Franco Vespe esprime alcune riflessioni a seguito della presentazione del libro “Sud il capitale che serve” di Carlo Borgomeo. Di seguito la nota integrale.
Alcuni giorni fa si è tenuta una conferenza per presentare il libro “Sud il capitale che serve” di Carlo Borgomeo. Sostanzialmente il libro sottolinea ed esalta l’importanza della promozione del capitale sociale o umano del Sud per promuovere il suo sviluppo. Finqui niente da eccepire. Come non essere d’accordo! Tuttavia secondo D’Andrea e secondo chi scrive questo non basta!Non ho condiviso l’analisi che ha fatto sui risultati della CASMEZ.
In particolare ha considerato il periodo che va dal 1950, data di fondazione appunto nella cassa per il Mezzogiorno, Ad oggi. in verità la cassa per il Mezzogiorno cessò all’inizio degli anni 80, ovvero dopo trent’anni dalla sua istituzione. Stando alla sua analisi in questo arco di tempo la forbice fra nord e sud è migliorata di soli tre punti: in verità essa passò dal 50% al 60% all’inizio degli anni 70 quando si ebbe la massima riduzione della forbice. Una cosa è certa questa forbice ha ricominciato a crescere negli ultimi trent’anni. la SVIMEZ individua nella creazione delle regioni una causa di questa ri-crescita del divario Nord Sud in questi ultimi anni. Questa informazione ci tornerà utile nel prosieguo del nostro ragionamento. Sempre a suo dire il fallimento della convergenza Nord Sud è dovuta a una sbagliata impostazione delle strategie economiche per il Sud. In particolare contesta l’idea di Pasquale Saraceno che voleva il riequilibrio Del Sud con il resto del paese agendo sulla leva della industrializzazione forzata attraverso le imprese a partecipazione statale. Anche lui cade nella retorica che la promozione del Sud debba prima di tutto avvenire rafforzando l’agricoltura, l’artigianato e il turismo, partendo dal basso e promuovendo il patrimonio umano e sociale. Insomma un classico ragionamento ispirato “dal senno di poi”. In verità per la CASMEZ lo stato mise a disposizione risorse praticamente irrisorie; mediamente stanziando solo lo 0,5% del PIL annuale. Al contrario gli investimenti ordinari, ben più cospicui, sono andati altrove. Basta vedere la cartina delle infrastrutture per rendersene conto! Per capire la irrisorietà delle risorse messe a disposizione della CASMEZ, la Germania post-unitaria in 10 anni, per promuovere il riequilibriocon l’Est, mise a disposizione una quota equivalente di PIL uguale a quello italiano in un anno! La cosa che mi ha fatto sobbalzare tuttavia e stato la proposta di assistere con particolare attenzione ai fragili, portatori, a loro volta, di sviluppo per il Sud. Sobbalzare non perché il servizio ai fragili non debba essere reso. Il mio pensiero piuttosto è andato ai talenti, alle eccellenze, ai cervelli che “regaliamo” ogni anno al mondo intero costringendoli a trovare fortuna fuori dal nostro territorio. Nessuna attenzione concreta viene data dalle politiche nazionali per attrarre le eccellenze del patrimonio umano. Capisco la valorizzazione delle imprese non profit, del loro prezioso valore sociale e di promozione di solidarietà orizzontale di cui il nostro Sud a tanto bisogno. Tuttavia, se vogliamo veramente puntare sul patrimonio umano e sociale dobbiamo preoccuparci di come attrarre intelligenze ed eccellenze al Sud per promuoverne lo sviluppo. Non c’è bisogno di inventarsi nulla Basta vedere i modelli che sono stati utilizzati per lo sviluppo di aree come l’Irlanda la Catalogna, la Polonia e, se non vogliamo andare molto lontano, nel nostro Veneto degli anni 70. La sfida è quella di rendere affascinante il territorio per poter calamitare patrimonio umano attivo e creativo. La realizzazione di infrastrutture strategiche sia reali che virtuali, la realizzazione di una rete di centri di eccellenza con la quale promuovere ricerca ed innovazione tecnologica, la creazione di zone speciali, le cosiddette ZES, agevolazioni fiscali e finanziarie, abbattimento dei costi dell’energia e del credito, il rafforzamento delle reti della conoscenza. Tutte queste leve servono a creare delle convenienze territoriali oggettive e non discrezionali, perché investimenti e patrimonio umano possano trovare affascinantile nostre contrade. Tornando alla dottrina SVIMEZ che ha individuato una sospetta correlazione fra la divaricazione nord sud negli ultimi anni e la istituzione delle regioni;essa di fatto adombra il sospetto che sia stata alimentata dalla intermediazione della politica. In termini più semplici le regioni hanno usato i finanziamenti per lo sviluppo destinati al sud, piuttosto per alimentare filiere clientelari utili ad ampliare il proprio consenso. Borgomeo a tal riguardo ha citato il caso Pomicino a Napoli che si