Riceviamo e pubblichiamo una nota inviata dall’avvocato materano Carmine Ruggi in cui si commentano le dichiarazioni rilasciate nei giorni scorsi dal leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro relative alle telefonate intercettate dalla Procura di Palermo di Nicola Mancino al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano e pronte per essere diffuse.
Quirinale e Procuratori – Involuzione democratica.
La vicenda delle intercettazioni telefoniche del Presidente della Repubblica pone gravi problemi di attentato allo “Stato di Diritto”, cui si ispira la nostra Costituzione.
L’incitamento dell’On.le Di Pietro ai Pubblici Ministeri di Palermo di “resistere, resistere, resistere” è una chiara induzione alla violazione dei principi costituzionali e del diritto positivo in tema di garanzia delle prerogative del Presidente Repubblica.
L’art. 90 della Costituzione assegna al Presidente, quale Capo dello Stato, legittimamente, la esimente di responsabilità penale, tranne che per il caso di “alto tradimento” ed “attentato alla Costituzione”.
Tanto basta per ritenere che, nel caso concreto, il Presidente della Repubblica non è intercettabile da parte della magistratura inquirente, poiché non esiste alcun atto parlamentare di “messa in stato di accusa” del Presidente per i detti reati di natura costituzionale.
Né le intercettazioni del Presidente possono essere giustificate da mera causalità, quale effetto di intercettazione indiretta, – nel caso specifico dell’ex ministro Mancino, – poiché ciò costituirebbe, comunque, un aggiramento illecito del citato principio costituzionale di garanzia, a tutela della funzione istituzionale del Capo dello Stato sia nell’interesse della comunità nazionale, sia del prestigio internazionale del Paese.
La intercettazione del Presidente Repubblica, inoltre, è vietata (tranne per il caso di alto tradimento ed attentato alla Costituzione) anche dal precetto di cui all’art. 7 della Legge n. 219/89, resosi necessario proprio per trasferire nel diritto positivo il principio costituzionale dell’art. 90.
In particolare, detta norma dispone che nei confronti del Presidente della Repubblica non possono essere effettuate intercettazioni telefoniche, “se non dopo che la Corte Costituzionale ne abbia disposto la sospensione dalla carica”. In sostanza, l’intercettazione può essere legittimamente effettuata solo ove il Presidente della Repubblica sia stato posto in stato di accusa dal Parlamento, con riferimento ai detti reati costituzionali.
Coloro che rivendicano, come l’on. Di Pietro e certi giacobini della politica, l’eguaglianza di trattamento nelle intercettazioni, intendono sovvertire l’ordine costituzionale per via involutiva e non per via parlamentare. Nessuno può ignorare che il privilegio costituzionale dell’art. 90 non è un beneficio della persona del Presidente, ma è a tutela della carica istituzionale del Capo dello Stato, quale patrimonio di tutti i cittadini Italiani.
Il comportamento dei Pubblici Ministeri di Palermo, pertanto, non può ritenersi scusato per “buona fede”,- come sostiene il Procuratore Generale Antimafia, – con l’aggravante della assunta motivazione che la norma non sarebbe di chiara interpretazione. – In particolare, è inammissibile che l’On.le Di Pietro, garantito dallo status di parlamentare, possa tacciare il Presidente della Repubblica di mancanza di “nobiltà istituzionale”, laddove le regole dello Stato di diritto e quelle della Costituzione risultano, invece, violate dai Pubblici Ministeri, con evidente finalità autoreferente.
Il nostro sistema giuridico che assegna l’azione penale alla Magistratura Inquirente non merita, comunque, di essere modificato. Trasferire l’azione inquirente ad un Ufficio Pubblico elettivo, come è istituzionalmente regolato in molti Paesi occidentali, non appare opportuno, per ragioni storiche e culturali del nostro Paese. L’affidamento della funzione inquirente alla Magistratura, – autonoma ed indipendente, – è una scelta opportuna e saggia. Infatti, il sistema ha generalmente ben funzionato nell’interesse del diritto e della Giustizia. Le devianze, numericamente limitate, si sono verificate solo quando alcuni esponenti di quella Magistratura hanno utilizzato il delicato ed enorme potere pubblico, loro delegato dallo Stato, in modo referenziale e, qualche volta, anche politicamente orientato.
Va diversamente regolato, quindi, il “rapporto interno” all’Ufficio del Pubblico Ministero, onde neutralizzare l’attività del singolo magistrato inquirente, che affermando l’autonomia assoluta di giudizio nella valutazione delle vicende giudiziarie a lui affidate, impedisce il “confronto interno” anche su circostanze e fatti che, per loro natura, sono opinabili. Nonostante tutto va mantenuto, quindi, l’attuale affidamento dell’azione penale alla Magistratura, ma con gli opportuni “correttivi collegiali interni” ai singoli Uffici delle Procure, evitando, comunque e sempre, le interferenze esterne, soprattutto se di natura politica..
