Con un suggestivo omaggio di musica e parole proposto dai solisti dell’Orchestra 131 della Basilicata si è chiusa la lunga mattinata che ha dato il via ufficialmente alle celebrazioni della Regione e di Apt per i 100 anni dalla nascita di Rocco Scotellaro.
Una mattinata iniziata davanti la tomba del sindaco poeta di Tricarico con la deposizione di una corona di alloro da parte del presidente della Regione, Vito Bardi, a cui hanno partecipato Emilia Felicita Capolongo, Commissario prefettizio di Tricarico, il presidente della Fondazione Matera Basilicata 2019, Domenico Bennardi, il nipote di Rocco Scotellaro, Enzo, insieme ad altri familiari, alla presenza di diversi sindaci, consiglieri regionali, autorità istituzionali e militari.
Nel corso della cerimonia al cimitero alcuni alunni della Scuola Secondaria di Primo Grado “Rocco Scotellaro” di Tricarico (Paolo Benevento, Anna Paola Mangiamele, Antonio Paradiso, Annaluce Forliano, Matteo Danzi), con la collaborazione della Prof.ssa Antonietta Vizzuso, hanno letto alcune poesie in omaggio e di Rocco Scotellaro.
Alle 11 la cerimonia si è spostata al teatro Stabile di Potenza per presentare il programma delle celebrazioni.
Ad aprire l’incontro un brevissimo video realizzato da Palmarosa Fuccella e Giulio Giordano seguito da un saluto del vicesindaco del Comune di Potenza, Michele Napoli, che si è soffermato sulla figura di Scotellaro e sulla sua straordinaria capacità “di coniugare nella sua personalità l’etica, la poesia e la politica”.
Subito dopo è intervenuto il presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi. “Il pensiero di Scotellaro andava nella direzione del rafforzamento di un’identità sempre più marcata del suo popolo e del proprio territorio, capace di rendere la periferia il centro di vita pulsante. Un processo di trasformazione per il quale quelle terre di dolore, di ricordo, di lacrime – cantate nei suoi versi e raccontate nelle sue opere – dovessero diventare terre promesse capaci di storia, di genialità, di umanità. Credo che questo sia il suo lascito più importante, questa la grandezza del suo pensiero su cui le celebrazioni ci invitano a riflettere. È infatti tra le priorità della nostra agenda di Governo la riconnessione tra i territori, la rivitalizzazione dei piccoli centri, il ripopolamento dei borghi più remoti, l’attivazione di servizi a supporto delle popolazioni locali, l’adozione di misure per incentivare il lavoro e offrire nuove opportunità ai più giovani”.
I saluti e la testimonianza della famiglia sono stati portati da uno dei nipoti, Enzo Scotellaro, che ha ricordato alcuni momenti dei 12 anni trascorsi insieme allo zio e ai suoi rapporti di amicizia con Carlo Levi.
Poi è toccato al comitato scientifico. Giuseppe Appella, critico e storico dell’arte, ha presentato la mostra di 44 artisti di 7 generazioni che ispirati dai versi di Scotellaro stanno realizzando le loro opere originali. L’esposizione verrà allestita a partire da settembre nella Galleria nazionale di arte moderna e contemporanea di Roma.
Giulia Dell’Aquila, curatrice dell’opera di Scotellaro ha illustrato gli indirizzi dei convegni scientifici che avranno il compito di esplorare la figura del sindaco poeta allargando la superficie dell’analisi “partendo dalle radici e da Rocco Mazzarone che per primo riconobbe le sue potenzialità”. Dell’Aquila ha annunciato che saranno anche pubblicati alcuni testi inediti come “I taccuini” di Scotellaro e la sceneggiatura de “I fuochi di San Pancrazio”.
Nel programma non mancheranno momenti dedicati al rapporto fra Scotellaro e il cinema come ha evidenziato Sebastiano Martelli, curatore dell’opera di Scotellaro.
