrovskine, il traduttore russo, ad annunziare “la recente comparsa di tre pubblicazioni delle … traduzioni di Isabella Morra, accompagnate da un saggio sui misteri che circondano il suo tragico destino. Nel numero di maggio, dedicato alle scrittrici donne dall’autorevole <Inostrannajaliteratura> (<Letteratura straniera>) sono stati pubblicati dieci sonetti e la prima canzone; recentemente le ultime due canzoni a tema religioso sono comparse nella rivista on-line <Sem’ Iskusstv> (<Le sette arti>); infine la casa editrice di Mosca <Vodoley> ha pubblicato un volumetto con tutte le tredici poesie. [… ] Di questi tempi difficili è improbabile aspettarsi una reazione pubblica a un’opera così distante. Tuttavia, le tre pubblicazioni sono, a quanto pare, accolte molto positivamente nei circoli letterari e universitari. In Russia Isabella di Morra verrà ormai inclusa in qualunque antologia dedicata al Rinascimento italiano”.
E’ curioso immaginare che Isabella, nel Cinquecento, non conoscesse nemmeno l’esistenza di un Paese che si chiamava Russia;quanto all’ America, era stata scoperta appena da quarant’anni.