Francesco Paolo Francione: “Una sanità pubblica, unica, gratuita e di alta qualità”. Di seguito una riflessione sulla Sanità in Basilicata sviluppata dal materano Francione seguendo una traccia del pensiero di Gino Strada, il fondatore di Emergency.
Negli ultimi anni, anche a causa della pandemia, molta attenzione è stata data dalla Pubblica Opinione al problema della Sanità in generale e all’ efficienza delle varie strutture sanitarie territoriali.In Basilicata e soprattutto a Matera, il problema continua ad avere una particolare rilevanza, a prescindere dalla emergenza Covid, perché si ha sensazione che l’ospedale Madonna delle Grazie stia perdendo molto del prestigio che l’ha accompagnato sin dalla costruzione, venti anni or sono.E’ questione di cui il cittadino potrebbe non comprendere pienamente l’ aggrovigliata complessità, ma di cui subisce i danni più gravosi perché spesso è costretto a ricercare fuori Regione le soluzioni ai suoi problemi di salute.
Un contributo alla discussione potrebbe venire dalla riflessione su alcune tesi che, per quanto radicali e bisognose di approfondimento, aiutano a capire i motivi più profondi che bloccano gli ospedali di Matera e di Policoro in uno stato di emergenza permanente. Queste tesi sono state elaborate da un medico che di sanità s’ intendeva, Gino Strada, in “Una persona alla volta”, Feltrinelli).
“In Sierra Leone l’aspettativa di vita è di 50 anni, in Italia di 82”. Il motivo di questa differenza è nel fatto che in Italia è possibile curarsi gratuitamente, a Freetown, nel principale ospedale della Sierra, la gente deve rinunciare a molti mesi di salario per pagarsi una appendicectomia. Dovremmo perciò ringraziare tutti i giorni una donna, Tina Anselmi, che nel 1978 volle il Sistema Sanitario Nazionale che l’OMS, nel 2000, ha valutato come il secondo migliore al mondo dopo quello francese “ per qualità e universalità delle cure”. Quella donna era convinta che il diritto di ogni cittadino e di ogni persona ad essere curata, prescindendo dalle condizioni economiche, è un diritto sacrosanto.
“Ma oggi la medicina italiana non sta bene” e, secondo un recente rapporto ISTAT, circa 4 milioni di Italiani hanno rinunciato a curarsi per ragioni economiche”. Significa che la loro aspettativa di vita comincia a scivolare verso quella della Sierra Leone.
Cosa è successo? Perché questo drastico cambiamento culturale? Le cose, forse, sono andate così: dalla constatazione banale che tutti gli uomini, prima o poi, hanno bisogno del medico, invece di concludere che le cure debbono essere di alta qualità, pubbliche e gratuite per tutti, come aveva pensato Tina Anselmi,ha prevalso la convinzione che tutti siamo “ potenzialmente clienti di un mercato, enorme e illimitato, quello della salute”, sul quale si sono lanciati investitori e politici che hanno costruito “ con la complicità di molti medici, “ un sistema sciagurato che ha trasformato la cura da diritto umano fondamentale a fornitura di un servizio”.
Non c’è stato nulla di illegale e tutto è avvenuto alla luce del sole, col beneplacito delle istituzioni che gestiscono la sanità. Ma l’obiettivo principale è diventato quello di” guadagnare miliardi di euro sulla malattia dei cittadini”.
Tale cambiamento culturale è stato realizzato soprattutto mettendo in atto due strategie : la convenzione, cioè la concorrenza tra pubblico e privato e il processo di regionalizzazione della sanità.
“ Diamo ai Lombardi la possibilità di scegliere” era il motto di un potentissimo Presidente di Regione , mentre dava il via alla svendita della sanità pubblica”; e “la scelta” veniva presentata come garanzia di migliori prestazioni per i pazienti.Quel modello, poi, è stato esportato in tutto il Paese. Ma, osserva Gino Strada:“Chi vuole investire nella medicina deve essere libero di farlo… ma deve farlo contando sulle sue forze, assumendosi i rischi della sua impresa. E invece il rischio è compensato dai fondi garantiti dalle convenzioni stesse. Perché alla fine , chi esalta l’iniziativa privata spesso campa e guadagna con i soldi concessi dal pubblico”.
E’ del tutto evidente, infatti, che “ Togliere risorse al pubblico per darle al privato somiglia più a un sabotaggio che a un incremento delle possibilità di cure per il cittadino” e quella presentata come “scelta” , come una conquista di libertà è, il più delle volte, uno specchietto per le allodole. Il settore pubblico, infatti, nella realtà,“ha liste di attesa sempre più lunghe, scarsi investimenti e una competizione voluta dal sistema e già viziata all’origine perché tutto quello che non rende viene scaricato sulle spalle del pubblico, mentre il privato può scegliere in cosa specializzarsi a seconda della convenienza del piano dei rimborsi”.
E così, la sanità pubblica va avanti grazie alla forza e alla convinzione di tanti che ci lavorano e non si arrendono” e di coloro che, da giovani, si erano lanciati nella professione medica con passione, facendo della medicina uno strumento di cambiamento del mondo. Si ritrovano, invece, a dover fare i manager alle prese con” costi e ricavi, ingerenze politiche, organici insufficienti e avvocati in corsia”.
Anche la regionalizzazione della sanità si è rivelato strumento inadeguato per offrire al cittadino una sanità di buon livello: basti ricordare le interminabili riunioni tra Ministro e Presidenti delle Regioni, in piena emergenza epidemica, per avviare interventi da tutti condivisi;o riflettere sulla recentissima decisione del Presidente della Regione Emilia e Romagna di far distribuire gratuitamente la pillola per l’interruzione della gravidanza alle donne che ne fanno richiesta, mentre in altre Regioni viene osteggiata con furberie burocratiche l’ applicazione stessa della legge 194/78; per non dire poi di quelle Regioni in cui la quasi totalità degli operatori sanitari risultano obiettori di coscienza.
Nelle ultime settimane, nei Tg regionali della Basilicata, sono state date con insistenza informazioni su fatti strettamente collegati: l’Ospedale “Miulli” di Acquaviva delle Fonti, cioè la struttura sanitaria verso cui si indirizza molta gente del territorio materano, non potrà più accogliere i non residenti in Puglia perché è stato superato il tetto di spesa concordato; in Basilicata persiste una grave crisi della sanità privata, con quotidiane manifestazioni di protesta dei lavoratori che vi operano; la Regione Basilicata ha stanziato 5 milion per sostenere la sanità privata.
Una serie di fatti sui quali potrebbe essere applicata proficuamente la riflessione sviluppata da Gino Strada e la cui conclusione è la seguente:
“Siamo tornati a considerare la sanità una spesa da contenere e non un diritto da garantire. E invece le persone avrebbero bisogno di “ una sanità pubblica, unica e non regionale , gratuita e di alta qualità”. E lo Stato per realizzarla “deve spendere quanto serve, non un euro in più, non un euro in meno”.
Le risorse per riportare il Sistema sanitario nazionale a livello di eccellenza ci sono: basta cancellare dal budget della sanità pubblica i fondi destinati al privato, “ eliminando, ad esempio, le convenzioni”. Ma c’è anche un altro intervento strutturale alla portata dei nostri governanti : sottrarre al settore militare un po’ delle risorse smisurate di cui gode.
“ Ho una cattiva notizia per chi continua a sentirsi in guerra: contro il Sars- CoV-2, gli F35 e i sistemi di armamento avanzati non servono a niente.”