Lunedì 26 giugno 2023 alle ore 18 nel Bistrot Sotto l’Acqua in Via Emanuele Duni, 26 è in programma la presentazione del libro illustrato La Madonna della Bruna” di Franco Carella, Giovanni Caserta e Franco Villani.
Di seguito la nota degli autori.
Scrivere della Madonna della Bruna è un azzardo. Venerata da tempo immemorabile, sancita come festa della Visitazione nel 1389 per volontà di papa Urbano VI (1378-1389), già Vescovo di Matera (1365-1377), significa cimentarsi con un evento storico-religioso su cui molti si sono pronunziati. C’è il rischio di ripetersi. Si rischia, insomma, di fare un’opera di pura compilazione, senza nulla dire di nuovo e di diverso. In verità, scopo della nostra pubblicazione, fatta servendosi di immagini, è quello di offrire innanzitutto una conoscenza facile e agile al visitatore. Secondo scopo è quello di offrire qualche elemento in più al materano fermo alla storia del contadino che, tornando dalla campagna, accolse sul suo “traino”, una misteriosa signora che, incinta, sotto il sole di luglio, si affannava a raggiungere la città. In periferia, discesa dal “traino”, la donna ordinò al contadino di chiedere alle autorità civili e religiose di riceverla con tutti gli onori. Queste, sul posto, trovarono la statua della Madonna della Bruna con Bambino, che si affrettarono a portare in Cattedrale, eleggendola a protettrice della città, a fianco a Sant’Eustachio.
Discorso diverso e ben piùimpegnativo si è voluto, invece, affrontare attraverso la nota scritta, che, nulla potendo aggiungere a quanto, sul piano informativo, altri hanno in varia forma detto, si propone di andare al di là della notizia, cercando, in essa, un qualche significato o ragione recondita, su cui altri non hanno voluto o non hanno pensato di indagare, tanto essendo il rischio di avventurarsi su un terreno instabile e incerto. È un rischio che, tuttavia, si è voluto correre, a partire dalle lontane origini della festa, che forse, anche per Matera, vanno cercate nel lontano mondo classico, pagano.
La festa della Visitazione, nella forma materana, ha, infatti, una strabiliante analogia con Enna, dove la festa della Visitazione vien fatta derivare dal culto pagano di Kore o Iside o Prosèrpina o Persèfone. A Timmari, collina a cinque-sei chilometri da Matera, c’era un tempio greco, dagli archeologi attribuito a Kore. Elemento comune a tutte le altre feste dello stesso giorno, naturalmente, è la celebrazione della Madonna, madre di Dio portatrice, nel suo seno, del Messia, che avrebbe segnato, come dice Dante, la divisione della storia in ante Christumnatume post Christumnatum. Ma ci sono sempre contesti che ne condizionano le forme. A Matera, città agricolo-pastorale, facente parte del Regno di Napoli, più che a Enna, lontana nell’isola di Sicilia, Viceregno a sé, la festa non poteva non subire, attraverso mille rivoli, l’influsso immediato di Napoli, da cui spesso venivano i Vescovi. La vita religiosa napoletana, come l’arte e tutta la cultura, fu, per duecento cinquant’anni circa, sotto la diretta dominazione spagnola e sotto la cappa asfissiante della Controriforma. Sovrastava l’ombra terrificante del turco o dei saraceni, nemici secolari e spietati.
Una festa come quella della Bruna, capitata nel cuore dell’estate, quando più assillanti e frenetici sono i lavori agricoli, non poteva nemmeno non avere riferimenti e addentellati con un contesto tutto agricolo-pastorale. Per secoli, i cavalli dalla cavalcata erano macilenti, stanchi, sottratti alle fatiche estenuanti della trebbiatura. A cavalcarli erano giovani contadini, anch’essi stanchi, tenuti su dall’orgoglio di essere, almeno per un giorno, protagonisti della vita cittadina. Per i pastorisi conservava un ritaglio di festa, autonomo dal resto. A vestire i cavalieri erano le ragazze del vicinato, che si contemplavano il loro eroe. La Madonna, bruna, era madre, dal colore scuro come quelle delle contadine, bruciate dal sole.
Lo storico F. P. Volpe, nel 1843, scrive che, anno per anno, “s’abbandonava il Carro al popolo il quale a gara s’agognava d’impossessarsi degli squarci di carta, che gelosamente serbava per divozione”. L’espressione è ambigua. Poteva essere l’offerta di una “grazia” da parte del ceto dominante, oppure era “vendetta”, venuta dal basso. Difficile è spiegarla. L’autorità religiosa non tollerò mai lo spettacolo “selvaggio” della distruzione; avrebbe voluto che non ci fosse. Le autorità civili la tollerarono; il popolo l’attese come il suo grande giorno. Oggi l’opinione corrente la vuole perché fa spettacolo, attira turisti e fa economia. È una ragione che, per la verità, per una festa religiosa, non ci convince più di tanto.