È stato presentato oggi a Bari il Rapporto Sud di Utilitalia e Svimez, che valuta gli impatti economici e occupazionali del settore delle utility (ambientale, idrico ed energetico) nelle regioni del Mezzogiorno. Questa terza edizione, inoltre, contiene un’analisi dettagliata degli impatti relativi agli investimenti finanziati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) al Sud.
Le utility del Sud, vettori economici del Paese
La dimensione economica delle utility meridionali è quantificabile nel 2,1% del PIL del Mezzogiorno: queste imprese infatti contribuiscono all’attivazione di 10 miliardi di euro di valore aggiunto creando 340.000 unità di lavoro a tempo pieno nel sistema economico italiano. Se consideriamo l’intera filiera strategica “energia e ambiente” e dunque il cosiddetto “indotto”, però, i numeri aumentano: si tratta di 20.000 imprese che realizzano un valore aggiunto totale di 17 miliardi di euro (il 4,2% del PIL dell’area) e un’incidenza pari al 4,9% sull’occupazione totale dell’area.
L’80% di valore aggiunto e occupazione attivato dalle utility del Sud a livello nazionale è trattenuto nell’economia delle regioni meridionali: ovvero, per ogni euro prodotto dalle utility meridionali si realizza un euro di valore aggiunto nel complesso dell’economia, di cui 0,80 centesimi nel Mezzogiorno.
L’effetto PNRR per un’economia decarbonizzata
Le risorse “senza precedenti” messe a disposizione dal PNRR rappresentano un’occasione irripetibile anche e soprattutto per le regioni meridionali. Nel complesso sono 6,7 miliardi di euro i fondi destinati alle regioni del Mezzogiorno per un selezionato spettro di linee di intervento che riguardano i settori idrico, ambientale ed energetico. Un volume di investimenti capace di attivare 10,8 miliardi di euro di produzione nazionale ai quali si aggiungono 3,3 miliardi di euro di importazioni, per un totale di 14,1 miliardi di euro.
In termini percentuali, la quota di valore della produzione “trattenuta” nel Mezzogiorno si attesta a circa il 45% del totale nazionale. L’attivazione di valore aggiunto ammonta, a livello nazionale, a 4,4 miliardi di euro, di cui il 46% nel solo Mezzogiorno (2 miliardi di euro, circa lo 0,5% del totale PIL dell’area). Con riferimento all’impatto occupazionale, complessivamente, l’effetto sull’intero territorio nazionale è pari a 67.969 unità, di cui il 49% localizzato nelle regioni del Mezzogiorno. In altre parole, per ogni milione di investimenti si creano 10 posti di lavoro aggiuntivi, di cui 5 nel Mezzogiorno.
Le sfide per le utility del Sud e le proposte di Utilitalia e Svimez
Transizione energetica, economia circolare e adattamento ai cambiamenti climatici: sono questi i pilastri su cui si fondano le sfide e le azioni per rilanciare l’economia delle utility nel Mezzogiorno. Il Sud Italia, del resto, ha il maggiore potenziale su scala nazionale di produzione da fonti rinnovabili (eolico e solare). È essenziale dunque promuovere la condivisione di obiettivi e risorse tra imprese e autorità locali per superare gli ostacoli alla realizzazione di progetti di energia rinnovabile. Tale approccio dovrebbe tradursi in benefici tangibili per le comunità locali, contribuendo a nuove opportunità di sviluppo, sostenendo l’adozione di fonti energetiche sostenibili e pulite, inclusi i gas rinnovabili (es. idrogeno e biometano). Tra le proposte avanzate: l’adozione di un testo unico per le autorizzazioni, il potenziamento e la qualificazione delle strutture delle PA, il superamento del nodo delle concessioni idroelettriche, la ridefinizione delle modalità di applicazione degli incentivi all’efficienza energetica e la pianificazione di reti elettriche resilienti ai nuovi trend climatici.
In tema di rifiuti è necessario promuovere strategie regionali e locali per l’economia circolare ma soprattutto accelerare l’iter amministrativo e autorizzativo per contribuire a colmare il significativo deficit impiantistico tra Nord e Sud. Rispetto a ciò, si evidenzia che occorre che i Piani Regionali di Gestione dei Rifiuti vengano elaborati tenendo conto degli indirizzi forniti dal Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti in ordine alla chiusura del ciclo di gestione dei rifiuti. Tra le altre misure suggerite anche l’estensione dell’ambito di applicazione dei sistemi di responsabilità estesa del produttore (anche a nuove tipologie di rifiuto e settori diversi, come l’idrico) e l’introduzione di meccanismi strutturali come i Certificati di Efficienza Economica Circolare, che potrebbero incentivare efficienza impiantistica e recupero di materiale.
Gli effetti dei cambiamenti climatici accrescono l’esigenza di una corretta gestione delle risorse idriche ed energetiche. Da questo punto di vista è utile garantire l’immediato trasferimento alle Regioni dell’esercizio delle funzioni in quei contesti in cui ancora operano le gestioni in economia nel servizio idrico. Bisogna poi incentivare la crescita orizzontale e verticale del settore per garantire lo sviluppo infrastrutturale e la qualità del servizio.
