Vincenzo Maida del centro studi Jonico Drus ha inviato una nota in cui affronta la questione di privilegi di cui godono notai e farmacisti in Italia. Di seguito la nota integrale.
Il responsabile Sanità di Fratelli d’Italia e vice-ministro della salute, Marco Gemmato, è casualmente un farmacista barese-
Stando ai dati, pubblicati da qualificati giornali economici, tra i professionisti al primo posto per reddito annuo ci sono i notai, seguono i farmacisti e poi gli avvocati e i dentisti.
La differenza tra le prime due caste e le seconde è che quest’ultime a differenza delle prime due non godono del privilegio del numero programmato, chiunque, se ha i requisiti, può aprire uno studio di avvocato o dentistico.
Notai e i farmacisti, infatti, sono le uniche due categorie professionali che da oltre un secolo resistono a tutti i tentativi di liberalizzazione.
Ci provò anche Bersani, ma alla fine dovette arrendersi e accontentarsi di liberalizzare baristi e barbieri e alla semplice istituzione delle para-farmacie, che possono vendere solo i farmaci da banco.
É solo un caso se il governo Meloni ha impugnato davanti alla Corte Costituzionale la legge della Regione Piemonte che permette alle parafarmacie di erogare servizi di diagnostica rapida, ovvero test per la misurazione della glicemia, del colesterolo, trigliceridi ecc. ecc.?
Ed è solo un caso che Fratelli d’Italia, insieme ad Italia Viva abbiano affossato l’emendamento che dava ai cittadini la possibilità di rivolgersi anche alle Parafarmacie per i tamponi certificati anti Covid, costringendo gli italiani a code infinite nelle farmacie? I farmacisti delle para-farmacie sono meno preparati e meno affidabili di quelli della farmacie? Non hanno forse fatto lo stesso corso di studi? Ed è un caso se per la liberalizzazione dei farmaci di fascia C, quelli con obbligo di ricetta pagati però direttamente dai cittadini, la maggioranza parlamentare ha fatto “muro”, affinché questa proposta di buon senso e a favore degli interessi generali non venisse nemmeno seriamente discussa.”
L’unica spiegazione è quella della difesa di due caste, una che resiste con le restrizioni attuali dal 1911 e l’altra che risale al XII secolo, è stata disciplinata nel 1913. In una società in cui l’analfabetismo superava il 90% della popolazione certificava per iscritto gli accordi verbali ed era una vera e proprietà autorità. Il loro numero è programmato dal Ministero di Grazia e Giustizia.
Anni addietro ai notai vennero sottratti gli atti di compravendita di autovetture usate, ma fino ad ora non ha avuto ancora effetto il tentativo del 2015 con la legge sulla concorrenza, di sottrarre a loro gli atti sotto i centomila euro. A volte si verifica l’assurdo per cui l’acquisto di un piccolo appezzamento di terreno, costi meno delle spese notarili.
Va infine aggiunto che, sarà anche questa una casualità, più del 20% dei notai sono figli, fratelli, nipoti o comunque parenti stretti di altri notai. Tale percentuale è di gran lunga superata dai farmacisti.
La storia legislativa delle farmacie dopo l’unità d’Italia è emblematica.
Dopo la riforma Crispi del 1888, che dava a chiunque avesse titolo la possibilità di aprire una farmacia, con quella Giolitti del 1911 fu stabilito il numero programmato su base demografica.
Da allora si sono succeduti vari provvedimenti legislativi, tra cui la legge 833/78 e la n. 892 del 1984, ma come per gli studi notarili, nessuno è riuscito a scalfire il numero chiuso e a imporre la liberalizzazione, come è stato fatto per tutte le altre attività professionali, commerciali e artigianali.
Quanti posti di lavoro in più si potrebbero creare?
Il governo Meloni fino ad ora si è fatto garante di tali privilegi di casta.