Angela De Nicola (docente, freelance, operatrice culturale) racconta il viaggio nella pittura dell’artista lucano Donato Larotonda, residente a Rionero in Vulture. Di seguito la nota integrale.
Il mondo artistico di Donato Larotonda – di cui critici come Vittorio Sgarbi, Philippe Daverio e Jean Blanchaert hanno parlato – è un viaggio leggero che ha per compagno di viaggio il sogno: atmosfere diafane, al centro diun universo sospeso, nei capitoli di una pittura della serenità, in un tentativo di contrapposizione alla grigia realtà del nostro tempo.
Un linguaggio pittorico che prova a fermare lo scorrere meccanico, usuale ed usurante del vivere contemporaneo, creando il paradigma identificativo di un volo in sogno e un sogno in volo, al di là di miserie e tragedie, al di là della “banalità del male”.
All’interno di un’architettura di pace, in assenza quasi totale di peso, Larotonda elabora una personale nuova gravità, quella del silenzio,del sospeso, in un continuo esercizio tra salti celesti e celestiali, dove il grande palcoscenico di fondo è quasi sempreun cielo generoso che concede agli uomini ogni cosa, che ci trasforma nell’arco di tempo di un dipinto: è il cielo lucano che guarda benevolo alle variazioni della natura e concede grazie pittoriche a chi osserva e crea, fuori da ogni brusio disumaneggiante, provando ad immergere emittente e destinatario in un unico abbraccio: quello della dolcezza tematica ed espressiva più assoluta.
La cifra più ricorrente di Larotonda pare esserequella di un paesaggio in eterno giorno: luminescentesì, ma bagnato di luce lunare: luna di notte e di giorno, luce che svela un giardino al limite del metafisico, uno scorcio incantato, la finitura di uno spazio reale e ideale, l’eden perfetto, il rifugio in cui trova spazio e risuona un’utopistica ninnananna che non si sente ma si percepisce, anzi “si vede” intimamente perché infondo impatta il nostro sguardo e ancora prima il nostro cuore.
Quelle di Larotonda,sono opere che cacciano via i rigori dell’inverno per un’eterna primaveramai banale, mai puerile, mai scontata: una pennellata che è atto di fede e un bacio tra terra e cieloentro una fisica invertita che ci regala lavisione a cui non siamo abituati, l’attimo della sorpresa, la scena che potrebbe esistere nell’anima: ed è il richiamo ad una sola azione finale che è quella dell’appena oltre, lungo la metafisica assenza di ogni parola, di ogni rumore che non sia armonico o lontanodalle cure immortali dello sconfinato, del paradisiaco, del “silentium”.
Ed è questo del silenzioil cuneo artistico in cui nasce l’elogio del piccolo, del minimo, del nascosto, del non visto, di ciò che sfugge al richiamo impattante e netto ma che di fatto rimette al centro del mondo e del cuore ciò che è marginale o apparentemente scontato.
Dice l’autore: “Sono gli alberi che mi avvicinano ai sogni”. E, forse, allontanano dall’inquietudine, aiutano ad osservare la meraviglia nascosta nella normalità, ci danno fiducia per ricavare forza dal particolare celato.
L’interiorizzazione del creato è allora così simbolicamente forteda dare potere al gioco affascinante e illogico del sogno che pure però fonda la realtà e che anzi tenta di riscriverla completamente: ed ecco l’albero diventare nuvola o fioritura di cuori colorati pronti a spiccare il volo; ecco che le case si inclinano, che le lune sono più di una in cielo, che le barche navigano la terra invece che il mare, che le pareti delle case sono fatte da ritagli di cotone o di giornale.
Donato Larotonda mi accoglie nella sua Galleria ArteProgetto di Rionero in Vulture (PZ) inaugurata nel 1988 e insieme iniziamo un dialogo intorno ai suoi anni passati e presenti spesi a servizio dell’arte – che si trasformano in quattro simboliche domande.
