OSAPP (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) ha inviato una lettera alle autorità competenti per chiedere l’urgente emanazione di un adeguato protocollo operativo sull’uso della forza e dei mezzi di coazione fisica nelle carceri italiane in linea con le regole penitenziarie europee. Di seguito la nota integrale.
Questa Segreteria Generale ha avuto modo di rilevare che il Personale di Polizia penitenziaria, nell’esercizio delle corrispondenti funzioni di polizia di sicurezza e giudiziaria, all’interno degli istituti penitenziari “violentati nel loro prescritto vincolo di destinazione”, non dispone per l’adempimento dei prescritti doveri istituzionali di un prontuario operativo sull’uso della forza e dei mezzi di coazione fisica.
Invero, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, oltre a disattendere da oltre venti anni la norma sulla distribuzione dei detenuti ex art.115 del DPR 230/2000 mostra una inaccettabile impermeabilità e resistenza alla concreta attuazione della normativa sovranazionale.
Altrettanto ed ad oggi il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e, nell’individuazione di una adeguata politica penitenziaria i Responsabili del Dicastero della Giustizia, non hanno adottato alcuna iniziativa anche normativamente orientata, per lo svolgimento in sicurezza dei compiti d’istituto demandati al Personale del Corpo di Polizia penitenziaria.
In considerazione di ciò ed al fine di conformare l’attività di Polizia alle prescrizioni di diritto interno e sovranazionale, si rappresenta quanto segue:
– l’art 1 della legge 395/1990 recante l’ordinamento del Corpo di Polizia penitenziaria stabilisce che il Corpo fa parte delle Forze di Polizia che com’è noto, sono espressamente contemplate dall’art.16 della Legge 121/1981 (cd. ordinamento della pubblica sicurezza);
– i compiti istituzionali della Polizia penitenziaria sono delineati dall’art.5 della predetta Legge 395/1990 che si apre con un richiamo alle leggi e i regolamenti nella prospettiva della tutela dell’ordine e della sicurezza all’interno degli istituti penitenziari – in cui si applica e vige la legge – e dei servizi correlati ( traduzioni e piantonamenti);
– sul piano della normativa di diritto interno, l’art.13 della Costituzione evoca, tra l’altro e per quel che rileva in questa sede, i casi e modi di “restrizione della libertà personale” che, per quel può realizzarsi nell’uso dei mezzi di coercizione/coazione fisica di cui fanno parola l’art.53 del codice di procedura penale (uso legittimo delle armi e dei mezzi di coazione fisica) e l’art.41 della Legge 354/1975 impiego della forza fisica e uso dei mezzi di coercizione.
A dette previsioni, di per sé già sufficienti ad indurre il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria – ratione materiae – a disciplinare l’impiego della forza fisica e l’uso dei mezzi di coercizione si sovrappone e fa da ombrello l’analitica disciplina delle regole penitenziarie europee che rappresentano fonti normative dell’ordinamento sovranazionale, cui la legislazione italiana, ai sensi dell’art 117 Cost deve conformarsi.
Il paragrafo 64.1 della R(2006)2 stabilisce che Il personale penitenziario non deve utilizzare la forza contro i detenuti, salvo in caso di legittima difesa, di tentativo di evasione, o di resistenza attiva o passiva a un ordine legittimo e comunque sempre come ultima risorsa.
La sottolineatura grafica delle enunciazioni in positivo della norma (che comunque rappresenta l’estrema ratio all’interno di una organizzazione degli istituti penitenziari in linea con la prefigurazione dell’ordinamento – disattesa da oltre venti anni, per l’elusione dell’art.115 del DPR 230/2000 -) serve solo per agevolare la lettura di una evenienza che l’ordinamento contempla.
In detta norma sovranazionale si condensano alcuni elementi degni di approfondimento.
L’uso legittimo della forza e quindi dei mezzi di coazione fisica (di cui all’art.53 cp quale norma di carattere generale e art.41 lp quale norma di di carattere speciale) secondo un imprescindibile principio di proporzionalità.
Proporzionalità vuol dire, per esempio, che in caso di accompagnamento coattivo di un testimone in udienza, certamente l’operatore di Polizia non lo lega mani e piedi, ma utilizza solo ed esclusivamente le manette in dotazione.
Tale procedura è replicabile qualora un detenuto opponga resistenza a liberare una cella in cui si è consumata una rissa o nella quale è stata rinvenuta droga.
Attraverso dette prime indicazioni si intende esplicitare, dunque, quali sono le norme di diritto interno e sovranazionale che legittimano l’uso della forza e dei mezzi di coercizione/coazione fisica.
Per rendere agevole le modalità di impiego dei presidi di sicurezza (mezzi di coercizione) si ritiene opportuno ribadire le prerogative di status del Personale di Polizia penitenziaria, abbinandole ad un caso esplicativo.
La Polizia penitenziaria, come detto, ai sensi dell’art.16 della legge 121/1981 fa parte delle Forze di Polizia ed il personale riveste le qualifiche di polizia giudiziaria e sicurezza
L’art.51 cp disciplina “l’adempimento del dovere” ossia l’esecuzione di un compito prescritto dalla legge.
