Franco Vespe: “Idee, ricette e consigli per promuovere lo sviluppo del Sud e suggerimenti per le prossime elezioni regionali”. Di seguito la nota integrale.
Alcuni giorni fa abbiamo scritto sulla incursione che il presidente della Regione Lombardia ha fatto a Matera per trattare la questione del divario Nord-Sud. Commentammo che soluzioni nel corso del dibattito non ne furono proposte. Provo a farlo io!
Un primo punto, ineludibile, è quello di ricomporre in unità il tessuto etico-sociale della nostra Italia. Occorre rinforzare quella percezione che Sud e Nord sono nella stessa barca e sono parte dello stesso destino dal 1861. Questa percezione la si è avuta solo a tratti nella nostra storia unitaria. Nella I Guerra mondiale e nel primo ventennio del II dopoguerra. Il divario Nord Sud si può colmare basta semplicemente che tutta l’Italia lo voglia! Oggi se il governatore del VenetoZaia dichiara che se le regioni del Sud non sono in grado di spendere le risorse del PNRR, è bene che vengano dirottate nella sua regione che ha progetti, è indicativo che non si vuole colmare questa frattura. Se il piano degli investimenti infrastrutturali scritto dai ministri Del Rio e De Michelis (così non facciamo torto a nessuno!)nella metà dello scorso decennio prevedevano 0 investimenti al Sud, significa che non si vuole sanare questa frattura. Da sempre in Italia al Sud si sono concesse risorse residuali straordinarie; mentre al Nord sono sempre andate cospicue risorse ordinarie. Lo stesso Esposito ha rilevato che l’intervento perequativo che l’Unione Europea concede alle regioni svantaggiate del Sud, non viene aggiunto a quello ordinario nazionale, ma lo sostituisce! Se solo Zaia o Bonaccini capissero che con un Sud sviluppato come il Nord, il nostro paese avrebbe un peso economico e politico pari se non superiore a quella Tedesco, la frattura sarebbe presto colmata. Ma dispero!
Una seconda leva ce la porge il successo che ebbe la Cassa per il Mezzogiorno (CASMEZ). Checché se ne dica. Non a caso ho parlato del primo ventennio post bellico. Quel ventennio fu l’unico dell’era unitaria in cui il divario si ridusse significativamente. Fu il periodo in cui agì la CASMEZ. Il governo nazionale creò uno strumento ad hoc per risolvere il divario. Furono realizzate grandi opere infrastrutturali per il Sud e si avviò una ben precisa strategia industriale guidata dalle grandi imprese parastatali. Questa spinta ridusse drasticamente il divario portandolo sopra il 60 % (se 100 è l’economia del Nord); quando nel dopoguerra il Sud era sotto al 50%. Perché questo divario è tornato a crescere allora? Una prima causa ovviamente riguarda la perdurante carenza di investimenti produttivi da parte dello stato. Anzi!In alcuni frangenti più di qualcuno anche dal Sud propagandò e lavorò perché si “regalasse reddito e consumi ai meridionali per sostenere produttività ed investimenti al Nord. La SVIMEZ poi ci aggiunge nella sua analisi il carico da 90. Il divario ricomincia a crescere quando sono state istituite le regioni. La correlazione infatti è davvero troppo alta per essere solo casuale! La formula adottata dalla CASMEZ era semplice: infrastrutturare efficacemente il territorio per renderlo poi attrattivo ed affascinante per gli investitori, pubblici o privati che siano. Creare cioè condizioni oggettive, non discrezionali, di vantaggio territoriale tali da suscitare convenienze imprenditoriali.Con le regioni invece si è rafforzato il ruolo di intermediazione della politica fra bisogni, soluzioni e risorse. Soluzioni e risorse poste nelle mani di politici per alimentare il loro consenso e rimpolpare le filiere clientelari. Si è data la stura ad una politica che si è arrogato il potere di decidere chi vince e chi perde nella società! Nemmeno nei paesi del Comunismo reale! Siamo ritornati con le Regioni a proporre solidarietà verticali tipiche del feudalesimo. Forma di solidarietà che si alimenta con