Prima del recital di musiche e parole è intervenuto il coordinatore del comitato scientifico, Franco Vitelli. “La patria è dove l’erba trema. Rocco Scotellaro oltre il Sud e il centenario recita il titolo delle nostre celebrazioni; mai indicazione fu più consona nell’intrecciare efficacia poetica e forza del pensiero-azione. Si disse allora che le sue spalle erano troppo fragili per sopportare il peso di problemi assai importanti e complicati, che non aveva la statura politico-intellettuale per reggere; il destino, ovvero i percorsi imprevedibili e tuttavia coerenti della storia, ha deciso diversamente. A Scotellaro si ritorna per chiarirsi le idee, quando si cercano risposte persuasive per i problemi del mondo di oggi”.
Prossimo appuntamento con le celebrazioni scotellariane il Primo maggio nell’Auditorium Parco della Musica di Roma dove alle ore 11 si terrà il recital Concerto “Sempre nuova è l’alba”. Le poesie di Scotellaro musicate da Ambrogio Sparagna e interpretate dall’Orchestra popolare italiana. Ospite Peppe Servillo.
Di seguito gli interventi integrali del presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi, del coordinatore del comitato scientifico, Franco Vitelli e del vice sindaco di Potenza, Michele Napoli.
Apertura ufficiale delle celebrazioni scotellariane, intervento del presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi
Nel celebrare il centenario della nascita di Rocco Scotellaro non possiamo non pensare alla grande eredità che ci ha lasciato come uomo politico e come creatura poetica. Il personaggio, divenuto simbolo del risveglio contadino nel Mezzogiorno, ha vissuto in una realtà complessa dal punto di vista storico e sociale tale da diventarne interprete sensibile e lungimirante.
Oggi si cerca l’attualità del pensiero di Scotellaro e la si trova nel suo sguardo lungo. La si rintraccia nella considerazione che aveva della civiltà contadina, che egli riteneva una risorsa imprescindibile per lo sviluppo della sua terra. Aveva compreso bene che i contadini potevano diventare i veri protagonisti di quella storia, aiutandoli a costruire il loro futuro non attraverso insediamenti industriali che avrebbero dovuto creare ricchezza con processi calati dall’alto. Bensì favorendo il loro accesso alla conoscenza, al sapere, al conseguimento dei diritti fondamentali legati anche al lavoro, a nuove opportunità da ricercare e creare nella propria terra. Un pensiero che andava nella direzione del rafforzamento di un’identità sempre più marcata del suo popolo e del proprio territorio, capace di rendere la periferia il centro di vita pulsante. Un processo di trasformazione per il quale quelle terre di dolore, di ricordo, di lacrime – cantate nei suoi versi e raccontate nelle sue opere – dovessero diventare terre promesse capaci di storia, di genialità, di umanità.
Credo che questo sia il suo lascito più importante, questa la grandezza del suo pensiero su cui le celebrazioni ci invitano a riflettere. E la straordinarietà della sua modernità ci porta ai giorni di oggi, ai nostri tempi, in cui ci troviamo a correre contro il tempo per sconfiggere lo spettro dello spopolamento e dell’isolamento delle periferie sempre più marginali e lontane. È infatti tra le priorità della nostra agenda di Governo la riconnessione tra i territori, la rivitalizzazione dei piccoli centri, il ripopolamento dei borghi più remoti, l’attivazione di servizi a supporto delle popolazioni locali, l’adozione di misure per incentivare il lavoro e offrire nuove opportunità ai più giovani.
Non è semplice. La Basilicata ha subìto il fascino dell’industrializzazione senza puntare invece alle sue risorse endogene, disperdendo energie umane ed economiche. Il mito della grande impresa industriale come panacea dello sviluppo è tramontato da tempo ormai. Quell’idea secondo la quale per le regioni arretrate lo sviluppo consistesse nel far convergere la propria struttura produttiva verso altri modelli, che non tenesse conto delle proprie specificità, della sua storia, della sua cultura, ebbene quell’idea di sviluppo è fallita.