La vicenda della intercettazione del Presidente della Repubblica, per queste ragioni, merita da parte di tutti i cittadini una attenta partecipazione attiva, posto che tali “incidenti in buona fede” non possono essere coperti da compiacenti scusanti, in considerazione della loro attitudine ad incidere sulle regole di ripartizione dei poteri dello Stato, propri del sistema democratico del nostro Paese.
Lo Stato di diritto, cui si ispirano gli Stati moderni, è funzionalmente ordinato per impedire che la libertà dei singoli cittadini e delle alte funzioni rappresentative dello Stato siano condizionate, limitate o coartate da gruppi di pressione, vuoi per interesse personale dei soggetti operanti nell’esercizio delle funzioni inquirenti, vuoi per ragioni politiche o di non rare aspirazioni personali.
Tutte le Democrazie, quindi anche l’Italia, corrono sempre gravi rischi di attentato alla libertà individuale e collettiva tutte le volte che la coscienza civile si assopisce o mostra indifferenza alle lesioni dei principi costituzionali, su cui si fonda il proprio vivere civile.
Il Presidente Napolitano, tutore della Costituzione, non poteva esimersi, nell’interesse della nostra democrazia, dal metter in atto quelle misure di tutela invocate dalla Corte Costituzionale, idonee a neutralizzare i conati di involuzione democratica sostenute dal giacobinismo dipietrista.
Carmine Ruggi
Egr. Avv. Ruggi,
quello che lei ha scritto è già stato confutato dai fatti tre anni fa, quando furono depositate agli atti, e quindi addirittura rese pubbliche le intercettazioni tra Bertolaso (l’intercettato) e Napolitano (anche tre anni fa Presidente della Repubblica).
Ma ad oggi non risulta che Napolitano abbia sollevato problemi di attribuzione alla Procura di Perugia o abbia chiesto di distruggere quelle intercettazioni.
Suppongo che il reale motivo della bagarre non siano tanto le prerogative del Presidente quanto l’ignoto, e forse deleterio, contenuto delle intercettazioni con l’ex ministro Mancino.
Anche nel ’97, per l’ex presidente Scalfaro si sollevò un problema simile e anche lui, come Napolitano, era estraneo alle indagini in corso. Fu proprio l’allora ministro della Giustizia Flick a sciogliere la questione dicendo che “[…] i magistrati non hanno violato alcuna norma, anche se la procedura seguita non appare in linea con i principi della Costituzione a tutela del Presidente della Repubblica.” e ancora “[…] esiste nel nostro ordinamento un «assoluto divieto di intercettazione telefonica» nei confronti del presidente della Repubblica a tutela delle sue prerogative. Tuttavia questo principio «è frutto di un’interpretazione sistematica e non trova riferimenti letterali nella normativa codicistica»”. (http://www.corriere.it/politica/12_luglio_16/scalfaro-flick-sentenza-precedente_2513f16e-cf69-11e1-8c66-2d335d06386b.shtml)
Inoltre, proverei a citare per intero l’art. 90 della nostra Costituzione:
“Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione.
In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri.”
Ancora una volta, a voler essere precisi, quello che lei attribuisce all’art. 90 si gioca tutto nelle parole magiche “nell’esercizio delle sue funzioni“.
Dopodiché in Italia, né il Capo dello Stato né i parlamentari sono al sopra della legge al di fuori delle loro funzioni.
E forse scatenerò molte risate, ma da un Presidente della Repubblica – oltre che da tutti gli altri rappresentanti politici – mi aspetto come minimo trasparenza, coerenza e rispetto della legalità.
Cordialmente,
Francesca Volpe
Sarebbe il caso di ricordare che NON è stato intercettato il presidente della Repubblica
ma un cittadino privato il Sig. Mancino che invece di rivolgersi agli organi competenti per le sue rimostranze
contro la procura di Palermo, spaventato ha chiamato il quirinale…e il caro presidente invece di riattaccare o consigliare al suo amico di non chiamarlo per tali questioni ha avuto una qualche conversazione…che non si conosce ma di cui il caro Presidente ne ha paura per cui le vuole distrutte…è un atto indecente sfruttare la sua posizione per attaccare magistrati, pochi purtroppo, che fanno il loro lavoro….spero per il popolo italiano che Ingroia e gli altri resistano resistano resistano…