Sabato 19 novembre 2022 alle ore 18 Il MIG. Museo Internazionale della Grafica – Biblioteca Comunale “Alessandro Appella”, proseguendo il suo lavoro di informazione e divulgazione di uno dei linguaggi più esaltanti della storia dell’arte, dopo la mostra inaugurale “Per una storia della grafica europea del Novecento” (Alechinsky, Appel, Assadour, Avati, Arp, Bartolini, Bellmer, Braque, Burri, Bissiere, Bazaine, Beuys, Bill, Campigli, Campendonk, Chagall, Carrà, Ciarrocchi, Castellani, Cerone, Corneille, Chadwick, Clavé, Capogrossi, Consagra, De Chirico, Dix, Dalì, De Pisis, Dine, De Segonzac, Dubuffet, Dorazio, Delaunay, Ensor, Ernst, Fontana, Felixmuller, Fautrier, Fazzini, Feininger, Fuchs, Friedlaender, Gentilini, Goetz, Grosz, Hockney, Hartung, Heckel, Jorn, Kandinskij, Klee, Kolar, Kollwitz, Kounellis, Kubin, Léger, Lardera, Maccari, Marino, Music, Manessier, Manzù, Matta, Masson, Man Ray, Magnelli, Melotti, Michaux, Mirò, Mondrian, Morandi, Moore, Napoleone, Novelli, Ortega, Picasso, Piza, Poliakoff, Prampolini, Perilli, Raphaël, Richter, Rotella, Savelli, Savinio, Spacal, Soulages, Severini, Sutherland, Scialoja, Schmidt-Rottluff, Strazza, Tapies, Tobey, Vieira Da Silva, Vallotton, Bram Van Velde, Viviani, Vespignani, Villon, Veronesi, Vasarely, Zadkine) e le personali di Daumier, Degas, Renoir, Bonnard, Bernard, Matisse, Dufy, Picasso, Mirò, Calder, Ben Shann, Secessione di Berlino, Pechstein, Zadkine, Marcoussis, Assadour, Richter, Arp, Breton, De Chirico/Apollinaire, Henri Goetz, Azuma, Messagier, Bram van Velde, Steinberg, Dubuffet, “École de Paris 1920-1965 e la libertà dell’arte”, Del Pezzo, Mascherini, Bartolini, Marino, Guarienti, Rotella, Fazzini, Gentilini, Strazza, Accardi, Ciarrocchi, Consagra, Melotti, Maccari, Bucci, Perilli, Raphael, Viani, Venna, Vedova, Scialoja, Della Torre, Bruscaglia, inaugura la mostra “José Ortega e Castronuovo Sant’Andrea 1966-1989” che, riallacciandosi alla precedente dedicata alla “Scuola di Parigi e la libertà dell’arte”, cioè a una città divenuta il crogiolo della creatività del mondo e della quale Ortega si nutrì, riassume la lunga amicizia dell’artista con lo storico dell’arte Giuseppe Appella e con il suo paese d’origine, dal 24 aprile 1966 (primo incontro a Parigi, per una incisione trovata a Porta Portese) al 28 agosto 1989 (quando, insieme a Francesco Sisinni, si reca a Bosco, in vista di una possibile mostra antologica alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma). La bella giornata cilentana, suggellata dal dono di una tavoletta di cm 20×25 (“Raccoglitrici di castagne”), preparò al lavoro degli ultimi mesi dell’anno, presto interrotto dalla malattia dell’artista che scomparirà a Parigi il 24 dicembre 1990.
La mostra, che prelude al trasferimento del MIG e della Biblioteca nel Castello Marchesale e alla sistemazione dell’intero Polo museale, accoglie i 123 disegni preparatori per i cicli “Passarono” e “Morte e nascita degli innocenti” (1968-1970) nati dalla convinzione che “Ci sono momenti nella vita dei popoli in cui gli artisti sentono che un’arte di contenuto rivoluzionario è una necessità” e le terrecotte, legate a questi cicli, realizzate a Matera nel 1974-1976. Terrecotte e disegni poi confluiti in due libri di Appella, pubblicati da Vanni Scheiwiller: “Terrecotte di Ortega” il 10 dicembre 1977 (le prime 99 copie con una terracotta numerata e firmata), “Disegni di Ortega” il 27 febbraio 1981, presentato da Cesare Zavattini a Roma il 3 marzo 1981, nella Galleria Il Millennio fondata da Leonardo Sinisgalli. Un terzo libro, d’artista, “Triangolo d’acqua”, con tre poesie di Mario Trufelli, una testimonianza di Libero De Libero e una ceramica di Ortega, tirata in 110 esemplari, usciva intanto nel 1976 all’insegna de L’Arco-Scheiwiller e veniva presentato a Potenza e a Castronuovo, presenti anche Maccari, De Libero e gli altri amici scesi da Roma.
