Michele Morelli, componente del Circolo Legambiente Matera: “Gli spazi pubblici e il nuovo regolamento sull’arredo urbano nel centro storico di Matera”. Di seguito la nota integrale.
I Sassi e la città storica del piano propongono una condizione paesistica di estrema singolarità e di indiscussa compiutezza. “Il fattore paesaggistico diviene dunque determinante nel riconoscimento del luogo inteso come bene culturale. Amerigo Restucci (1) si esprimeva grosso modo così nel suo manuale del recupero dei Sassi pubblicato nel 1998 e adottato dall’amministrazione comunale nel 2000.
Il manuale nella sua narrazione tenta una corretta lettura del paesaggio così come si è determinato a partire dagli anni cinquanta. Il paesaggio abitato descritto da Carlo Levi (2) e ripreso da molti intellettuali negli anni cinquanta è certamente diverso dal paesaggio disabitato che convinse Pasolini (3) a girare a Matera il suo Vangelo. In un tale processo, anche il “rudere, quale componente essenziale del paesaggio che si è determinato dopo l’abbandono, assume un significato” (4).
Secondo Restucci laddove l’adeguamento funzionale diviene rinnovamento, il paesaggio, inteso come insieme di parti, rischia di perdere un suo essenziale connotato di qualità e quindi il suo valore costitutivo. Se ciò accadesse, l’intervento risulterebbe non auspicabile. Il carattere principale dunque non staziona nei monumenti, ma nel complesso contesto edilizio, nei cosiddetti vuoti, nell’articolazione organica fatta di vicinati, piazze e piazzette, giardini, strade e percorsi pedonali, di roccia grigiastra che spunta ovunque, di successione compatta di stili, di continuità dell’architettura del piano. Tutto ciò costituisce l’ambiente vitale della città storica, concetto magistralmente introdotto da Antonio Cederna nella prefazione a I Vandali in casa del 1956 (5).
Se queste erano le premesse e le preoccupazioni del Prof. Restucci, a distanza di un quarto di secolo dalla pubblicazione del primo (ed ultimo) manuale, il quadro che abbiamo difronte pone molti dubbi sull’identificabilità del bene.
A Matera tutto è avvenuto nell’ultimo ventennio, con una accelerazione impressionante all’indomani della nomina di Matera a Capitale Europea 2019. La città storica diviene oggetto di interessi economici che inducono a importanti cambiamenti della scena urbana: turistificazione, mercificazione dello spazio pubblico, brandizzazione dell’immagine urbana, espulsione degli abitanti, sottrazione alla cittadinanza dei luoghi simbolici e autorappresentativi. Tali cambiamenti sono, e lo saranno ancora di più, facilitati dall’assenza di una generale visione progettuale e rinvigoriti dalla scarsa cogenza delle previsioni urbanistiche, se non dalla latitanza del piano. Si assisterà, in questi anni, ad Amministrazioni comunali che hanno equiparato la urbs a merce, la civitas a public company, la polis a negoziazione mercantile.
Neppure l’ambita nomina si rivelerà un’occasione per pianificare. Il Piano di Gestione Unesco, adottato nel 2015, si dimostrerà inefficacie se non del tutto inutile nel controllo delle trasformazioni. Efficace è stato, ed è, il suo brand.
Raramente gli interventi che si sono succeduti, sia di iniziativa pubblica che privata, hanno dimostrato di aver colto l’essenzialità del “paesaggio” e di contribuire, con la dovuta attenzione, ad un principio di salvaguardia. La riduzione a merce dello spazio pubblico ha rappresentato, e rappresenta, un mezzo per appianare le lacune di bilancio dell’ente locale (l’appalto dei parcheggi nel centro ha seguito la stessa logica). I luoghi più rappresentativi, sono stati progressivamente devoluti a funzioni commerciali e turistiche. Alla necessaria ed opportuna pedonalizzazione del centro storico non hanno fatto seguito i servizi di prossimità e un adeguato riassetto del trasporto pubblico. Politiche urbane che hanno favorito il progressivo trasferimento degli abitanti. Nessuno oggi è in grado di proporre una lettura su quanto è accaduto e sta accadendo, nessuno più studia ed analizza questi fenomeni.
In questi giorni è ripresa la discussione sul nuovo “regolamento sull’arredo urbano” del centro storico, che non affronta il tema nella sua complessità ma si limita a disciplinare solo alcuni aspetti.
Non sappiamo, ad esempio, se questo regolamento farà piazza pulita di tutte quelle targhe e targhettine ricordo. Il ricorso a “ceramiche dipinte, anche di gustosa raffinatezza, non è certamente consono all’austerità del contesto”, ricorda Restucci (6) nel suo manuale. Se la mattonella risulta incongrua, la fontana dell’amore voluta dall’ex sindaco dovrebbe essere qualcosa che va ben oltre. Eppure è successo, sindaci, mecenati di ogni genere, hanno avuto modo di esprimere tutta la loro sensibilità nei confronti del patrimonio culturale.
Il tema più delicato, tuttavia, rimane senza dubbio l’uso dello spazio pubblico inteso come bene comune per eccellenza. I gazebo, gli ombrelloni, e soprattutto i dehors, sono incongruenti con il paesaggio urbano e dimostrano l’incapacità del privato e dell’Amministrazione comunale di pervenire a quella silenziosa regola del “pubblico che, se percepita con consapevolezza, consentirebbe il non dover imporre regole” (7).
Questi elementi, sebbene significativi della fruibilità dello spazio all’aperto, la cui precarietà o il discrimine fra temporaneo e definitivo diventa sempre meno percettibile, hanno determinato una profonda trasformazione del centro storico. La privatizzazione attuata con pedane, ombrelloni e fioriere d’ogni tipo e dimensione ha reso residuale lo spazio pubblico, sovente limitato alla funzione circolatoria. In questo contesto il cittadino è ridotto allo status di consumatore.
In riferimento agli obiettivi di rigenerazione della città storica Restucci raccomandava di operare in termini di “minimalità”, cosa che non è successo e né si può sperare che succeda con il nuovo regolamento, anche se questa volta, a differenza del passato sono stati introdotti i cosiddetti coni visivi. Coni visivi risicatissimi e del tutto insufficienti che riducono al minimo la visuale e la fruibilità dello spazio pubblico. Il passaggio da città-vetrina a città-merce sembra compiuto ed è irreversibile, almeno per il momento. Matera è la risposta inoppugnabile alla domanda di Henri Lefebvre(8) che nel 1968 si chiedeva se la città “è merce oppure è opera di coloro che la abitano”.
1. Restucci A., (a cura di), Matera, i Sassi. Manuale del recupero, Electa, Milano 1998
2. Levi C., Cristo si è fermato a Eboli, Einaudi, Torino 1945
3. Il Vangelo secondo Matteo, scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini, 1964
4. Tafuri M., L’architettura dell’umanesimo, Laterza, Bari-Roma, 1969
5. Cederna A., I vandali in casa, Laterza, Bari-Roma, 1956
6. Restucci A., op. cit. 1998
7. Restucci A., op. cit. 1998
8. Lefevre H., Il diritto alla città, Marsilio, Padova 1976, prima edizione Parigi 1968.