1) Donato, sono rimasta fortemente impressionata da una tua riflessione sul ruolo della tela vuota da riempire nell’ambito della tua pittura: tu la consideri letteralmente come un piacevole intruso, un terzo incomodo tra te e il colore in dialogo ispirativo. Mi viene in mente, nell’economia del passaggio da bianco a colore dell’opera, il concetto inevitabile di sofferenza, di fatica, di dolore nascosto all’interno del tuo atto creativo che però, ad opera finita, porta alla leggerezza di una sorta di liberazione…puoi farci entrare meglio, se possibile, in questa tua personale dinamica artistica?
Tutte le cose belle o brutte, a seconda dell’interpretazione soggettiva, piacevoli e non, emozionanti (più o meno) nascono da uno studio, l’elaborazione di un’idea, è un concetto intriso di sofferenza e sacrificio. E’ la quotidianità fatta di silenzi, profumi, rumori, visioni, incontri, riflessioni, pensieri, ostacoli e traguardi. Nulla si raccoglie senza prima una accurata semina.
2) Il tuo pubblico ha imparato ad indentificarti con due “periodi principali”, se non erro, all’interno della tua pittura: l’ormai storico ciclo denominato “L’Età dell’Oro”che nasce nel 1989 e la tua evoluzione figurativo-astratta imperniata sul “canto” dei famosi quattro oggetti-simbolo, ovvero Albero, Barchetta, Casa eLuna. Sembra quasi che dopo aver studiato profondamente la natura lucana con le tele dell’Età dell’Oro, ad un certo punto tu abbia deciso non solo di “alleggerire” questa natura con movimenti chiave simbolico-onirici ma soprattutto di interiorizzarla, dandole un identificativo spirituale che possa farla riconoscere in maniera archetipica ovunque tu esponga le tue tele
L’età dell’oro è un ciclo pittorico nato oltre trent’anni fa che ancora ripropongo ed elaborocon riferimenti al nostro paesaggio. Ispirato dai colori, dai profumi e dagli sconfinati orizzonti che ancora la nostra terra ci sa offrire.Questo periodo è stato egregiamente sintetizzato in una frase “clonata ad hoc” da un caro amico, Carlo, che mi ha sostenuto e che pubblicamente ringrazio. La frase recita queste parole: “L’età dell’oro è quella della pacificazione con il paesaggio e la volta celeste, e anche del silenzio, abbandonato il confuso vociare che ci tormenta”.
3) Cito testualmente una tua affermazione:“Considero le mie opere un viaggio felice con il mondo, che lascia fuori dalla scena il dolore e la tristezza mentre affiora il momento della vita, l’attimo della creazione e l’armonia dell’amore”. Perché bisognerebbe viaggiare con il mondo e non piuttosto nel mondo o attraverso il mondo? Una sottile differenza veicolata da una semplice particella grammaticale cambia totalmente la prospettiva del “viaggio”…
Perchè il mondo ci appartiene, siamo noi.
4) Non è immediato né scontato trovarsi di fronte ad una tela che prolunga il suo linguaggio coloristico, la sua vis gestuale, nella bellezza della parola: trovo davvero affascinante che un artista affidi una buona percentuale del suo progetto all’espressione linguistica, scrivendo letteralmente sulla tela, affidandole dunque, oltre al colore, anche il linguaggio parlato, la scrittura umana, lasciando quindi che la forza della parola completi quella del pennello. Che importanza hanno per te le parole nel momento artistico ma più in generale nella tua quotidianità?
Ogni mia opera va “letta” e decifrata sia essa composta di contenuti scritti o solo di colori, segni e forme. L’idea di inserire delle frasi o delle applicazioni di ritagli di giornali in alcuni miei lavoriè un modo per avvicinare l’osservatore, destare curiosità, creare una sorta di socializzazione e di riflessione con l’opera al punto tale che si instauri un dialogo per comprendere a pieno il messaggio che ogni lavoro contiene.
Lascio la Galleria ArteProgetto con in testa il rumore indescrivibile di un sogno, le note di una ninnananna nuova eppure familiare. Il cielo lucano è sopra di me, la leggera legge del pennello riposa dentro il cuore e queste tele rimangono appiccicate all’anima: la pittura nei vicoli del Vulture, è ancora una volta è. Ed è silenziosa ed imperterrita poesia dell’aria.