Oggi siamo di nuovo a rimboccarci le maniche e a seguire quella concretezza che Rocco Scotellaro espresse attraverso una progettualità politica realistica. “Bisogna rinunziare a qualcosa se si vuole raggiungere uno scopo nell’interesse del popolo” diceva rivolgendosi al suo amico, lo storico Tommaso Pedio. Rinunciare a qualcosa a favore del popolo che attende il riscatto, la rinascita. E quel suo monito, coronamento della sua visione politica, “Sempre nuova è l’alba” è il corollario della sua attività di intellettuale.
Questo significa per me, per noi, celebrare il poeta nato a Tricarico cento anni fa. Significa non vanificare l’opera che avviò e che non potè portare a termine per l’improvvisa e prematura morte che lo tolse alla sua terra e ai suoi affetti più profondi. Ma le sue parole, quelle impresse nei suoi libri, nelle sue lettere, nelle sue poesie lo hanno consegnato all’immortalità. E all’eternità.
A parlare di lui restano i luoghi che lo hanno visto protagonista in uno spaccato della vita politica locale e nazionale di grandi trasformazioni.
Non sarò io a parlare della sua poetica, né della sua opera letteraria e della sua dimensione intellettuale lo faranno gli esperti dopo di me. Ciò che mi preme sottolineare è il senso di queste manifestazioni, ossia l’occasione per rileggere pagine importanti della nostra storia, quelle che fortificano il senso di appartenenza ad una comunità che ha ormai esteso i confini e avvicinato i centri alle periferie.
Ringrazio ancora una volta l’Apt di Basilicata per il coordinamento delle celebrazioni e il comitato scientifico, guidato dal prof. Franco Vitelli, studioso prolifico e scrupoloso, curatore di numerose pubblicazioni dedicate a Rocco Scotellaro. Ringrazio il Comune di Tricarico, il suo commissario prefettizio, dottoressa Emilia Felicita Capolongo, che da tempo attendeva questo momento per il quale ha avviato un prezioso percorso alla riscoperta del sindaco-poeta. Ringrazio i relatori presenti questa mattina: Rocco Vincenzo Scotellaro in rappresentanza della famiglia Scotellaro; Giuseppe Appella, critico e storico dell’arte; Giulia Dell’Aquila e Sebastiano Martelli, curatori dell’opera di Scotellaro. Ovviamente saluto il sindaco di Potenza, Mario Guarente e il Prefetto di Potenza, Michele Campanaro, che mi hanno preceduto nei saluti istituzionali.
Felice dell’interesse che da tante parti d’Italia si sta manifestando nei confronti dell’opera di Rocco Scotellaro e della sua Basilicata, nonché delle nuove pubblicazioni che stanno vedendo la luce nell’occasione del suo centenario, auguro a tutti buoni festeggiamenti.
Vi saluto con una delle più belle poesie che Scotellaro scrisse quando aveva solo 17 anni:
Lucania
M’accompagna lo zirlio dei grilli
e il suono del campano al collo
d’un inquieta capretta.
Il vento mi fascia
di sottilissimi nastri d’argento
e là, nell’ombra delle nubi sperduto,
giace in frantumi un paesetto lucano.
Grazie!
