“La domanda di droga in carcere è talmente alta che c’è chi svolge funzione di pusher. E’ accaduto a Potenza con il detenuto che rientrava da un permesso premio e ieri l’altro ad Aosta, ma non sono certo casi isolati. Altri casi si sono già verificati in altri penitenziari. L’alternarsi di spacciatori fuori e dentro le celle è dunque un’emergenza da affrontare allo stesso modo con cui si combatte fuori la criminalità nelle piazze di spaccio”. E’ quanto sostiene il segretario generale del sindacato Polizia Penitenziaria Aldo Di Giacomo che aggiunge: “A parte l’ingresso in carcere di spacciatori, il lancio attraverso fionde, come accertato sempre ad Aosta, può sembrare l’ennesimo metodo fantasioso anche se come accaduto in Campania la fantasia non ha limiti e persino un pallone diventa mezzo di trasporto, per sfuggire ai controlli dei droni nel recente passato i più utilizzati in assoluto e da qualche tempo meno impiegati grazie all’attività di intercettazione del personale penitenziario. Come denunciamo da tempo, le carceri sono grandi piazze di spaccio di droga – almeno 5 kg la settimana con un giro di affari di una decina di milioni d’euro l’anno”. Di Giacomo rilancia l’allarme: “nelle carceri si ripete la situazione dei grandi centri di spaccio delle metropoli del Nord e della città campane dove la camorra e la grande criminalità organizzata gestisce i traffici più consistenti di droga del Paese. È un giro che – afferma Di Giacomo – vede i familiari, mogli e compagne dei detenuti far entrare la droga che oltre all’autoconsumo viene venduta a prezzi più alti del 40-50% rispetto ai costi di fuori oppure pagare direttamente i clan per la fornitura in cella di stupefacenti e l’alternarsi di pusher fuori e dentro le celle, grazie inoltre a detenuti in permesso lavoro che fanno la spola, come è successo a Potenza, o utilizzando i detenuti più deboli e ricattabili. Sono gli uomini dei clan, che si servono di telefonini per il più comodo spaccio di droga dentro e fuori il carcere e per ordini agli uomini sui territori, a gestire i traffici.
Così la detenzione del capo clan che dovrebbe rappresentare la fine della “carriera criminale” non solo si trasforma in continuazione ma cementifica i rapporti con detenuti e alimenta l’economia criminale necessaria specie per sostenere le famiglie dei detenuti. Ovviamente – continua il segretario del S.PP. – questo avviene perché la domanda di stupefacenti è sempre maggiore: la presenza di detenuti classificati tossicodipendenti già all’ingresso in tutta Italia è di circa 18mila (poco meno del 30% del totale) per i quali il cosiddetto “programma a scalare” con la somministrazione di metadone ha dato risultati molto scarsi. Non a caso la recidività di reato per questi detenuti, una volta fuori, è altissima. A questi si deve aggiungere che tre detenuti su 10 sono solo spacciatori e non consumatori”.