Vincenzo Castoro, Vice Presidente ADAF di Matera ed Emanuele D’Adamo, Consigliere Nazionale FIDAF di Roma in una nota congiunta intervengono sulla questione del cereale e ne contestano l’uso generico in botanica e politica agraria.
Sul tema specifico se i cereali rappresentano più famiglie omogenee oppure è oggi necessario un netto distinguo tra le stesse, in qualità di esperto del settore, interviene Vincenzo Castoro. L’argomento, riferisce il Vice Presidente ADAF, dell’Associazione Dottori in Scienze Agrarie e Scienze Forestali della provincia di Matera, si è riacceso recentemente nei contesti post Covid e della guerra Russia-Ucraina e si è esacerbato per le problematiche in corso legate alla ridotta disponibilità di generi alimentari a base di cereali sia a livello nazionale che e internazionale. È noto che per “cereale” si intende quel raggruppamento di piante che producono semi ricchi di amido, che una volta macinati danno origine a vari tipi di farine usate per ottenere pasta, vari prodotti da forno (pane, pizze, focacce, biscotti, taralli, ecc.), polenta e tanti altri prodotti per essere destinati per l’alimentazione umana o zootecnica e per l’industria. Trattasi di piante coltivate in tutto il mondo e comprendono una serie di specie vegetali, come ad esempio amaranto, avena, chia, farri (monococco e dicocco), vari grani (duro, tenero, saraceno, turanico), mais, orzo, riso, segale, sorgo, spelta, teff, triticale, quinoa, etc. che per le loro differenziazioni si intuisce che la definizione di “Cereali” non è un termine botanico bensì una derivazione storico-culturale; un concetto letterario derivante da Cerere (Ceres, dea romana delle messi e dei campi) che sta ad indicare una serie di piante non accumunate da un punto di vista biologico-vegetale in quanto, riferisce l’esperto
Castoro, trattasi particolarmente di famiglie e classi botaniche diverse e alcune anche molto distanti tra loro. Nello specifico, aggiunge ancora l’agronomo, mentre i cereali più diffusi e più importanti per l’alimentazione dell’uomo e degli animali (come il mais, il grano duro, il grano tenero, il grano turanico, l’avena, il riso, l’orzo, la segale, il farro monococco, il farro dicocco, la spelta, il sorgo, il triticale e il teff) appartengono tutte alla sola Famiglia delle Graminacee (o Poacee) e alla stessa Classe botanica delle Monocotiledoni, altre invece appartengono alla classe delle Dicotiledoni e a famiglie diverse. Infatti, l grano saraceno appartiene alla Famiglia delle Poligonacee; l’amaranto a quella delle Amarantacee; la quinoa alla Chenopodiacee, la chia alla Famiglia delle Lamiaceae. A prescindere dagli aspetti strettamente botanici, riferisce ancora Vincenzo Castoro, è intuitivo la loro differenziazione anche in termini di esigenze pedoclimatiche, di tecniche colturali, di processi di trasformazione e di problematiche economiche e organizzative differenti in termini di rapporti di filiera, di prezzi, di costi di produzione, di mercati di destinazione e dei prodotti trasformati. Limitandoci a livello nazionale, ad esempio, è noto che il grano duro è coltivato prevalentemente nel sud Italia, in asciutto, e trova il suo principale impiego nella produzione di pasta; mentre il grano tenero è utilizzato per la produzione di pane e altri prodotti da forno e viene coltivato soprattutto nel nord Italia. Il mais è parte del paesaggio rurale del nord Italia, coltivato in irriguo per l’alimentazione del bestiame, mentre l’orzo trova impiego anche per la produzione della birra.
Ci si chiede di conseguenza: perché considerare alla pari piante, coltivazioni e filiere eterogenee discordanti tra loro? È lecito intendere, in modo surrettizio, che i cereali, a prescindere della loro diversità, sono interscambiabili e conseguentemente sono tutti delle commodity ? È corretto affrontare le problematiche tecniche ed economiche legate alle varie coltivazioni e alle singole filiere senza considerare le loro specificità botanica? A inficiare sul tema del perché nelle interlocuzioni tecniche, politiche e di mercato si parla genericamente di cereali e non si punta a differenziare la loro specificità produttiva, interviene anche Emanuele D’Adamo, Consigliere nazionale della Federazione Italiana dei Dottori in Sc. Agrarie e Sc. Forestali (FIDAF) il quale riconosce che le motivazioni edotte sul semplice concetto di “cereale” sono da intendersi più in chiave di rapporti di politica relativi allo scambio internazionale delle merci che per l’effettiva destinazione d’uso. In tutto ciò i tecnici Castoro – D’Adamo concordano nel fare chiarezza sull’argomento e intervengono al fine di potersi determinare un netto distinguo soprattutto commerciale tra le produzioni e per evitare interventi inappropriati di politica agraria e commerciale sulle singole filiere. Parlare di “Cereali e di cerealicoltura” in modo generico, riferiscono i due tecnici, non rende un buon servizio alla filiera produttiva e alla collettività e che occorre intervenire in modo specifico nel settore per avere maggiore conoscenza delle problematiche in essere. Per valorizzare la filiera del grano duro, che maggiormente interessa le aree del sud Italia,, si dovrebbe puntare non solo all’incremento.
delle superfici e delle produzioni ma puntare su un sistema di qualità che rilanci cultivar di pregio per la produzione di pasta, pane e prodotti dolciari d’origine controllata ed etichettata; ad un sistema puntuale di monitoraggio delle produzioni; all’introduzione delle innovazioni lungo tutte le filiere interessate che possano incentivare l’aggregazione dei produttori e l’integrazione tra gli anelli della filiera per la quale è necessario il rilancio di settore mediante la certificazione a marchio di origine delle produzioni a base di grano duro di qualità cosi come ad es. il Cappelli di recente re-introduzione sul mercato agro-commerciale.