Il dovere istituzionale della Polizia penitenziaria si sostanzia schematicamente nell’esecuzione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale di soggetti “catturati” – per dirla con le parole delle ordinanze cautelari – dalla PG esterna che procede all’arresto secondo le modalità previste dall’art.95 disp att cpp e gli adempimenti dell’art.386 n.4 cpp
Superfluo indugiare su come avviene l’arresto in caso di resistenza; se il destinatario della misura fugge e si nasconde sotto un auto, ovvero si aggrappa a un lampione o sale su un tetto, la sua resistenza passiva può essere superata dalla polizia operante con l’uso della forza, in adempimento del dovere di eseguire la misura disposta dal giudice.
In tal caso, è ammesso ai sensi dell’art.53 l’uso dei mezzi di coazione fisica.
Trasponiamo la vicenda riprendendo l’ipotesi di accompagnamento coattivo di un teste in udienza.
Il giudice ordina la comparizione del testimone che è un soggetto detenuto per altra causa. Lo farà la Polizia penitenziaria e dubbi sulle modalità non ve ne sono; se il soggetto detenuto – da accompagnare coattivamente – dovesse barricarsi in cella nulla vieta nell’adempimento del dovere di vincere la resistenza e, quindi, procedere “con la forza” al prelievo e alla traduzione del soggetto mediante il ricorso alla scriminante di cui all’art.53 cp.
Sempre nell’ambito dell’esecuzione del provvedimento restrittivo che limita la libertà della persona detenuta, vi sono tutta una serie di norme di comportamento che disciplinano la vita penitenziaria (art.32 della Legge 354/1975) cui il detenuto deve conformarsi.
Per dare la misura della questione, un richiamo alle operazioni di polizia nella società libera, potrebbe essere utile: nel caso dell’occupazione abusiva di un edificio pubblico (una scuola) le persone vengono allontanate coattivamente attraverso l’intervento della forza pubblica – che a ben vedere viene spesso contemplata per l’esecuzione degli sfratti nelle civili abitazioni.
Ed allora, nel caso di “resistenza” di un detenuto a liberare una cella, cosa impedirebbe all’appartenente alla Polizia penitenziaria di “prelevarlo con la forza” e darne notizia al Pubblico Ministero per il reato di resistenza (e se del caso ai sensi dell’art.639 c.2 tenuto conto che quello del carcere è un edificio pubblico)?
Delineata, quindi, seppure a grandi linee, la legittimazione all’uso della forza possiamo approdare ad una prima conclusione:
il pubblico ufficiale id est il poliziotto penitenziario è titolare di un dovere cui deve adempiere (come prescrivono l’ordinamento del Corpo ed il Regolamento di servizio ).
Qualora l’adempimento venga contrastato da una violenza o resistenza (anche passiva) occorre, nel rispetto del principio di proporzionalità (ad es. non si spara alle gambe una persona che si può sollevare con la forza per contrastarne la resistenza passiva), fare ricorso ai mezzi di cozione fisica e come si deve procedere sul versante concreto ce lo dice il §64 R (2006) 2 delle Regole penitenziarie europee la cui diretta applicazione nel nostro ordinamento è incontroversa e prevale sulle laconiche disposizioni dell’art.41 lp.
Il testo del punto 1 della regola 64 lo abbiamo citato in premessa e ora lo riproponiamo: 64.1 Il personale penitenziaria non deve utilizzare la forza contro i detenuti, salvo in caso di legittima difesa, di tentativo di evasione, o di resistenza attiva o passiva a un ordine legittimo e comunque sempre come ultima risorsa.
Non ci si meravigli, pertanto ed in conclusione, che per esprimere l’irrinunciabile esigenza di chiarezza e di trasparenza oltre che univocità degli interventi interni agli Organi ed agli Enti dell’Amministrazione penitenziaria nelle costanti condizioni di emergenza, ci si trovi a citare norme e persino esempi che dovrebbero essere ben conosciuti alla generalità degli addetti, laddove è poi la colpevole assenza di disposizioni generali e di carattere operativo con conseguente mancata assunzione di responsabilità in chi pure provvede (ed è proporzionalmente retribuito) per la generale organizzazione dei settore, che rende confuse le iniziative e lascia alla scelta ed alle conseguenti responsabilità amministrative e/o penali i meri esecutori.
Per tali ragioni incombe sull’Amministrazione penitenziaria centrale l’obbligo di disciplinare mediante un apposito prontuario operativo, ad oggi inesistente, di cui dotare gli appartenenti al Corpo nonché da utilizzare nei corsi di formazione da allievo agente di Polizia penitenziaria, l’uso della forza e dei mezzi di coazione fisica con riferimento:
1) al livello della forza impiegabile;
2) alle procedure per l’uso (lo dispone il preposto, il coordinatore, il comandante, il direttore….)
3) alle modalità (si spintona il detenuto, si afferra per i piedi, per le braccia….)
4) alla possibilità di negoziazione…
Nel richiedere, quindi, e per quanto di competenza, l’autorevole iniziativa nei confronti dell’inadempiente Amministrazione penitenziaria centrale, ovvero e anche di conoscere l’avviso dell’on.le Ministro Guardasigilli del Vice Ministro e del Sottosegretario Delegato, si ringrazia e in attesa di gentile riscontro in merito alle determinazioni adottate, si inviano distinti saluti.-