Apertura ufficiale delle celebrazioni scotellariane, intervento di Franco Vitelli
Presidente Bardi, Autorità, Signore e Signori,
è per me un piacere, colmo di responsabilità, preludere ai lavori per le celebrazioni del Centenario della nascita di Rocco Scotellaro che la Regione Basilicata-APT, con ammirevole sensibilità culturale, ha indetto per andare incontro ad aspettative ampiamente diffuse. Grazie per questo e per aver affidato la realizzazione di questo progetto a un comitato scientifico formato da studiosi che hanno messo a disposizione delle Istituzioni la loro pluridecennale ricerca su Scotellaro e non solo; essi sono peraltro legati alla Basilicata per nascita e/o identificazione culturale. Una congiunzione felice che crea i presupposti migliori per coniugare scienza e passione civile. Il comitato scientifico, unanime, si riconosce nell’insegnamento di Rocco Mazzarone, a lui alcuni di noi erano legati da affetto filiale o comunque da fratellanza spirituale; a lui, cittadino del mondo profondamente attaccato a Tricarico anche nell’essere critico, sono dedicate queste celebrazioni. Il suo ruolo nel mantenere vivo il nome di Scotellaro in tempi difficili è stato insostituibile; saggio nelle scelte e nel giudizio su persone e cose, ha creato con sapienza le condizioni perché Scotellaro entrasse in ambienti che mostravano delle resistenze. Del resto, Mazzarone è stato il consigliere fidato, l’interlocutore privilegiato; anche nell’itinerario progettuale di Contadini del Sud, preziose furono le sue indicazioni, specie nella ricerca di protagonisti dinamici e intelligenti di area cattolica. Non sempre le carte ufficiali dicono tutto e io non potrò mai dimenticare quello che don Angelo, il fratello Monsignore, mi disse mentre mangiavamo nel cucinino le rape col pepone e poi mise per iscritto. Una strana situazione nella quale il prete si confessava con un laico! Don Angelo è stato molto vicino a Scotellaro: gli dedicò una poesia giovanile molto bella, Villa d’Este; in una lettera esprime apprezzamento come verso la parte più eletta e intelligente del clero; in un appunto schizza un ritratto efficace dove emerge il ruolo politico di primo piano nella direzione di fatto dell’Ordine, giornale in cui era stato pubblicato un articolo di don Sturzo sulla monarchia, che “aveva molto impressionato gli ambienti del governo di Salerno”. Vito Reale, ministro dell’Interno, lo convocò e perentorio gli disse: “Questo è disordine, che combinate? Io vi faccio togliere l’autorizzazione”.
Nella tragedia di una morte precoce Scotellaro ha avuto la fortuna di avere tre mentori d’eccezione che hanno agito in campi e modi diversi: Rocco Mazzarone, Carlo Levi, Manlio Rossi-Doria. A giovare non è stata solo la statura intellettuale e morale di questi personaggi che hanno segnato la storia del Mezzogiorno e del nostro Paese; il sodalizio è stato cementato dall’amore della somiglianza.
Dicevo all’inizio di un tremore della responsabilità che mi ha preso per il ruolo affidatomi e per dover parlare in questo Teatro Stabile, lo stesso nel quale Manlio Rossi-Doria l’8 ottobre 1947 tenne un memorabile discorso su “La Lucania nei prossimi dieci anni”. Era stato invitato a parlare da “gente di opinioni diverse, militante in campi diversi” che avrebbe voluto sentire una parola di verità a fronte di una situazione assai grave. Il grande economista agrario non deluse le aspettative, disse cose assai dure con un’analisi impietosa della struttura agraria, delle classi sociali, delle responsabilità dello Stato e della politica, suggerendo con medesimezza umana i possibili rimedi. Con lo sguardo antico e fermo del meridionalista che conosce la storia, Rossi-Doria squadernava tutta la problematica degli anni difficili del dopoguerra e il contesto nel quale Scotellaro ha operato. Un discorso che, per importanza, fa il paio con la relazione tenuta al convegno meridionalista di Bari nel dicembre 1944, per la quale Gaetano Salvemini, ammirato, disse che a conoscerla prima si sarebbe risparmiato un sacco di sciocchezze.
La patria è dove l’erba trema. Rocco Scotellaro oltre il Sud e il centenario recita il titolo delle nostre celebrazioni; mai indicazione fu più consona nell’intrecciare efficacia poetica e forza del pensiero-azione. La figura del sindaco poeta assume un valore universale, viene proiettata in tutte le realtà del mondo là dove c’è un’umanità che soffre. Figlio del suo tempo, ci parla ancora oggi e lo farà domani.
