Su 16 impianti monitorati nella Penisola, rilevati 150 punti di dispersioni tra perdite e venting. Ben 128 riguardano perdite da bulloni, giunture, valvole e altre componenti.
In Basilicata 6 impianti monitorati con emissioni significative di metano con 8 casi di rilasci diretti (venting), 33 perdite e 42 punti di emissione totali.
Legambiente si appella al Governo Meloni: “Per contrastare la lotta alla crisi climatica, si acceleri il passo per ridurre le emissioni di metano e dotare l’Italia di norme stringenti che impongano attività di monitoraggio, rilevamento e riparazione delle perdite negli impianti oltre a un cambio di rotta delle politiche energetiche. No all’hub del gas, sì a quello delle rinnovabili”
Nella lotta alla crisi climatica, l’Italia deve fare i conti anche con il problema delle dispersioni di metano in atmosfera da impianti che trattano fonti fossili. Una questione su cui il Paese deve intervenire al più presto, a partire dal settore energetico, dotandosi anche di una normativa stringente per rendere monitoraggi e controlli obbligatori negli impianti. A parlar chiaro i dati di bilancio finale della campagna “C’è puzza di gas. Per il futuro del Pianeta non tapparti il naso”, realizzata da Legambiente e che, grazie al supporto dell’organizzazione internazionale non-profit Clean Air Task Force, ha monitorato e documentato le dispersioni di metano di alcuni impianti energetici della Penisola. Partita a luglio 2022, la campagna C’è Puzza di Gas ha fatto tappa in otto regioni: Sardegna, Sicilia, Basilicata, Campania, Toscana, Emilia- Romagna, Abruzzo, Veneto attraverso flash mob, conferenze stampa, dibattiti e presidi sono stati accesi i riflettori su infrastrutture legate all’intera filiera del gas. Duplice l’obiettivo: da un lato informare e sensibilizzare territori e cittadini sul tema delle dispersioni di metano in atmosfera, dall’altra parte fare pressing sul mondo politico affinché l’Italia e l’Europa approvino regolamenti e norme finalizzati a ridurre nel tempo, fino ad azzerare, le emissioni dirette di gas metano in atmosfera.
In particolare, su 16 impianti monitorati nel 2022 e nel 2023, tra Sicilia, Campania e Basilicata e legati prevalentemente al trasporto di gas come gasdotti, centrali di compressione, impianti di regolazione e misura di gas, pozzi e centrali di trattamento e raccolta di idrocarburi, sono stati rilevati grazie all’utilizzo di una termocamera a infrarossi “FLIR GF320” circa 150 punti di dispersioni diretti. Di questi 128 hanno a che fare con perdite, ovvero emissioni di gas fossile da bulloni, giunture, manometri, valvole, tubature e altre componenti, a testimonianza della necessità di aumentare i monitoraggi, le verifiche e gli interventi. Sono 26, in totale, invece i casi di venting (ossia di rilascio volontario di metano direttamente in atmosfera).
Un quadro preoccupante e che ha portato alla luce numerose criticità, a partire da uno stato generale delle infrastrutture caratterizzate da scarsa manutenzione, da un massiccio utilizzo di pratiche di venting e la mancanza di dati pubblici. Senza contare che il metano ha impatti sull’ambiente e sul clima. Se immesso direttamente in atmosfera può avere infatti un effetto fino a 86 volte più climalterante dell’anidride carbonica per i primi 20 anni. Si stima che a livello globale nel 2021 siano stati emessi in atmosfera ben 126 miliardi di metri cubi di gas solamente dal settore oil and gas, un enorme spreco di risorse oltre ad una minaccia per il clima. Un dato che va affiancato dalle attività di flaring, ovvero combustione in torcia, attraverso le quali nel 2021 sono stati sprecati 144 miliardi di metri cubi di gas. Per questo l’associazione ambientalista rilancia oggi un appello al Governo Meloni affinché si definisca e si adotti una normativa stringente che preveda monitoraggi e comunicazione, ma anche interventi di rilevamento e riparazione delle perdite di metano. In questa direzione, ad esempio, introdurre l’obbligo mensile di condurre attività di rilevamento e riparazione garantirebbe una riduzione delle emissioni del 90%. Dell’80% con una frequenza trimestrale, del 67% semestrale. Allo stesso tempo Legambiente chiede all’Esecutivo un’inversione di rotta per un graduale abbandono delle fonti fossili.