la regola infallibile di avere poche risorse in poche mani per rendere terribilmente più efficace il rimando perverso fra promessa e ricatto.Lo sviluppo impetuoso del Veneto degli anni 70 avvenne perché la DC di Bernini chiuse non uno ma due occhi sull’evasione fiscale ad opera delle piccole aziende a conduzione familiare. Sì creò nei fatti una zona Franca non “autorizzata” che poi diede i frutti che oggi noi conosciamo e che rende ebbro di orgoglio l’ineffabile Zaia.Oggi ci sono le “legittimissime” Zone Economiche Speciali (ZES). Aree dove la pressione fiscale è meno aspra, l’accesso al credito più vantaggioso, il costo della energia più bassoecc. Sono soluzioni ampiamente sperimentate e che hanno dati frutti positivi come in Catalogna, Irlanda, Poloniaed, appunto, il Veneto. Ma ovviamente questo non basta! Occorre fare investimenti nei settori produttivi dell’agricoltura e dell’Industria, così come si fece nel primo 20-enniorepubblicano. La riforma fondiaria con i Manlio Rossi Doria ammodernò l’Agricoltura; mentre i Saraceno ed i Mattei dettarono le strategie e l’agenda dell’industrializzazione del Sud. Anche oggi va fatta la stessa cosa. Non pensiamo che il suo sviluppo possa avvenire by-passando la cogenza di creare piattaforme produttive nel primario e nel secondario affidandoci alla mitologia agreste dei prodotti agricoli “tipici”ed al turismo culturale (manco quello di massa ci piace!). Senza quelle due piattaforme non si va da nessuna parte. Un’agro-industria che debba però ammodernarsi con “l’Internet of Things” (IoT). Che debba entrare nella fase 4.0. Una agricoltura ed Industria che deve investire nel“green” e nella “spaceeconomy”,ma non per inseguire freneticamente la gigantesca e vergognosa balla della crisi climatica, ma per programmare strategicamente alternative alle fonti di energia fossileperchè entro pochi decenni queste andranno ad esaurirsi! Per promuovere innovazione ci vuole formazione, ricerca, sviluppo tecnologico e la proliferazione di Centri di eccellenza dove Università, Agenzie Tecnologiche ed Imprese si incontrano per favorire trasferimento della conoscenza al mondo produttivo e promuovere la fertilizzazione tecnologica ed imprenditoriale dei territori. E’ di questo di cui ha gran bisogno oggi il Sud!
Ma la parte di gran lunga maggiore la devono comunque giocare i popoli del Sud. Se la prima fase di industrializzazione del Sud è finita nelle secche della cassa integrazione a “tempo indeterminato” dei lavoratori ANIC (temo che stessa sorte toccherà allaStellantis di Melfi sic!) o della spaventosa crisi ambientale prodotta dall’ex ILVA di Taranto è perché furono imprese condotte ed “atterrate” sui territori in modo “dirigistico” senza una loro partecipazione condivisa. Una mano certamente la darà una agricoltura ed una industria 4.0 ed i centri di eccellenza di cui si parlava. Ma la mano più grande ce la daremo se ci libereremo dalla viscosa ed opaca intermediazione della politica e affronteremo, una volta per tutte, il guado dalla sponda del feudalesimo a quella dei “comuni”. Scoprirsi cioè parte di una società fra pari dove l’esercizio di solidarietà orizzontali, libera e riscatta. Fra poco ci saranno le Regionali. Per recuperare il senso di una Politica che ci sa “riscaldare i cuori” occorrerà premiare la progettualità,il merito e, soprattutto, marcare la discontinuità con quella che si limita a fortificare e gestire filiere clientelari. Nell’ultima tornata regionale poi si è raggiunti il fondo! Sia destra che sinistra, per giochini personalistici tutti interni agli schieramenti, a sfregio del bene comune, ci avvilirono candidando alla presidenza delle vere e proprie balbettanti mezze calzette dal punto di vista politico. Brave persone per carità! Ma adatte a portare al massimo i nipotini a spasso ai giardini pubblici! Spero stavolta che presentino dei veri cavalli di razza con nel cuore un rivoluzionario disegno di bene comune.