Fondamentali, per il prima e il dopo dei disegni e delle terrecotte, le opere grafiche, innovative di un linguaggio non solo immerso nelle tecniche più avanzate apprese durante l’alunnato parigino nell’Atelier Friedlaender; i libri d’artista: “Les Moissonneur” (Parigi-New York 1966, con otto litografie originali stampate da Desjobert, appena uscito quando Appella lo incontra a Parigi), “Proverbes et Chansons” di Antonio Machado (Parigi 1968), “Poemes Majeurs” di Jean de la Cruix (Parigi 1970), “Spagna mia diletta”. Lirici spagnoli del ‘900 (Libri Scheiwiller, Milano 1980), “Crescita di luce” di Paolo Cristiano uscito con L’Arco/Roma nel 1983, arricchita da 1 acquaforte realizzata en plein air il 2 agosto 1980, in una giornata indimenticabile trascorsa nel bosco di Castronuovo, “Sella del Titolo”, insieme alla moglie Dina, alla famiglia Palumbo venuta da Matera e ai tanti castronovesi che avevano fatto di Ortega un loro concittadino. Di non minore importanza i manifesti per le mostre dedicate alla Edizioni di Vanni Scheiwiller, a Roma (Studio Internazionale d’Arte Grafica L’Arco, 1974) e a Parigi (Centre Pompidou, 1981), avendo a fianco L’Arco Edizioni d’Arte Roma, con serate memorabili nei rispettivi studi dell’artista dove confluiranno i più bei nomi della cultura internazionale.
Castronuovo, proprio come per Sinisgalli, Consagra, Maccari, Scheiwiller, Strazza, Carlo Belli, Cetrangolo, Adamesteanu, Mazzarone, Giovanni Russo, Giulia Napoleone, Pierro, Bonaviri, Pugliese Carratelli, Fonseca, Bronzini, Goetz, Raphael, Perilli, Scialoja, diventa per Ortega un “piccolo paese che si ascolta, insegue le stagioni, tra ulivi, grano e vigne, ginestre, cardi e rovi carichi di more, querce, castagni e noci, propri della Lucania semplice e genuina dove la passionalità-religiosità sono i poli di un mondo popolare che raccoglie da secoli folclore e storia. E ama l’arte. Perciò è una realtà in movimento”.
Ortega, a Castronuovo, spesso portato da Mario Trufelli, da Franco Palumbo, da Giuseppe Selvaggi o dagli amici di Bosco, attraversa vicoli, entra nelle case, gira nei boschi, parla con tutti, mangia e canta con quel suono profondo che Rafael Alberti definì “ortegano”, disegna e dipinge, scrive pensieri su foglietti che lascia a chi li chiede, incide lastre che poi andranno ad impreziosire i libri di quanti lo hanno raggiunto da Roma o dalla Spagna, discute con Adamesteanu della città fortificata del IV secolo che attende di vedere la luce nell’area dei “Tre confini” (Castronuovo-Roccanova-Chiaromonte), ascolta Palumbo recitare, in dialetto materano, le poesie in seguito raccolte da Franco Vitelli nel canzoniere “U rispir du vicinonz” (molti ricordano ancora Cirnonn vint / Setacciando il vento), concede una nuova intervista a Trufelli per il telegiornale di Basilicata, progetta con Vanni Scheiwiller libretti e viaggi, gareggia con Maccari a chi disegna senza alzare il pastello dal foglio di carta completandolo nel più breve tempo possibile, racconta la nascita di “Estampe Populaire”, l’incontro con Picasso a Vallauris, le prime esperienze di litografo affrontate nel 1952 con la cartella “La Terreur”. Piazza Castello, non solo in agosto per le “Serate della cultura”, diventa l’agorà indicata da Giovanni Pugliese Carratelli.
La mostra racconterà tutto questo, evidenziando le tante letture e i molti padri di Ortega, da Josepp Renau, un classico della propaganda politica visiva, al Picasso spagnolo del 1934-1938 la cui soluzione espressiva affascinerà tutta l’Europa. E Alberto Sànchez Pérez, lo scultore toledano morto nel 1962, e Gonzales de “La contadina di Montserrat”, e Goya dei “Disastri della guerra”. Di qui parte la ricognizione formale del repertorio linguistico di Ortega che filtra di continuo i riferimenti alle antiche tradizioni della cultura popolare. Intrusioni e contaminazioni operano recuperi, prove di stile e innovazioni, prima attraverso la grafica (che, alla ricerca di una nuova forma espressiva, utilizza anche il carborundum di Henri Goetz e il metodo Hayter, li combina, sempre in stretta collaborazione con gli stampatori) e poi mediante la cartapesta che gli offre la possibilità di realizzare originali-multipli di forte immediatezza visiva, di intenso lirismo, dalle piatte campiture e dalla pennellata veemente. Al centro, il disegno che, con enorme attualità, scandisce l’assurdo, il tragico, il farsesco e l’illogico della violenza e della guerra che scompone nell’uomo la propria identità. Aveva scritto nel 1972: “Per me l’arte non è un passatempo, un giuoco che diverte. Io sento oggi la stessa necessità che Dürer sentiva ieri: una necessità di legge morale, una necessità di ordine etico”.
