Venerdì 18 novembre 2022 alle ore 18 presso il Museo CIvico di Bari è in programma l’inaugurazione di “Occhi: il fiume sotterraneo del dolore”, mostra-omaggio a Pasolini dell’artista Claudio Vino.
Di seguito i particolari.
Un omaggio a Pier Paolo Pasolini in occasione delle celebrazioni per il centenario della sua nascita sarà la mostra personale di Claudio Vino intitolata “Occhi. Il fiume sotterraneo del dolore”. L’artista barese esporrà per la prima volta ventinove quadri a carboncino acrilico e gomma lacca su cartone grezzo di scarto (misure cm 70×70), ultima serie di una produzione che da diversi decenni lo vede impegnato nella ricostruzione visiva di una sorta di ‘iconografia’ del grande scrittore e cineasta, fra‘ostensione’ del corpoe rielaborazione figurativa dei temi delle sue opere. Fortemente voluta e sostenuta dall’Accademia Pugliese delle Scienze, la mostra sarà ospitata nella bella sede del Museo Civico di Bari, una casa palazziata di origine medievale, alle porte del centro storico, che per l’occasione potrà rievocare la celebre Torre di Chia, nei pressi di Viterbo, di cui Pasolini si innamorò sin dal 1963, riuscendo poi ad acquistarla e ad abitarla–come in una sorta di eremitaggio intellettuale negli ultimi anni della sua vita. Presentata da un testo di Roberto Chiesi (responsabile del Centro studi-Archivio P.P. Pasolini presso la Cineteca di Bologna) la mostra è de-
dicata alla memoria di Angela Felice, italianista e docente, a lungo attenta e partecipe osservatrice dell’opera di Vino, direttricedal 2009 al 2018 delCentro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa
della Delizia, il quale ha concesso per questa occasione il proprio Patrocinio, insieme a un indirizzo di saluto.
L’inaugurazione si terrà al I piano del Museo Civico(strada Sagges, 13), venerdì 18 novembre alle ore 18, con interventidell’artista, del Presidente dell’Accademia Pugliese delle Scienze prof. Eugenio Scandale,del prof. Daniele M. Pegorari, membro dell’Accademia e sociologo della letteratura, e dell’attore Lino De Venuto.
Nell’ambito di questa iniziativa si collocherà altresì, il 23 novembre alle ore 15, la sessione di studiPasolini icona(con la partecipazione di Roberto Deidier, Fabio Pierangeli, Angela B. Saponari, Loredana La Fortuna e dello stesso Pegorari) che si terrà nella sala conferenze al piano terra del Museo Civico, coni patrocini del Comitato ‘Pasolini 100’, della Cineteca di Bologna, del Ministero della Cultura e del Dipartimento di Ricerca e Innovazione Umanistica dell’Università degli studi “Aldo Moro”.
La mostra Occhi: il fiume sotterraneo del dolore sarà visitabile fino a domenica 27 novembre, dalle 9,30 alle 13,30 e dalle 16,30 alle 19,30 (a esclusione della domenica pomeriggio e del lunedì).
Di seguito la recensione della mostra a cura di Roberto Chiesi del Centro Studi-Archivio Pier Paolo Pasolini di Bologna
Dopo la sua morte tragica, avvenuta a metà di un decennio – gli anni ‘70 –emblematico di complesse trasformazioni politiche e sociali e di utopie ancora vive, nonostante i processi di massificazione già in atto da tempo, Pier Paolo Pasolini è diventato, fra l’altro, il simbolo della coscienza dell’Italia come Paese mancato, come Paese malato e al tempo stesso l’incarnazione di una volontà di credere, nonostante tutto, ancora e sempre, ai valori della cultura, dell’arte, di un’ideologia civile e sociale che combatte per gli emarginati, i diseredati, gli esclusi, gli ultimi e in
nome dell’identità ideale, antica e culturalmente differenziata, di un Paese che, appunto, non ha potuto essere ma che avrebbe dovuto essere.
