Quasi il 40% delle imprese del terziario, nel corso del 2023, ha ottenuto meno credito di quanto richiesto e 8 imprese su 10 hanno registrato un aumento del costo del credito a causa dell’inasprimento dei tassi di interesse; un peggioramento che ha costretto oltre il 40% delle imprese a rinunciare, in tutto o in parte, agli investimenti programmati, in particolare per la crescita, la sicurezza e l’innovazione, e a nuove assunzioni nel corso del 2024. Lo riferisce un’indagine di Confcommercio.
“E’ una conferma della difficile situazione – sottolinea il presidente Confcommercio Potenza Angelo Lovallo – segnalata nel recente rapporto di Banca d’Italia sull’andamento dei primi mesi del 2023 secondo il quale la dinamica dei prestiti bancari erogati al settore produttivo ha continuato a indebolirsi: i finanziamenti hanno registrato ad agosto una flessione dell’1,1 per cento su base annua, a fronte di una crescita del 2,0 per cento del dicembre precedente. In particolare, il credito alle imprese più piccole, che già aveva registrato lo scorso anno un andamento peggiore, è diminuito del 5,6 per cento ad agosto. E’ la Banca d’Italia a rilevare che sulla dinamica dei prestiti alle imprese ha influito, in un contesto di marcato incremento dei tassi di interesse e di calo degli investimenti, il rallentamento della domanda di finanziamenti e, dal lato dell’offerta, la presenza di condizioni di accesso al credito più selettive”.
Secondo l’indagine di Confcommercio, inoltre, la stretta del credito comporterà per il 45% delle imprese un peggioramento della situazione della propria liquidità, con il rischio di un impatto negativo sulla domanda dei consumatori a causa di una minore capacità delle imprese di fare sviluppo commerciale presso i propri clienti e con una conseguente diminuzione dei ricavi e una minore capacità di fronteggiare l’aumento dei costi praticati dai propri fornitori.
Commentando i risultati dell’indagine, il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, ha sottolineato che “la nostra vera preoccupazione oggi è la stretta creditizia, un fenomeno che si sta acutizzando anche per effetto del rialzo dei tassi di interesse e che sta penalizzando le imprese del terziario, in particolare quelle di minori dimensioni: dal 2011 ad oggi i prestiti del sistema bancario verso le imprese con meno di 20 dipendenti si sono ridotti di oltre il 35%”. “Serve, quindi – ha osservato Sangalli – una maggiore attenzione da parte del sistema bancario verso queste imprese ma un importante banco di prova sarà anche la riforma del Fondo di garanzia per le Pmi che dovrà porre maggiore attenzione alle imprese meritevoli ma sottoposte a restrizione creditizia che, spesso, sono proprio quelle di minori dimensioni.”
Quanto alle condizioni del credito, quasi otto imprese ogni dieci tra quelle che hanno finanziamenti in essere rilevano un peggioramento dei tassi, ovvero il credito costa molto di più rispetto al passato. La situazione appare meno critica con riferimento alle garanzie chieste alle imprese a copertura dei finanziamenti concessi (la situazione è rimasta invariata per il 60% delle imprese) e la severità dei criteri di selezione (situazione invariata per il 64,2%).
La riduzione del credito e/o l’aumento del costo del credito hanno determinato per il 31,2% delle imprese l’annullamento totale degli investimenti previsti. L’11,4% sarà costretto invece a rinunciare “in parte” agli investimenti che era intenzionata ad effettuare. Ad essere maggiormente penalizzate sono le imprese del commercio food e no food, le imprese dei servizi alla persona, le imprese con meno di 5 addetti, le imprese del centro e del sud/isole.
La riduzione del credito causerà – secondo le attese del 45% circa delle imprese- un serio peggioramento della situazione della propria liquidità, diminuendone le prospettive di sviluppo commerciale e di crescita. Il 12,6% delle imprese teme inoltre che la riduzione del credito possa impattare negativamente sulla domanda dei consumatori nel 2024, ovvero sulla capacità delle imprese di fare sviluppo commerciale presso i propri clienti, con una conseguente diminuzione dei ricavi (difficoltà temuta molto o abbastanza dal 23,9% delle imprese), nonché una minore capacità delle imprese stesse di fare fronte all’aumento generalizzato dei prezzi dei propri fornitori (17,8%).