La sera dell’inaugurazione, per una testimonianza sulla mostra e sui rapporti Ortega-Palumbo, Giuseppe Appella e Giuseppe Palumbo si collegheranno in remoto da Roma e da Bologna.
Biografia Josè Ortega
José Ortega nasce nel 1921 a Arroba de los Montes, nella Mancia, la terra fantasiosa dell’epopea di Don Chisciotte. La sua famiglia si stabilisce a Madrid nel 1934. Qui, quando esplode la guerra civile spagnola, è già un artista contestatore. Lavora in uno studio di pittura e decorazioni e dipinge manifesti. Si iscrive al partito comunista, viene condannato a 10 anni di prigione (1947). Liberato nel 1952, si iscrive alla Scuola Nazionale di Arti Grafiche e al Circolo Libero delle Belle Arti di Madrid, diventa uno degli animatori di “Juglarìa”, un gruppo di giovani intellettuali, responsabile del primo programma di opposizione al regime franchista stilato in ambito culturale. In questo contesto pubblica “El terror” (dieci xilografie), testimonianza della sua esperienza in carcere e di denuncia contro il regime terroristico spagnolo. Nel 1953, con una borsa di studio dal governo francese, studia alla “École Estienne” e all’“École des Beaux Arts” di Parigi. Ritorna in Spagna fra il 1954 e il 1959, vivendo in clandestinità. Vince un premio per la grafica a Varsavia nel 1955, viaggia in Cina nel 1957, fonda il gruppo “Estampa popular” e pubblica il manifesto “Arte Contro” nel 1958. Ormai in esilio a Parigi, fra il 1962 e il 1970, viene considerato uno dei principali artisti spagnoli della nuova generazione, tanto da essere incluso nella grande rassegna dedicata nel 1964 ai “Peintres d’Espagne”. Numerose le mostre, in Francia e all’estero (Parigi, St. Louis, Toronto, Filadelfia, Torino, Roma, Zurigo, Essen, Lussemburgo, Bruxelles, Colonia, Amburgo, Minden, Basilea, Salisburgo). Nel 1959 è ad Albisola dove realizza un nucleo di ceramiche ed entra in contatto con alcuni fra i più noti artisti contemporanei come Lam, Jorn, Appel, Fontana e Sassu. Nel 1963 il Congresso Internazionale di Critici d’arte di Verucchio, presieduto da Giulio Carlo Argan, gli assegna una medaglia d’oro per la sua arte e per il suo impegno a favore della libertà. Nel 1964 è a Roma per la mostra a La Nuova Pesa. Del 1968 è “Il pitocco” di Francisco de Quevedo, del 1968-1969 sono “Le quattro stagioni”, del 1969-1970 i “Segadores”, del 1972 il ciclo di 60 incisioni «Ortega + Dürer » esposte al Museo di Norimberga, al Castello Sforzesco di Milano, alla Galleria Punto di Valencia, alla Galerie Guyot e al Salon de Mai di Parigi, Alla Galerie Kriekar di Amsterdam, alla Galerie Blumen di Lugano. Da questo momento, il suo lavoro si svilupperà sempre per serie. Fissa i suoi ateliers a Roma (1964) e a Matera (1973). Nel 1976, rientrato in Spagna, espone i cicli Passarono e Morte e Nascita degli Innocenti alla Galeria Jolas Velasco di Madrid, al Museo di Bellas Artes di Bilbao, alla Galeria Punto di Valencia. Nel 1980 mostra retrospettiva ad Almagro, nella Mancia, nella Galleria Fucares e nella Chiesa di San Augustin. Il sindaco ne ordina la chiusura il giorno dopo l’inaugurazione. Fissa definitivamente il suo studio a Bosco di San Giovanni a Piro. A partire dagli anni Ottanta la sua opera evolve verso una figurazione meno schematica, tinta di metafisica e impregnata di mistero. La sua ultima personale, con opere dal 1964 al 1990, è alla Galleria Appiani Arte Trentadue di Milano. Muore a Parigi il 24 dicembre 1990.
La mostra resterà aperta fino al 28 febbraio 2023, tutti i giorni tranne il lunedì, dalle ore 17.00 alle ore 20.