Giovedì 7 dicembre 2023 alle ore 18,30 nell’Abbazia di San Michele Arcangelo a Montescaglioso l’Università della Terza Età incontra Silvio Garattini per la presentazione del libro “Prevenzione è rivoluzione – per vivere meglio e più a lungo”, edito dal Mulino in Abbazia. L’evento è organizzato dall’APS Penso Struttura – Centro culturale polivalente con il patrocinio del Comune di Montescaglioso (MT) e la collaborazione di Uisp Matera, Unitep Matera e Unimed di Montescaglioso.
La pandemia ha fatto emergere una caratteristica della popolazione italiana: longeva, ma non in salute. Silvio Garattini indica come cambiare strada.
Durante l’incontro si affronterà anche il tema della Legge Regionale “Invecchiamento attivo”.
Di seguito i particolari.
Silvio Garattini è un celebre oncologo, farmacologo e ricercatore, presidente e fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” di Milano.
Il novantacinquenne Garattini, durante la sua ultradecennale attività, ha ricevuto diverse onorificenze nazionali e internazionali: oltre alla Medaglia d’oro al merito della sanità pubblica e ad alcune lauree honoris causa da parte di diverse università europee, è stato omaggiato della Legion d’Onore della Repubblica francese per meriti scientifici e del titolo di Grand’Ufficiale della Repubblica Italiana. Alla Camera dei Deputati, inoltre, gli è stato assegnato il Premio America della Fondazione Italia – USA.
Di seguito una breve intervista all’autore
Silvio Garattini, tra gli uomini di scienza più autorevoli in Italia, lo ripete instancabilmente, da anni. La nostra salute dipende in grande misura dalle nostre abitudini di vita. Più del 50% delle malattie ce le tiriamo addosso noi, ricorda sempre il professore. Diabete, ipertensione, disturbi del cuore e della circolazione, molti tumori… potrebbero essere prevenuti adottando stili di vita sani. Purtroppo in Italia da questo punto di vista non siamo messi molto bene.
Come spiega il professore: «Noi abbiamo una durata di vita tra le più lunghe al mondo, e questo vuol dire che abbiamo un buon servizio sanitario nazionale, che ci aiuta ad avere quella che è la più lunga vita possibile in questo periodo storico. Però siamo molto indietro nella graduatoria quando consideriamo la durata della vita sana. Questo perché abbiamo cattivi stili di vita, cioè non facciamo quello che è importante, ovvero la prevenzione».
Cosa abbiamo imparato?
«Il primo riguarda il servizio sanitario nazionale, che deve essere ripensato,nel senso di adeguarlo ai nuovi bisogni. La globalizzazione non potrà che continuare e porterà nuovamente a situazioni analoghe a questa: circolano le persone, circolano le merci e quindi circolano anche virus e batteri. Dobbiamo ripensare al rapporto tra territorio e ospedale: abbiamo esagerato con una visione ospedalocentrica, è necessario invece rafforzare la medicina del territorio, non lasciare i medici di famiglia da soli, ma creare strutture e gruppi, facendo in modo che possano essere veramente il primo filtro, prima dell’accesso al pronto soccorso e all’ospedale. Questo è un aspetto molto importante, perché senza un filtro l’ospedale non può risolvere tutti i problemi».
Questa emergenza ha riportato in luce l’importanza di un servizio sanitario pubblico
«Il servizio sanitario nazionale dovrebbe diventare pubblico in misura sempre maggiore. Se deve appoggiarsi anche al privato, per sopperire alle necessità del pubblico, si dovrebbe investire per incentivare in misura sempre maggiore un privato no profit. La ricerca del profitto, nel campo della salute, è sempre molto dannosa».
Dovrebbe occuparsi di più di prevenzione?
«Certo. Si tratta di un aspetto fondamentale, visto il peso delle cattive abitudini nel provocare malattie. Noi ci provochiamo malattie sia individualmente, a causa dello stile di vita non sano di ciascuno di noi, sia collettivamente a causa dell’inquinamento e simili, sia perché il servizio sanitario e lo Stato non incentivano a sufficienza l’affermarsi di abitudini corrette. Per esempio il tabacco e le sigarette in Italia costano meno rispetto a quanto avviene in Francia o in Inghilterra, e godono di vantaggi fiscali. Bisognerebbe disincentivare il fumo (che secondo dati dell’Istituto superiore di sanità raddoppia le probabilità di finire in terapia intensiva a causa della Covid, ndr) sia aumentando il prezzo del tabacco e derivati (sigarette elettroniche incluse) sia finanziando attività di sostegno per incentivare a smettere. E lo stesso vale per tante altre abitudini nocive: bisognerebbe contrastare attivamente l’abuso di alcol, la cattiva alimentazione che conduce a sovrappeso e obesità, la sedentarietà. Sono necessari maggiori finanziamenti e bisognerebbe prevedere l’assunzione di operatori che si occupino specificamente di questi aspetti. Oggi sappiamo che grazie a uno stile di vita sano è possibile correggere ed attenuare anche le conseguenze di situazioni genetiche sfavorevoli: perché tra quello che noi facciamo e i nostri geni c’è una interazione. Anche chi ha geni che aumentano il rischio di malattie può attenuarne l’effetto grazie a buoni stili di vita. E bisogna farlo non solo per sé, ma per la collettività, per difendere il servizio sanitario nazionale. Mantenersi in salute è significativo anche perché con stili di vita corretti si evitano malattie che andrebbero a gravare sul servizio sanitario nazionale, che è un grande bene collettivo».
La salute anche come dovere civico, quindi?
«Proprio così. Il servizio sanitario nazionale è un grande bene comune e tutto quello che ciascuno di noi non fa per mantenersi in salute va a discapito di chi è malato. Questo dovrebbe essere insegnato come un dovere civile, è un altro aspetto su cui questa epidemia dovrebbe farci pensare: sono aspetti di educazione civica. L’appartenenza al servizio sanitario nazionale è una delle cose più importanti: questo vale per i pazienti, ma anche per i medici e per tutti gli operatori sanitari. Tutto quello che gli operatori fanno di sbagliato, ogni spreco, va a discapito di un bene comune. Il servizio sanitario nazionale è un bene nostro, e lo dovremmo trattare come trattiamo i nostri beni di famiglia. Un concetto che dovrebbe essere insegnato a scuola, a partire dall’asilo».
Ultimo ma non meno importante: la ricerca scientifica
«Purtroppo questa emergenza ha mostrato anche le conseguenze dei continui tagli ai finanziamenti pubblici per la ricerca scientifica che si sono fatti in Italia. La ricerca è vista come una spesa, anziché essere vista come un investimento. Oggi tutti chiedono ricerca per trovare farmaci efficaci contro il coronavirus, per il vaccino: ma i continui tagli degli ultimi anni ci hanno lasciato indeboliti. Un’altra lezione amara».