Maltrattamenti nel Centro permanenza per rimpatri di Palazzo San Gervasio, intervento di Maurizio Tritto. Di seguito la nota integrale.
All’indomani del presidio davanti al Cpr di Palazzo San Gervasio, mi duole constatare che non è emersa alcuna strategia per cercare di capire cosa si voglia fare di quel canile per esseri umani.
La Procura di Potenza farà il suo lavoro e sono certo, visto il modo minuzioso in cui sono state svolte fino ad ora le indagini, che lo farà al meglio.
La società composta da singoli individui, da Associazioni, da Sindacati, da Partiti politici e dalle persone che ricoprono incarichi istituzionali, dovrebbe fare ora la sua parte.
Da qui il mio invito a riunirsi per capire cosa si potrebbe fare, non per migliorare le condizioni delle persone lì detenute, ma per far chiudere definitivamente quel “luogo non luogo” fra le cui mura, il filo spinato, le reti metalliche, sono accaduti fatti che fanno accaponare la pelle e che dovrebbero far vergognare lo Stato e l’intera comunità Lucana.
Cominciamo quindi a non utilizzare più la parola “ospiti” per indicare persone recluse in gabbie che nulla hanno a che fare con la parola ospitalità.
Cominciamo a chiederci se ci siano o meno delle responsabilità sui controlli o sulla modalità delle gare d’appalto per la gestione del Centro per i rimpatri.
Avevo preso la decisione di terminare la mia personale vicenda legata alla chiusura del Cpr di Palazzo San Gervasio con l’ultimo atto di comparire come teste, se e quando la Procura di Potenza deciderà di farlo, per ribadire davanti ad un Giudice le notizie in mio possesso e riportate precedentemente negli esposti da me firmati e depositati.
Questi lunghi anni di lotta spesso solitaria, hanno debilitato la speranza che questa società possa cambiare.
Sono stanco e non lo posso negare, ma se vedrò che questo mio invito verrà preso in considerazione, sono disposto a prelevare la scorta d’emergenza di energia che è ancora depositata nel mio corpo ma sopratutto nella mia anima.