C’è un critico scrittore che vuole riscrivere la storia in base alla propria poetica. Operazione certo legittima sul piano creativo, ma impropria se trasferita nel campo storiografico, perché ignora i processi reali a favore di ipotesi ad usum delphini e pratica un’irragionevole rivendicazione ex post. Ma, soprattutto, non convince l’ostinazione preconcetta a guardare, ancora oggi!, Levi e Scotellaro come gli alfieri dell’immobilismo e del rifiuto della Storia, questa sì “una grammatica stantia”. Non si capisce perché chi ha dedicato la vita intera per sostenere l’entrata dei contadini nella storia, divenendo in letteratura portavoce di questa svolta (Ricordate il verso famoso “Siamo entrati in gioco anche noi”), debba poi auspicare e vagheggiare che le cose non cambino. Una palese contraddizione in termini. Scotellaro, già in vita, si era espresso chiaramente affermando che la “combattività intelligente” dei contadini contrasta “con tutta una vecchia storia del [loro] conservatorismo” che ad arte è sostenuta dai loro nemici. E Levi, nel vivo della polemica postbellica, non esitò a sbarazzarsi velocemente di un’accusa così priva di senso: “Se abbiamo narrato di quel mondo immobile, era perché si muovesse”. In verità, sorprende non poco che proprio l’ardito crociato sostenga che “la matrice di una terra irredimibile” ha tarpato le ali della letteratura per un progetto di cambiamento.
Scotellaro va oltre le tesi corrive del neorealismo e non si riconosce nel realismo di partito; fu esplicito con i suoi amici di “Momenti”, e con Mario Cerroni in specie, nel condannare “la spada di legno del finalismo poetico”. Come pure, il poeta di Tricarico aveva ben chiara una nozione larga di storia che non si riduceva agli aspetti materiali ed economici; e tale concetto lo fissa bene in un appunto: “la storia, voglio vedere quando lo capiranno, consiste di fatti e di idee, ma anche di sogni inespressi e di altrettante nascoste realtà individuali”. È sottolineata l’importanza dell’ “uomo sottinteso”, dei momenti interiori che pur non espliciti condizionano l’andamento delle cose. Sembra quasi che alla larga Scotellaro riecheggi il motivo manzoniano della poesia che integra la storia, perché riesce ad andare nel profondo, oltre la superficie del fatto. In Levi, poi, c’è anche una maggiore consapevolezza teorica; non ne volle mai sapere di neorealismi e realismi socialisti. Il suo peculiare realismo, lontano dalla grezza mimesi e aperto alle suggestioni del relativismo epistemologico delle scienze, riesce a coniugare in sintesi unitaria le molteplici istanze del reale e sinanche la proiezione in esso del soggetto.
Voglio oggi recuperare il senso di un articolo che Geno Pampaloni, forse il maggior critico militante del Novecento e molto amico di Rocco, pubblicò sull’Espresso (8 aprile 1956) con un titolo fortemente pregnante: Il dolore attivo di Rocco Scotellaro. Nell’aggettivo “attivo” sta condensata la risposta a tutta una polemica che voleva la cultura del Mezzogiorno fondata sul lamento; in verità il dolore è un dato insopprimibile perché legato a una sottomissione storica e di soprusi sociali, ma ciò non vuol dire che ad essa si è condannati in eterno. Dice Pampaloni: “Rocco era chiamato ad esprimere, della sua gente, soprattutto il dolore e la viva speranza; e questo dolore e questa viva speranza, non la luce del giorno, sono il mito per cui egli vive ancora con noi”. È un modo acuto per evidenziare un processo non ancora compiuto che doveva consistere nel portare il mondo contadino dall’afonia alla voce della cultura e quindi al riscatto sociale. Meno convincente la tesi della convivenza in Rocco di “civiltà contadina e cultura della crisi”, cui seguirà in secondo momento una specie di sdoppiamento tra il poeta che fa lievitare la realtà attraverso la memoria e l’intellettuale che quella realtà interpreta alla luce della storia.