Negli ultimi anni di vita, Pasolini probabilmente non credeva più nella concreta possibilità della palingenesi del Paese ma ha continuato a combattere fino all’ultimo come se ci avesse creduto.
Questa irriducibilità è stata condivisa e fatta propria da tanti italiani, feriti dal drammatico degrado della penisola, che hanno visto in Pasolini il simbolo di un artista che si contrapponeva, in tutto e per tutto, all’identità dell’intellettuale italiano di corte, di salotto e di salotto televisivo, pur occupando un posto centrale nell’industria culturale italiana e frequentando anche i salotti, televisivi e non, ma sempre senza perdere la propria dignità, la propria diversità, un’autenticità che si esprimeva nell’esigenza di esprimere sinceramente le proprie idee anche quando venivano avversate o esecrate. Al di là del dramma oscuro ed anch’esso emblematico della sua morte, Pasolini è sempre stato un artista tragico, un artista che incarna le più profonde connotazioni del dolore: dolore per la condizione umana, per le sofferenze degli ultimi, per il mistero della morte ma un dolore che convive contraddittoriamente con un’inesauribile volontà di vita. La coscienza civile e il sentimento tragico del dolore umano sono due elementi che hanno da sempre reso profonda e intensa la passione di Claudio Vino per Pasolini, un autore con cui ha condiviso, fin dalla giovinezza, anche l’interesse per l’arte figurativa: Vino infatti si è diplomato
all’Accademia di Belle Arti di Bari con una tesi su Francis Bacon, proprio uno dei grandi amoripitt orici pasoliniani.
Nel pensiero di Pasolini, nella sua irriducibilità, Vino ha riconosciuto qualcosa di essenziale di se stesso – il rifiuto di rassegnarsi alla degradazione del paese – e, come altri artisti prima di lui chevollero ritrarre la fisicità del poeta-regista (da Federico De Rocco a Renato Guttuso e oltre), anch’egli è rimasto affascinato dal suo volto “barbarico”, dall’espressività dei suoi lineamenti, dai loro segni marcati. Per la prima volta ha esposto in questa mostra i ventisei ritratti – realizzati ora a matita bianca, ora a carboncino o a sanguigna – che ha disegnato nel 2014 su una materia umile e abbandonata, quindi una materia idealmente “pasoliniana”: cartoni trovati accanto ai cassonetti dell’immondizia.
Per le sue opere grafiche, Vino si è spesso ispirato alla letteratura (si pensi ai suoi ritratti di uno scrittore lontano da Pasolini come Dino Buzzati) e dalla letteratura deriva anche il titolo della mostra che allude al “fiume sotterraneo del dolore” di Gadda. Ma il primo aspetto che colpisce dei disegni di Vino è la dimensione fisica, corporale, materica.
Ispirandosi alle fotografie che ritraevano Pasolini, l’artista barese è riuscito in alcuni dei suoi ritratti a cogliere la forte, magnetica corporalità del volto di Pasolini e non è un caso che fra i disegni più riusciti ci siano quelli che si misurano con l’immagine del suo volto negli ultimi anni di esistenza.
Quando Pasolini era costretto a convivere con un senso di sconfitta di quelli che erano stati i propri modelli di ispirazione per una vita intera: il popolo, il sottoproletariato italiano che vedeva abbruttito irreversibilmente in un processo di massificazione e di emulazione dei codici di quella piccola-borghesia che egli aveva sempre aborrito.
Questa coscienza della fine di un’utopia e la volontà di non rassegnarvisi mai, nonostante tutto, conferiva al corpo e in particolare al volto di Pasolini una tensione tragica che si fondeva alla sua naturale, spontanea voracità di vivere, anche alla sua avida sensualità.
