La condanna a 7 anni e l’interdizione dal pubblico servizio dell’autista del 118 dell’Asp per violenza sessuale nei confronti di un’infermiera durante il turno di lavoro, emessa nella giornata di ieri dal tribunale di Potenza, mette un punto fermo su una vicenda dolorosa che ha coinvolto in modo tragico la vittima di abusi, che porterà per sempre con sé un carico di sofferenza, ma che coinvolge ciascuno di noi, richiamandoci alle nostre responsabilità. Immediatamente come Fp Cgil ci siamo stretti alla lavoratrice che, con immaginabili difficoltà, ha denunciato l’accaduto, senza tuttavia che scattasse davvero quella rete di condanna e indignazione collettiva che ci si attende in casi del genere. Ci siamo associati da subito alla sua rabbia e al suo dolore, ritenendo inammissibile che una donna debba subire molestie e violenza ed inaccettabile che questo accada sul luogo di lavoro, durante un turno di lavoro, da parte di un collega. Ci siamo spesi nel tentativo di tutelare la giovane professionista, in sinergia con il suo avvocato difensore, Francesca Rubinetti, nelle più svariate occasioni in cui, in questo lungo anno e mezzo, si è sentita poco protetta, con un’attenzione nei suoi confronti non sempre ottimale nella gestione della quotidianità, che l’ha caricata anche del fardello di sentirsi vittima di una cultura che continua a sottovalutare e derubricare episodi gravissimi, preservando ancora, sempre e troppo gli autori di abusi, ovattati, loro sì, da un eccesso di garantismo. Un sentimento cresciuto nella donna anche in conseguenza della mancata costituzione dell’Azienda sanitaria come parte civile nel processo.
Con la ferma convinzione che i diritti della vittima siano di gran lunga prioritari rispetto al resto e che la violenza nei confronti delle donne sia un reato odioso che reca un danno indelebile nelle vittime, con ripercussioni sulla salute psicologica, fisica e sessuale, sulla dignità e sull’ambiente familiare e sociale della persona coinvolta, ma che sconvolge, al contempo, la condizione lavorativa e di vita di tutti i lavoratori sul luogo di lavoro, facendo emergere paure e insicurezza, riteniamo indispensabile rimettere prepotentemente al centro dell’attenzione la priorità delle priorità: fare dell’ambiente di lavoro un luogo sicuro e rispettoso della dignità non solo delle lavoratrici e dei lavoratori, ma di tutte le persone che vi operano con dedizione e senso di abnegazione.
Questa storia è una pagina nera che rischia, in maniera assolutamente errata, di macchiare l’immagine di operatori al servizio della salute pubblica, ogni giorno impegnati per salvaguardare le cure e l’integrità fisica e psicologica della popolazione. Una ferita profonda che ha bisogno, per essere curata, sicuramente di un cambio di passo culturale, ma che esige, nell’immediato, interventi decisi e concreti atti a tutelare la sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori.
Pertanto ritorniamo a chiedere, come già fatto nell’imminenza dell’accaduto, all’azienda sanitaria l’istituzione di un tavolo per condividere un protocollo sulla sicurezza degli operatori, prevedendo un sistema stringente di controlli, e il coinvolgimento dei lavoratori per la sicurezza per integrare in maniera più incisiva nel documento di valutazione dei rischi aziendale il rischio di violenza e molestie anche di genere esattamente come ogni altro rischio connesso all’ambiente lavorativo, individuando le relative misure di prevenzione e protezione. È necessario garantire sicurezza. Fare quadrato contro la violenza e lanciare segnali inequivocabili. È un preciso obbligo del datore di lavoro e un impegno vincolante per noi tutti.