“Non è il libro di un uomo, ma quello di una classe”, così scriveva di È fatto giorno Pietro Nenni nel momento in cui perorava la causa del Premio Viareggio presso Leonida Repaci. Dietro questa definizione non c’è solo il fiuto del politico che vuole inserirsi con accortezza nel dibattito culturale valorizzando l’opera di un suo militante, Nenni aveva trovato le parole giuste per scolpire in epigrafe tutto il processo che vi era esemplificato. Un intellettuale contadino che diviene poeta laureato poteva ben rappresentare il riscatto di un classe, che stava uscendo dalle sacche ancora potenti dell’analfabetismo grazie a una costante azione educativa. Dell’importanza dell’educazione delle masse anche a fini più propriamente politici Scotellaro aveva parlato assai per tempo nel giovanile articolo Memoria di Prampolini, in cui valorizza il messaggio di questo “socialista evangelico”, basato sul sostrato etico come risorsa del riformismo.
Per una fruizione sempre viva e rinnovata di Scotellaro occorre lavorare per soluzioni di lunga durata; sta in ciò la sfida del programma delle celebrazioni. Il discorso deve cioè riguardare il “canone di domani”, come prospetta Alberto Casadei in un articolo sul Corriere della Sera-La Lettura (26 aprile 2020). Al ragionamento di un amico assai valente – che spiace non aver potuto avere nel nostro convegno per impegni pregressi – mi sia consentito aggiungere una riflessione di supporto alla sua tesi che riconosce alla poesia contadina di Scotellaro il requisito per entrare nei “classici del futuro”, a dispetto dei modernisti a ogni costo. Io vorrei rimarcare la convergenza tra il merito storico di Scotellaro (la democratizzazione della letteratura assumendo nella sua persona la molteplicità del reale) con la funzione intellettuale quale oggi si manifesta nel tempo della complessità. Il ragazzo di Tricarico ci sembra rispondere in pieno alle esigenze di un mondo complesso; proprio la varietà d’interessi, che pure destò sospetti, ce lo rende l’espressione più tipica della necessità del superamento della parcellizzazione dei saperi nell’unità del soggetto.
La consonanza col mondo dei giovani di oggi nasce dal fatto obiettivo che Scotellaro è morto a soli trent’anni. Nel suo modo di essere si avverte un atteggiamento anticonformista che lo portava a esaltare lo spirito critico piuttosto che “le istanze poste e predeterminate” degli scolaretti ossequienti che vogliono fare carriera. L’insofferenza era nei confronti dei “dogmatismi fanatici”. Capiva tutto il tormento delle scelte difficili, la necessità di non distrarsi al bivio per allontanare le “strade odorose” del traviamento. Egli era uno degli altri, viveva il disagio comune a tanti nel pericoloso frangente del secondo dopoguerra; era un disoccupato che doveva trovare lavoro agli altri. Non poteva sottrarsi per solidarietà di classe e intanto pativa in privato la sofferenza; la sua sensibilità di uomo, di amministratore, di politico formatosi alla scuola di un socialismo umanitario faceva prevalere l’interesse pubblico e sociale.
Scotellaro si lascia amare, ne è prova il pullulare di iniziative che si celebrano in ogni dove. Perciò, Scotellaro è di tutti, di tutti coloro che si riconoscono nei suoi valori e nelle istanze che rimbalzano feconde nei suoi scritti. Scotellaro vive e parla oltre i partiti, a cominciare dal suo; il partito socialista al quale è stato iscritto e in rappresentanza del quale ha fatto il sindaco per quattro anni all’incirca, operando con una “puntigliosa regolarità democratica” (Rossi-Doria) che poteva essere contagiosa e forse per questo, innocente, fu sbattuto in galera per una quarantina di giorni, applicando una “tecnica di tipo borbonico” (Levi). Una voce critica e di stimolo per il rinnovo della classe dirigente che deve suonare familiare e fraterna soprattutto quando più forte si avverte il bisogno del bene della Polis, oltre gli interessi di parte e con lo slancio di una fiducia collettiva. Una voce capace di proiettare nel dialogo con il mondo questioni identitarie e di sviluppo regionale, oltre i limiti della provincia che talvolta si attarda in discussioni sterili.
