Luigi Scaglione, Presidente Centro Studi Internazionali Lucani nel Mondo in una nota ricorda la tragedia di Marcinelle del 1956 in cui persero la vita tanti lucani nelle miniere nel Belgio.
Nel ricordo della tragedia di Marcinelle del 1956 non possiamo non essere solidali con quel mondo fatto di tanti lavoratori italiani, meridionali e lucani, che lasciarono la propria terra natia per prestarsi allo scambio uomo-sacco di carbone, con tutte le umiliazioni che ne seguirono anche in termini di accoglienza e di solidarietà mancate.
Ricordare oggi l’8 agosto “Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo”
istituita nel 2001 significa ricordare quanto la storia debba essere maestra del nostro cammino di oggi e del futuro.
Ha ragione chi dice che il ricordo fa pensare bene che l’emigrazione è storia italiana e storia di ciascuno di noi e ci lega di fatto ad oggi quando numerosi giovani italiani continuano a lasciare l’Italia
Spesso questo significa essere ancora oggetto di discriminazioni, ci dicono e di fatto Marcinelle è stata una tragedia che ha segnato la storia del nostro Paese e del nostro popolo che aveva davanti una idea di vita diversa, sia partendo che lasciando quello che aveva a casa.
I lucani di Maassmechelen, di Genk, di Beringen e quelli di Marcinelle sono l’esempio che dobbiamo avere in mente nel racconto che facciamo ogni giorno e che nei nostri piccoli comuni ci rimanda ad una speranza, quella del ritorno, della vita convissuta, delle opportunità che dobbiamo cogliere, come ci prepariamo a fare pensando al Turismo di ritorno ed a quello delle radici. Sempre che a livello istituzionale regionale ci si ricordi e non si perda questa occasione.
Radici che non si sono mai spezzate con i nostri minatori del Belgio, degli operai della Svizzera e della Germania che incontriamo oggi, magari senza più nostalgie ma con lo spirito giusto per riannodare quel filo che anche la pandemia ha spezzato.
Dedichiamo a loro il nostro ricordo, ai nuovi emigranti ed a quelli che incontriamo, senza dimenticarne i volti e le storie, come quelle che ci ha raccontato il custode della miniera di Beringen, nativo di Abriola e morto lo scorso anno.
Affinche quella storia non ci dica cosa fare, ma cosa non fare.