Mercoledì 15 marzo 2023 al Cinema Guerrieri di Matera è in programma il film Saint Omer di Alice Diop (Francia 2022) per “Il cineclub” di Cinergia.
Orari: 17:30 – 19:35 – 21:40
Posto Unico: € 5,00
L’immagine fissa di Laurence Coly (Guslagie Malanda), gli occhi demoniaci, la maglia color pelle d’immigrata
senegalese, lievita in un clima di suspense. Perché ha ucciso la figlioletta di 15 mesi? Una notte d’estate ha
lasciato che l’alta marea di Berck-sur-Mer, nei pressi di Calais (luogo tristemente simbolico), si portasse via
il corpicino, ed eccola ora in tribunale. Giudice e avvocato donne, pubblica accusa uomo. Alice Diop,
all’opera prima di fiction, premiata alla 79ª Mostra di Venezia, si trasfigura nella figura di Rama (Kayije
Kagame), scrittrice e docente parigina (anche lei, come la regista, di origini senegalesi) e osserva, da
documentarista (è una storia vera), il processo. Siamo in una tragedia greca cristallizzata nei tempi sospesi
dal movimento interno, un thriller mentale su una ragazza che non è più “visibile” né in Francia né in
Senegal, dove la chiamano toubab per dire “estranea”, e le proibiscono di parlare wolof, solo francese, la
lingua del successo. L’imputata è un fantasma, e con lei la figlia. Eppure – intelligente, istruita, dizione
perfetta – era una studentessa con l’ambizione di diventare «una grande filosofa», ma, senza risorse, si è
ritrovata a casa di un tipo anziano, gentile e pavido che la nasconde al mondo. Un po’ come succede alla
Diouana di Ousmane Sembène, memorabile cineasta di Dakar, in La nera di… (1966), che, sbarcata in
Francia con grandi speranze, ignorata e umiliata, pian piano svanisce, depressa, folle, suicida. Allucinazioni,
incubi, malocchio, stregoneria… Il vortice emotivo nello sguardo assente di Laurence Coly contamina
l’osservatrice Rama che si specchia – è incinta – nella Madre, e rievoca la sua lezione universitaria
su Hiroshima mon amour di Resnais-Duras, culture avverse, impenetrabili. La Medea di Pasolini volteggia
sul suo display, Maria Callas infanticida. Uccidere per proteggere la propria creatura dalla realtà che eclissa i
corpi non conformi. Come si dichiara? «Non colpevole, non credo di essere io la responsabile». E il PM
attacca l’imbrogliona, bugiarda, manipolatrice. La piccola Elise è stata vittima di un sortilegio? Lei, Medea,
rea confessa, se ne sta impassibile, glaciale, sul banco degli imputati, in attesa del verdetto. «Questa Medea
appartiene alla violenza nefanda di cui è vittima. Medea non si mette in salvo, è una regina, il suo sguardo
implacato guarda quel che avviene. Non senza dolore, ma senza chieder pietà. La sua voce parla dai
percorsi della nostra civiltà, la grecità guerriera e patriarcale, e di quel che ha iscritto nel mito – una storia di
uomini lasciata in mano agli uomini». Così scrive Rossana Rossanda sul libro di Christa Wolf, Medea – Voci, e
sembra ricalcarla l’arringa dell’avvocata (Valérie Dréville) che, manca solo il coro in sottofondo, declama il
dramma come atto catartico, e dice la “mostruosità” delle donne, così umana da essere impermeabile al
disumano. Mostri, chimere, tutte folli davanti ai dominatori. Le cellule del DNA migrano da un corpo
all’altro tra madre e figlio. Laurence Coly ha ucciso se stessa quella notte.