Il politologo materano Franco Vespe in una nota esprime alcune riflessioni sulla crisi che ha travolto il PD e indica alcune soluzioni per evitare l’uscita dallo scenario politico italiano. Di seguito la nota integrale.
Il governo Meloni si è ormai insediato. Per la prima volta nella sua storia l’Italia ha la sua prima Presidente! Della tornata elettorale la forza che ha patito maggiormente gli esiti è stato il Partito Democratico. La conduzione di Letta è stata a dir poco disastrosa. Disastrosa perché non ha saputo costruire una rete di alleanze adeguato per controbattere al Centrodestra Meloniano. A sinistra si è fatta scavalcare dal M5S con la quale invece avrebbe dovuto chiudere l’alleanza. Ormai il M5S ha scampato il pericolo di ridursi ad effimero e “meteoritico” evento politico come lo fuil partito dell’uomo qualunque. Si è appunto accreditata come forza che sa raccogliere il disagio delle fasce più “povere” a sinistra. Se l’avesse abbracciato in un alleanza probabilmente l’avrebbe svuotata come fece Salvini nel primo governo Conte. Ma, ormai lo si è capito: Enrico non ha studiato Machiavelli! Fra l’altro ha imbarcato il “Putiniano” Fratoianni che mai, dico mai, ha votato a favore del governo Draghi; mentre ha sbattuto la porta in faccia al M5S che pure l’aveva sostenuto. Il PD è al guado: se sbaglia mossa in questa fase rischia la dissolvenza.
L’ipotesi di un partito ripiegato sulla rivendicazione di “sedicenti” esotici diritti civili sulla falsa riga di ciò che fece Zapatero in Spagna, sarebbe un suicidio politico. Fu quella di Zapatero uno specchietto per le allodole utile a marcare una distanza con Aznar del quale, nei fatti, adottò le stesse politiche economiche. Si ridurrebbe così ad essere un partito elitario radical libertario lontanissimo dalla sua originaria vocazione popolare.
Si è criticato in passato il PD perché incapace di “dire qualcosa di Sinistra” parafrasando Nanni Moretti. Chi l’accusa ancor oggi di questo ignora il percorso che ha portato alla formazione del PD. Il PD non può dire solo qualcosa di sinistraperché dentro di esso sono fuse, forse in modo non proprio armonico, due culture politiche diverse. Da una parte il vecchio PCI confluito nei Democratici di Sinistra; dall’altra la Margherita che raccolse i resti di quel cattolicesimo democratico che per lungo tempo è stato incarnato dalla Democrazia Cristiana. Due anime che si possono certamente incontrare per condividere un percorso politico e di governo del nostro paese; ma non si potevano certo fondere. Sappiamo bene che questo primo tentativo di incontro fu esperito negli anni 70 con Aldo Moro e con Enrico Berlinguer. Compromesso storico che dai due protagonisti era declinato comunque in modalità diverse. Moro pensava ad una alleanza in termini di una parentesi temporale di pacificazione nazionale al fine di far fronte comune per risolvere i grandi problemi del paese. Berlinguer la pensava invece in termini di forte ed organica alleanza strategica, traumatizzato come fu dalla tragica esperienza socialista di Allende in Cile. Dicevamo che al secondo tentativo, nel 2007 queste due anime alla fine decisero di fondersi insieme. Nei fatti hanno costruito una casa della quale nessuno alla fine ne è il padrone e che, nessuno in salotto può mettersi comodo come vorrebbe. Un incontro fra due culture in un partito costretti ad intendersi su verità penultime, evitando accuratamente di confrontarsi su quelle “ultime” che invece sono la radice dal quale trarre linfa ed energie necessarie per l’agire politico. Questa difficoltà e questo disagio l’abbiamo fra l’altro appreso da una confessione fatta ultimamente da D’Alema su La7. Ritornare a dividersi in due partiti è operazione credo improponibile. C’è un entropia anche nella vita sociale dell’uomo che non permette di riavvolgere il nastro della storia. Ma allora da doveripartire?