“La crisi energetica del 2022, segnata anche dall’aggressione militare russa in Ucraina, ha mostrato in maniera chiara a imprese, cittadini e amministrazioni pubbliche tutti i limiti della dipendenza italiana ed europea dalle fonti fossili. Una situazione – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente– che in Italia rischia di peggiorare alla luce non solo delle sostanziose politiche di diversificazione degli approvvigionamenti di gas fossile, ma anche a causa dello sviluppo delle nuove infrastrutture fossili su cui ha intensamente lavorato il Governo Draghi per affrontare il tema della dipendenza dal gas russo e che il nuovo Esecutivo Meloni sta proseguendo proponendo al Paese e al mondo l’Italia come il principale hub del gas dell’Europa.Una scelta totalmente sbagliata perché il nostro Paese deve diventare l’hub delle rinnovabili e non quello del gas, attraverso semplificazioni normative, autorizzazioni più veloci e investimenti ingenti su grandi impianti industriali, comunità energetiche, accumuli e reti”.
“Nella lotta alla crisi climatica e per centrare gli obiettivi climatici, l’Italia – aggiunge Katiuscia Eroe, responsabile nazionale energia di Legambiente – deve anche accelerare il passo nella riduzione delle emissioni di metano e dotarsi di una normativa stringente che imponga un’attività di monitoraggio, di misura e intervento costante degli impianti come abbiamo raccontato in questi mesi con la nostra campagna C’è puzza di gas” che ha avuto anche l’ambizione di raccontare un tema decisamente poco noto e discusso informando i cittadini, ma anche parlando al mondo della politica. In questo quadro è anche importante che l’Italia abbia anche un ruolo da protagonista in Europa, spingendo verso la definizione di un regolamento europeo, in discussione in questi mesi, che sia ambizioso e lungimirante con norme stringenti per le importazioni di idrocarburi dall’estero”.
“La Basilicata – sottolinea Antonio Lanorte, Presidente di Legambiente Basilicata – conta circa 120 pozzi di estrazione di idrocarburi, di cui quasi 70 sono produttivi non eroganti, e dunque inattivi, con il rischio che continuino a verificarsi emissioni di metano. La produzione di olio greggio costituisce oltre l’80% di quella nazionale, quella di gas fossile quasi il 35%, mentre la Basilicata è attualmente l’unica regione italiana a produrre GPL. Sovrapponendo i dati della produzione di gas fossile con le perdite stimate che caratterizzano il settore, in generale è possibile che in Basilicata vengano dispersi direttamente in atmosfera tra i 4 e i 36 milioni di metri cubi di gas ogni anno”.
“Pertanto – continua Lanorte – noi riteniamo che debba essere vietato il rilascio (venting) e che la combustione in torcia (flaring) sia limitata ai soli casi emergenziali, dato che le attuali norme affrontano parzialmente il problema. E che, inoltre, vengano monitorati, chiusi e bonificati i pozzi inattivi nel più breve tempo possibile”.
“Inoltre – conclude Lanorte – il tema delle perdite, del rilascio e della combustione in torcia di gas fossile dalle infrastrutture richiama inevitabilmente quello della qualità dell’aria nei territori interessati dalle estrazioni. Ci sono ancora troppe questioni aperte sul monitoraggio delle emissioni di idrogeno solforato, composti organici volatili, idrocarburi non metanici e particolato sottile, in particolare nelle aree dei due Centri Oli di Viggiano e Corleto Perticara”.
Osservati Speciali:
In Basilicata nel 2022 tra i casi analizzati più degni di nota ci sono il pozzo Monte Alpi 4 in Val d’Agri e una stazione di regolazione e misura (REMI) nei pressi di Moliterno. Nel primo caso sono stati individuati due casi di venting, una perdita dall’unità di misurazione e due perdite lungo le tubature per un totale di 5 fonti di emissione. Nel secondo sono state identificate circa dieci fonti di emissione, di cui due per rilascio e 8 perdite da tubature, valvole e connettori.
Ma anche i monitoraggi delle dispersioni effettuati nel 2021 da Clean Air Task Force nei luoghi di produzione e trattamento di idrocarburi dimostrano come questi ultimi siano fortemente interessati da dispersioni volontarie e non volontarie di metano in atmosfera, contribuendo a peggiorare l’attuale situazione climatica e generando un importante spreco di risorse.
Sovrapponendo i dati della produzione di gas fossile con le perdite stimate che caratterizzano il settore, in generale è possibile che in Basilicata vengano dispersi direttamente in atmosfera tra i 4 e i 36 milioni di metri cubi di gas ogni anno.