Mercoledì 10 maggio 2023 al Cinema Guerrieri di Matera è in programma il film La cospirazione del Cairo di Tarik Saleh (Svezia/Francia/Finlandia/Danimarca, 2023) per la rassegna Il Cineclub di Cinergia.
Orari: 17:30 – 19:35 – 21:40
Posto Unico: 5 euro.
«È stata la sicurezza dello stato a uccidere lo studente straniero», asserisce il colonnello Ibrahim, il mandante.
Ma nessuno conoscerà mai nomi e indirizzi degli agenti assassini. L’omicidio dello studente coranico passerà ufficialmente per incidente.
Un brivido. Già, siamo nell’Egitto di Abdel Fattah al-Sisi. I servizi segreti addestrano e coprono
informatori ovunque, e se ne sbarazzano, se necessario. Un governo, militare dal 1953, così tratta testimoni scomodi e oppositori. E i media tacciono.
Qualcuno però ha un sussulto di dignità: l’ex pescatore Adam, un provinciale ammesso
all’Università di al-Azhar e il suo anziano maestro d’islam. Il colonnello (Fares Fares) arresta il vecchio, che si autoaccusa per ingenuità politica, e corrompe l’ingenuo novizio. Ma la “nuova talpa” si rivelerà indocile, addirittura angelica. Tarik Saleh, autore di questo thriller da moschea premiato per la sceneggiatura a Cannes 2022, egiziano nato e residente in Svezia, è odiato e bandito dal regime dopo il polemico Omicidio al Cairo e perché ha documentato con Erik Gandini in Gitmo i metodi militari di tortura, a Guantanamo e oltre. Saleh ha girato alla Pollack in Turchia questo La cospirazione del Cairo (in arabo Walad min al Janna, “il ragazzo dal cielo”), sui pesanti intrighi del governo egiziano per influenzare l’elezione della massima autorità religiosa dell’islam sunnita.
Morto improvvisamente il Grande imam di al-Azhar, Al-Sisi teme che possano prevalere teologi incontrollabili, come il fanatico fondamentalista Al-Durani, alleato dei salafiti, e losco figuro, o il saggio Negm, lo sceicco cieco. È lui “il migliore”, ma cita troppo spesso Marx ai novizi: «La religione è il limite dell’uomo di fronte a quello che non può comprendere: condizione della conoscenza è la libertà». Il presidente pretende sia eletto invece il moderato Omar
Beblawi: «Nel paese non ci possono essere due faraoni» urla il generale Al-Sakran (l’attore palestinese Mohammad Bakri), portavoce di Al-Sisi e preoccupato perché, grazie alla Primavera araba, sono gli ulama a eleggere il Grande imam e non il governo a nominarlo (come accadeva dal 1961).
Quello in carica ancora oggi, Ahmad al-Tayyib, scelto da Mubarak, è stato soprannominato «l’arbitro del pensiero islamico moderno» per aver isolato il vertice reazionario che nel 1994 processò per blasfemia Youssef Chahine, che aveva osato raffigurare un profeta in L’emigrante. «Senza separazione tra stato e religione non ci sarà democrazia in Egitto», sosteneva il padre del nuovo cinema arabo. E questo Il nome della rosa musulmano ha l’originalità di spiegarci la questione dal punto di vista religioso, illuminando lo scontro tra oscurantisti e riformisti sunniti e chiarendo termini equivocabili come shari’a (è il diritto divino), fiqh (è l’interpretazione solo umana della scienza giuridica), halal/haram (il comportamento corretto/illecito), la predestinazione, salmodiare il Corano cantando o no…
Ci informa sulle controversie tra i primi califfi Abu Bakr e Omar Ibn al-Khattab.
E su proibitissimi libri, come Pietre miliari di Sayyid Qutb, impiccato da Nasser nel 1966, oggi breviario dell’ISIS.