Queste diverse anime silenziate per la paura dorotea di non creare rotture o fratture, se si facesse del dialogo una cifra fondamentale del partito, se ri-emergessero con chiarezza ed ingaggiassero un confronto sui rispettivi valori,potrebbero giovare non poco alla qualità del dibattito e delle dinamiche interne. Dialogo inteso come strumento più efficace per operare una sana contaminazione reciproca fra culture diverse. Un dialogo sulle verità “ultime” da condurre internamente e, soprattutto, da praticare nel mondo. Ma il dialogo può avvenire se ciascun protagonista ha dei “doni” da trafficare. Se un otre è vuoto, o si autocondanna a questo, rinunciandoa far valere i suoi valori, la sua cultura, le sue conquiste di civiltà, non ci può essere vero dialogo ma indifferenza e/o paura. Ad esso si sostituisce l’indifferenza silenziosa pretendendo a malapena un vago rispetto delle regole per chi si affaccia nella vecchia Europa. La paura è l’altra faccia della mancanza del dialogo. Se un otre si presenta al dialogo vuoto, insorge la paura di essere “invaso” dagli altri otri stracolmi di “doni”. In termini più filosofici il dialogo è l’unica arma che abbiamo per scongiurare Relativismo Etico (il silenzio dell’indifferenza) e/o Nichilismo (il Vuoto che ha paura di essere invaso). Fino ad ora questo coraggio di avviare un confronto franco sulle verità “ultime“ è mancato nel PD. Un secondo ambito, strettamente legato alla mancanza del dialogo, è quello di rispondere alle crisi della convivenza umana, sia nazionale che internazionale, con l’approccio tipico del materialismo storico. Non è un retaggio solo della cultura marxista; ma c’è un materialismo storico di marca neo-liberista ancora più perverso. L’idea che il dialogo fra diverse civiltà e nazioni possa avvenire esclusivamente sulla base di ricatti/promesse economiche ha creato grandi drammi nella storia. Occorre attrezzarsi perché si possa parlare anche all’anima dei popoli al fine di esaltarne il patrimonio immateriale e spirituale. Pensate come potrebbe aiutare questa capacità nell’impostare il dialogo ed i rapporti fra il Nord ed il Sud del mondo!Le ultime crisi finanziarie europee e le misure a volte non risolutive se non proprio inique adottate, pongono al centro dell’attenzione l’emergenza di salvaguardare i diritti della persona contro i potentati finanziarimultinazionali in grado ormai di mettere in ginocchio le economie ed il wellfare di interi paesi. Le soluzioni fino ad ora adottate, se persistenti nel tempo, rischiano di tradursi in un complessivo arretramento dei principi di tutela della persona. Occorre invece rimettere al centro la “persona” su scala planetaria schiacciata oggi dall’insano giogo della globalizzazione dei “mercanti”; così come lo era nel secolo scorso per mano degli stati etici di matrice hegeliana. Sulla tutela della persona, Cattolici e Sinistra si ritrovarono concordi nella scrittura del dettato costituzionale, in una temperie storica ben più turbolenta e drammatica di quella di oggi.
Solo da questo confronto franco sulle verità “ultime” dei diversi orientamenti ideologici presenti nel PD si potrà declinare un nuovo modo di promuovere sussidiarietà e solidarietà utile per far tornare a crescere la nostra società. Ovviamente sarà indispensabile recuperare la capacità di ascolto e di dialogo con il “popolo”. Soprattutto occorre recuperare la capacità di parlare alle teste ed al cuore di esso. Il “parterre” di partiti che sanno parlare solo alla pancia della gente è superaffollato e, in definitiva, si sta dimostrando virtù effimera vista l’altalena di consensi che li caratterizza. Saprà fare questo il PD ? Oppure si arroccherà auto-compiacendosi di essere l’unico partito con capacità di governo o, quel che è peggio, declinando in chiave radical-libertaria sedicenti “esotici” nuovi diritti civili ? Temo che l’attuale dirigenza non abbia contezza della posta in gioco!