accreditava come un politico capace di attrarre finanziamenti statali nel suo territorio. La verità va poi detta fino in fondo: il mondo cooperativo no profit sociale purtroppo, a volte, è stata parte strumentale di questa intermediazione della Politica. Insomma una delle piaghe Del Sud che ne frenano drammaticamente lo sviluppo è la politica clientelare che entra anche nel merito di chi vince e chi perde nella società. In Basilicata poi abbiamo assistito alla nascita di figure mitologiche come quelle degli assessori sceicchi che hanno conseguito patrimoni elettorali (speriamo solo quelli!) alimentandoli con i proventi derivanti dalle estrazioni del petrolio in Val d’Agri.Chi scrive è ancora convinto che la dottrina Saraceno che ispirò l’intervento straordinario al Sud possa essere ancora declinata nell’oggi. Una società moderna innovatrice assiste ad un flusso della forza lavoro che va dall’industria e dall’agricoltura al terziario avanzato dei servizi. L’innovazione infatti migliora i processi produttivi, li automatizza espellendo forza lavoro per trasferirla nel terziario avanzato dove si inventano invece nuovi lavori. Crediamo erroneamente che lo sviluppo del Sud possa fare a meno della creazione di una struttura industriale e, di conseguenza, di politiche industriali. Il futuro è vero che si gioca nel terziario avanzato e su piattaforme virtuali ed immateriali ma esse devono poggiare su piattaforme produttive agricole ed industriali altrettanto avanzate perché possano creare veri posti di lavoro.
Quindi occorre per il Sud predisporre nuove strategie di sviluppo industriale perché solo l’agricoltura o il turismo, come ottusamente si favoleggia, non possono garantire il pieno sviluppo e la piena occupazione dei nostri territori. In tutto questo occorre ripensare almeno qui in Italia, ad una nuova forma di intervento dello Stato nell’economia. Lo stato deve concepire strategie di intervento che si pongano il problema di creare un moltiplicatore economico, una redditività ed un efficacia dei suoi investimenti. Insomma lo stato deve saper essere anche imprenditore. E’ chiaro che gli investimenti in infrastrutture strategiche siano decisivi per creare questo moltiplicatore. Siamo abituati in Italia a uno Stato che fino ad oggi ha dato poco “ascolto” alla redditività dei suoi investimenti, che si misura in termini di qualità dei servizi erogati. Anche l’intervento pubblico deve rispondere a criteri economici che non possono essere quelli del mero taglio alle spese. Un tipico intervento dello Stato a” perdere” è stato quello del bonus del 110%. Un provvedimento che parte già con uno spreco iniziale a freddo del 10% mai applicato prima d’ora al mondo! Il provvedimento ha avuto un suo positivo impatto per rimettere in moto l’economia del paese, messo in ginocchio dal covid, ma non si può certo pensare che possa essere mantenuto in tempi ordinari e di normalizzazione. La Mazzuccato nei suoi libri ha ampiamente dimostrato quali sono gli investimenti produttivi più efficaci da parte dello Stato. Ha parlato delle attività di ricerca e sviluppo nei settori del militare, spaziale e delle energie alternative i cui prodotti sono state trasferiti al mondo delle imprese e del mercato commerciale.Un settore per esempio che sta oggi esplodendo in termini di fatturato e la cosiddetta Space economy. A distanza di più di sessant’anni dall’inizio dell’era spaziale, dopo ingenti investimenti fatti, finalmente ci sono dei ritorni e delle ricadute significative dal punto di vista economico. Ormai l’economia basata sui sistemi spaziali cuba un fatturato mondiale di 200 miliardi di dollari e si prevede che nel 2030 arriverà al trilione. Al livello mondiale l’accesso allo spazio è diventata o sta diventando una delle più appaganti strategie industriali mai applicate.
Settore che fra l’altro può sostituirsi e giustapporsi a quello militare in termini di produzione di innovazione tecnologica. Un’altra area o settore dove è decisivo l’intervento dello Stato è quello della ricerca sulle energie alternative. Basti pensare alla “Big-Science” che si sta sviluppando per inseguire la fusione nucleare.Un altro suo compito potrebbe essere quello di guidare e pilotare l’approdo all’industria 4.0 con l’“ Industrial Internet of Things”. Non è questa divagazione scollegata dal discorso del riscatto del Sud. Stiamo invece dando delle indicazioni ben precise di quali e come potrebbero e dovrebbero essere gli ambiti di sviluppo per il Sud capaci di attrarre e valorizzare il suo patrimonio umano e sociale. Non solo quindi braccianti, agricoltori, chef, camerieri, guide turistiche o badanti, ma anche ingegneri, informatici, fisici, biologi, economi, periti specializzati e quant’altro.
Francesco Vespe