La figura di Scotellaro, a guardarla oggi – a cent’anni dalla nascita e a settant’anni dalla morte – ci consegna un quadro ormai storicamente definito dei nodi politici che si aggrovigliarono specie all’interno dei partiti della sinistra: la storia, giudice implacabile e imparziale, consegna i meriti, i ritardi e i torti dei protagonisti di allora. Nello snodo fondamentale degli anni Cinquanta del Novecento che risulterà decisivo per le pieghe dello sviluppo della società italiana, Scotellaro con la morte precoce ci appare la vittima sacrificale che chiude una stagione e apre all’avvenire. Si disse allora che le sue spalle erano troppo fragili per sopportare il peso di problemi assai importanti e complicati, che non aveva la statura politico-intellettuale per reggere; il destino, ovvero i percorsi imprevedibili e tuttavia coerenti della storia, ha deciso diversamente. A Scotellaro si ritorna per chiarirsi le idee, quando si cercano risposte persuasive per i problemi del mondo di oggi. E non conta l’ostracismo, magari strumentale, che viene a coinvolgere la sua persona e il mondo contadino che ha rappresentato, Scotellaro ha la forza prepotente della giovinezza che lo proietta in mezzo a noi, immo in Senatum venit, potremmo dire, rovesciando tuttavia il senso del discorso di Cicerone nella Catilinaria. A nessuno sfugge che non c’è più il mondo contadino degli anni Cinquanta con le sue strutture economiche e le sue trame sociali, ma è un dato oggettivo inoppugnabile che la fortuna di Scotellaro è tanto più forte nel tempo della postmodernità, cioè in un tempo in cui la modernità è andata oltre se stessa configurandosi come era postindustriale, di capitalismo avanzato. Ciò vuol dire che ci sono ragioni profonde che creano consonanza; e in tale direzione conviene guardare. La crisi della frammentazione si riverbera nella vacillante identità e nei rapporti interpersonali; la fragilità e l’incertezza segnano e fanno soffrire l’insoddisfatto homo consumens (“lo sciame inquieto dei consumatori”, direbbe Baumann): perciò “i cuori fatti nomadi” non possono che cercare riparo e conforto dove vige il senso dell’unità della persona, nel mondo contadino arcaico, appunto. Su un “recupero cosciente dell’arcaico”, di alcuni suoi “valori e metodi” Michele Feo ha scritto in termini appropriati, non per finalità regressive ma viceversa con lo spirito di “rilanciare in versione meno presuntuosa l’ideologia e la prassi dell’umanesimo”. Non a caso, Carlo Levi, quando volle spiegare le ragioni del suo profondo legame con la Lucania e Matera, dichiarò che proprio qui aveva imparato a conoscere i valori fondamentali dell’uomo.