La si può vedere nel ritratto n. 10 (Abbazia di S. Antonio), dove Vino si è ispirato ad una fotografia degli anni ‘70 in cui Pasolini posava al sole con una canottiera aderente al corpo e che gli lasciava scoperte le braccia. Ma Vino lo ha disegnato, invece, immerso nella penombra dell’abbazia (quindi un corpo “sconsacrato” in uno spazio sacro) con i lineamenti del volto come tagliati nel legno dall’oscurità, senza che si vedano né le braccia né il torace ma soltanto il volto e il collo. E lo sguardo di Pasolini, ritratto da Vino, è ancora più duro di quello che fu catturato dalla fotografia, e fissa chi lo guarda dritto negli occhi, come se lo accusasse in silenzio. Alle sue spalle, oltre una colonna, si intravede una scultura del centauro con Giasone bambino sulla groppa, un’allusione al film Medeama anche alla contaminazione fra mitologia pagana e cristiana. Una durezza terrea, livida, anch’essa accusatrice, la ritroviamo nel ritratto n. 9, che invece è in piena luce e si ispira ad una fotografia di Pietro Pascuttini. Nel ritratto n. 13, invece, l’autore si è ispirato ad una fotografia di scena di Mimmo Cattarinich per il film I racconti di Canterbury(1972), dove il regista impersonava Chaucer, ma il volto, nel disegno di Vino, è diventato una superficie satura, bianca,
calcificata, mortuaria, dove il lieve sorriso delle labbra è come un taglio e la forza è tutta nella luce dello sguardo, scuro e profondo. Sempre da una fotografia di Cattarinich e dallo stesso film, deriva anche il ritratto n. 16 (Bologna) dove Pasolini guarda dal basso in alto ma, rispetto alla fotografia, Vino ha accentuato la luce ambigua dello sguardo, che sembra al tempo stesso aggressivo, di belva pronta a scattare, e di una tristezza infinita, mentre sullo sfondo, in una lontananza siderale, si intravedono le torri della Bologna della sua giovinezza e formazione.
Vino si è ispirato anche ad immagini degli anni ‘60, con risultati a volte felici, come nel ritratto n. 5 che si intitolaValvasonema in realtà è ispirato ad una bella fotografia del grande Mario Dondero che ritraeva il regista mentre stava lavorando al montaggio del filmLa rabbia(1963). Anche in questo caso Vino ha saturato il volto rendendolo una maschera bianca e mortuaria dove spicca la voracità misteriosamente dolce degli occhi. Occhi che diventano minuscoli, pungenti, nel ritratto n. 2 (Viterbo), dove sono la forma degli zigomi e le ossa del volto ad essere valorizzate. Atroce, inevitabimente, è il ritratto n. 21 (Idroscalo di Ostia) dove una celebre fotografia del
cadavere di Pasolini, con la testa e i capelli fradici di sangue, diviene un’agghiacciante macchia nera che evoca la brutale, efferata riduzione di quell’uomo a cosa, a oggetto.
Agli antipodi si colloca il ritratto n. 1, l’unico che ritragga Pasolini ragazzo, ai tempi del fascismo (richiamato anche da un manifesto con Mussolini sullo sfondo): il volto del giovane è privo di ombre e chiuso in una determinazione evocativa di un dolore già presente, che evidentemente risale alla sua famiglia. Di tutt’altro genere sono i disegni 22 e 23 che, provocatoriamente, ostentano un grembo e i glutei di un corpo allenato, che potrebbe essere quello di Pasolini come di un ragazzo e che ricordano i disegni di Renzo Vespignani,Come mosche nel miele, realizzati proprio in omaggio all’autore diScritti corsari.
Un omaggio affettuoso e doloroso di Vino chiude invece questa mostra: è il ritratto di Angela Felice, la studiosa di teatro e di Pasolini scomparsa all’improvviso nel 2018, donna di grande sensibilità e intelligenza che manca così crudelmente a chi l’ha conosciuta e apprezzata.