“Ridurre il gap infrastrutturale del Sud – spiega il presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini – è indispensabile per consentire al paese di raggiungere gli obiettivi della transizione ecologica e contribuisce a tutelare i diritti dei cittadini ad usufruire di un servizio di qualità uniforme su tutto il territorio nazionale e, al contempo, può innescare una positiva dinamica di sviluppo economico e sociale. Occorre recuperare rapidamente il ritardo accumulato nelle regioni meridionali rispetto all’applicazione del quadro normativo e regolatorio nazionale: come dimostrano le positive esperienze del Centro-Nord e quelle delle realtà industriali presenti nel Meridione, servono interventi che permettano di superare le gestioni in economia, di promuovere la strutturazione di un servizio di stampo industriale e di rilanciare gli investimenti”.
Anche per il direttore generale della Svimez Luca Bianchi “la filiera energia ambiente rappresenta già oggi un asset importante del sistema produttivo meridionale. Guardando alle nuove sfide del cambiamento climatico e della transizione ecologica, il settore delle utility meridionali può rappresentare il campo privilegiato di attuazione di politiche che incidano contemporaneamente sulla qualità del servizio per il cittadino e sulle prospettive di crescita sostenibile dell’area. Occorre però incrementare gli investimenti pubblici e privati nel settore dell’energia, dei rifiuti e dell’acqua allineandoli ai livelli medi europei. Le risorse disponibili per i prossimi anni (PNRR e politiche di coesione) rappresentano un’occasione importante per conseguire tale obiettivo e non possono essere sprecate, ma devono essere accompagnate da interventi volti a promuovere una gestione industriale del settore”.
Per il presidente di Acquedotto Pugliese (AQP) e vicepresidente di Utilitalia, Domenico Laforgia, “fare rete tra i gestori è un passo importante per rafforzare il sistema delle imprese dei servizi pubblici secondo una logica industriale. La Commissione Sud di Utilitalia, che coordino, coinvolge al momento circa 30 aziende interessate alla costituzione di una rete che agisca da vera e propria centrale di committenza. La frammentazione attuale non giova a nessuno. Nelle piccole gestioni in economia dei servizi idrici, ad esempio, gli investimenti sono pari a circa 8 euro annui per abitante contro una media nazionale di 56 euro. Al contrario posso portare l’esempio virtuoso di AQP che è in piena media europea, con 80 euro investiti per abitante nel 2022. Presto potremo raggiungere i 100 euro, come da obiettivi del Piano Strategico di AQP e in coerenza con il Patto per l’Acqua di Utilitalia. Risultati che si possono ottenere solo con gestioni industriali su scala più ampia e in collaborazione con altri territori, così come già oggi fa la Puglia”.
“Come sistema delle imprese – sottolinea Vito Grassi, vicepresidente di Confindustria e presidente del Consiglio delle Rappresentanze Regionali e per le Politiche di Coesione Territoriale di Confindustria – riteniamo sia arrivato il momento di agire per passare da una situazione che i dati fotografano come di emergenza a una di efficienza idrica. Siamo convinti che il sistema della rappresentanza, se coinvolto in un percorso istituzionale strutturato, possa offrire il proprio contributo. Un ruolo centrale è svolto dagli investimenti, pubblici e privati. È fondamentale la messa a terra degli interventi già programmati, a partire da quelli previsti dal Piano nazionale di interventi per il settore idrico, con una dotazione di circa 2mld, più i 900mln previsti dal PNRR. Sempre il PNRR dedica poi 3,95mld alle risorse idriche. Al di là delle risorse, riteniamo che vi siano alcune direttrici su cui calibrare le azioni di policy per il settore e che sono gli assi di intervento che stiamo approfondendo, anche con Utilitalia. Occorre arrivare a una gestione del servizio idrico sostenibile sotto un triplice profilo: sociale, economico e ambientale”.
Le criticità: il ritardo infrastrutturale e i problemi di governance
Il rapporto Sud sottolinea ancora una volta le storiche criticità che caratterizzano il Mezzogiorno in tema di servizi a rete. Al fine di assicurare una rapida ed efficace evoluzione industriale e promuovere la piena realizzazione degli investimenti in tutti i settori rilevanti, infatti, è importante semplificare i procedimenti autorizzativi, nonché promuovere gestioni industriali che superino le gestioni in economia nei settori idrico e ambientale. Questo consentirebbe di avviare un processo accelerato di realizzazione di tali infrastrutture, contribuendo così a promuovere lo sviluppo del settore in modo più efficiente.
Nel settore idrico, per esempio, il Sud sconta un ritardo infrastrutturale rispetto al resto del Paese dovuto soprattutto ad una rete idrica vetusta, mentre nella gestione dei rifiuti si registra una mancanza di impianti strategici per il riciclo e il trattamento dei rifiuti. La gestione dei servizi nelle regioni meridionali è spesso affidata agli enti locali, le cosiddette “gestioni in economia” (al Sud sono 7,7 i milioni di cittadini serviti dagli enti locali) che hanno una scarsa capacità di investimento rispetto alle gestioni industriali (8 € per abitante, contro 56 euro per abitante nel 2021).
Per superare alcune di queste criticità, incentivare l’aggregazione e il partenariato tra soggetti industriali è una strategia chiave per massimizzare i vantaggi delle economie di scala e condividere conoscenze specialistiche. Questo approccio può contribuire al successo dei progetti industriali, garantendo la capacità di progettazione e l’efficace utilizzo dei fondi disponibili, anche attraverso la promozione delle reti di impresa.