Apertura ufficiale delle celebrazioni scotellariane, intervento del vice sindaco di Potenza, Michele Napoli
19.4.2023 – ore 13,45: In occasione della cerimonia di apertura ufficiale delle celebrazioni scotellariane, nel centenario della nascita del sindaco e letterato Rocco Scotellaro, il vicesindaco di Potenza Michele Napoli ha aperto la manifestazione con una propria riflessione sulla figura del poeta e scrittore lucano. L’iniziativa regionale è stata ospitata sul palco del teatro Stabile del capoluogo lucano e ha visto la partecipazione, tra le diverse autorità civili e militari intervenute, del Prefetto di Potenza Michele Campanaro, del Commissario Prefettizio di Tricarico Emilia Felicia Campolongo, del presidente della Regione Basilicata Vito Bardi. A moderare gli interventi Franco Vitelli, coordinatore del Comitato scientifico, contributi da parte di Rocco Vincenzo Scotellaro, in rappresentanza della famiglia Scotellaro, Giuseppe Appella, critico e storico dell’arte, componente del Comitato scientifico, Giulia dell’Aquila, curatrice dell’opera di Scotellaro e, a sua volta, componente del Comitato scientifico e Sebastiano Martell il, curatore dell’opera di Scotellaro e componente del Comitato scientifico. “L’ALBA È NUOVA, È NUOVA! Così sembra gridare – ha esordito il vicesindaco Napoli – il nostro Scotellaro nel suo ‘Sempre è nuova l’alba’. Ed è con questo grido di grande speranza che vorrei sottolineare come questo evento, e quelli a seguire non possono ridursi ad una semplice commemorazione di un poeta che ha scritto una delle più belle pagine della letteratura italiana, ma devono essere un’occasione per approfondire e diffondere, anche alle nuove generazioni, il pensiero e l’operato di un uomo, con le radici salde nella nostra terra e un cuore aperto e generoso verso tutti, sopratutto i più deboli e i bisognosi. Figura singolare e suggestiva, capace di richiamare su di sé l’attenzione qualificata di personalità del mondo della cultura. Quanto mai importante il giudizio di Eugenio Montale, a proposito della pubblicazione da Mondadori della raccolta ‘E’ fatto giorno’. ‘Un centinaio di liriche che rimangono certo tra le più significative del nostro tempo’: così si espresse l’autore degli ‘Ossi di Seppia’ su Scotellaro poeta. L’opera letteraria nel suo complesso di questo giovane lucano scomparso prematuramente, rappresentano una autorevole testimonianza del pensiero dinamico, tutto proiettato verso il superamento di una condizione di vita marginale e mortificante di cui bisognava liberarsi senza esitazione alcuna. Erano giorni duri e difficili anche per chi, come Scotellaro, intendeva mettere a disposizione della comunità del Mezzogiorno il suo talento e la sua capacità di guardare oltre i limiti e le ristrettezze di quel tempo. Il secondo dopoguerra era segnato dalle vicende del latifondo: migliaia di contadini poveri nelle regioni del Sud cercavano di conquistarsi un futuro sperando di diventare proprietari di quelle terre che avevano coltivato per decenni, di generazione in generazione. Scotellaro era in effetti la guida ideale di quei processi di emancipazione. La sua opera (L’Uva puttanella, Contadini del Sud, Margherite e rosolacci) riflette in pieno queste tensioni e anzi diventa espressione immediata di un forte desiderio di assistere a una svolta. Cio’ che stupisce e incanta e’ come Poesia, etica, politica nell’opera di Scotellaro si fondono in un unico disegno di modernizzazione e di mutamento di rotta auspicati per il futuro del Mezzogiorno. Non una semplice aspirazione, ma un disegno indicato concretamente. Non dimentichiamo la lotta di Scotellaro per la costruzione dell’ospedale nella sua Tricarico. Insomma un uomo del nostro tempo, che ha analizzato lucidamente come poeta e come intellettuale lo stallo, l’amarezza di una storia collettiva che ci appartiene visceralmente, come visceralmente ci appartengono i paesaggi, l’idea di natura come fonte di vita, le abitudini semplici e umili che fanno grande l’uomo di ieri e di oggi, senza distinzione alcuna. I versi citati all’apertura del mio intervento. Sono i versi che concludono la lirica dal titolo ‘Sempre nuova è l’alba’ compresa nella raccolta ‘E’ fatto giorno’ pubblicata nuovamente da Mondadori nel 1982 in edizione riveduta e integrata, questa volta negli Oscar, da Franco Vitelli, coordinatore del comitato scientifico delle celebrazioni scotellariane. Ma nei sentieri non si torna indietro.
/Altre ali fuggiranno
/dalle paglie della cova,/
perché lungo il perire dei tempi/
l’alba è nuova, è nuova.”
E se dalle celebrazioni del Centenario della nascita di Rocco Scotellaro riuscissimo a carpire e fare nostro il suo sguardo analitico e lucido e il suo operato concreto e necessario, sarà nuova davvero un’Alba Nuova per la nostra Basilicata” ha concluso il vicesindaco di Potenza Michele Napoli.
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